Nell’autunno dell’anno scorso fra le voci che si levarono per lanciare l’allarme su quel disastro planetario che è il dilagare della zootecnia ci fu quella, autorevolissima, dell’economista Nicholas Stern. E fu una voce chiara e netta: orientarsi a tutto tondo verso i cibi vegetali, punto e basta. Il Corriere della Sera del 28 ottobre 2009 gli dedicò un articolo ampio e ben fatto, denso di numeri e concreti argomenti. Vale tuttavia una regola: l’informazione spazzatura viene sempre data allo stato puro; quando invece si decide di dare dell’informazione vera ci si sente in obbligo di controbilanciarla con una congrua dose di informazione spazzatura, che pare essere ormai un ingrediente indispensabile dei mass media.

La regola vale anche in questo caso. La stessa pagina del quotidiano ospita infatti un’intervista a Giorgio Cosmacini, storico della medicina, intitolata: «Niente eccessi, la carne è la nostra cultura». Che la carne sia la loro cultura non ne dubito: una cultura che ha ridotto un intero pianeta al rango di una pattumiera non può non avere come suo cibo di elezione la carne. Il resto mi trova meno d’accordo, già a partire da quel riferimento a presunti “eccessi”. Come ho già detto in altre occasioni, mi pare che il mondo degli eccessi sia il loro. Ma il peggio viene dopo: «Convertire la popolazione mondiale al vegetarianesimo rischia di contraddire alcuni principi di una dieta equilibrata» afferma il cronista, e lo fa con una scelta di vocaboli tale da farci pensare che si stia parlando di passare a una nuova religione. Dobbiamo “convertirci”: eravamo musulmani, induisti, buddisti, cristiani, ora dobbiamo diventare vegetariani. L’inverno scorso ho fatto installare un impianto solare sulla mia casa. Dovrò forse dire di essermi “convertito al solarianesimo”?

Andiamo avanti. La parola passa subito dopo a Cosmancini il quale ci spiega perché una nostra eventuale “conversione” ci squilibrerebbe la dieta: «Fino ad una certa età il consumo di carne è necessario alla crescita. Solo dopo i 40 anni se ne può fare ragionevolmente a meno». Io ho smesso di mangiare carne a 26 anni eppure sono “cresciuto” lo stesso, Margherita Hack non l’ha mai mangiata ed è “cresciuta” ancor meglio di me. Tuttavia, non volendo elevare questi casi personali a verità universali, ho chiesto l’opinione di un altro medico: la dottoressa Luciana Baroni, presidente della Società Scientifica di Nutrizione Vegetariana. La risposta è stata netta: «questa affermazione è estremanente superficiale, in quanto fa passare un’opinione personale per verità scientifica, il che è oltretutto estremamente scorretto. Si è ben espressa su questo aspetto l’American Dietetic Association, che nuovamente nel 2009 nel suo Position Statement ribadisce:

   

    ”E’ posizione dell’American Dietetic Association che le diete vegetariane correttamente pianificate, comprese le diete totalmente vegetariane o vegane, sono salutari, adeguate dal punto di vista nutrizionale, e possono conferire benefici per la salute nella prevenzione e nel trattamento di alcune patologie. Le diete vegetariane ben pianificate sono appropriate per individui in tutti gli stadi del ciclo vitale, ivi inclusi gravidanza, allattamento (*), prima e seconda infanzia e adolescenza, e per gli atleti”».

«Qualunque tipo di dieta», ha commentato la dottoressa Baroni, «può essere equilibrata o squilibrata. Non è però la presenza o assenza di carne e altri cibi animali che fa la differenza, bensì la quantità, la qualità e la varietà dei cibi introdotti. La dieta vegetariana è in grado di fornire i nutrienti necessari anche alla crescita dei bambini».

Ma il fondo il prof. Cosmancini lo tocca nel finale: «Il rischio del vegetarianesimo a tutti i costi potrebbe causare un nuovo monofagismo, la divinizzazione di un solo cibo, con tutte le perversioni alimentari collegate». Monofagismo, divinizzazione, perversioni: il ritratto di un orda di fanatici con tendenze monomaniacali non potrebbe essere più completo. Significa davvero questo fare la scelta vegetariana? Analizziamo una ad una queste tre parole chiave.

Monofagismo: l’alimentazione vegetariana consisterebbe nel nutrirsi di un solo cibo. Consulto l’indice di un libro sulle colture erbacee: contiene 40 diverse piante alimentari. Ne prendo uno sulle colture ortive: ne contiene 60 (solo in piccola parte coincidenti con le precedenti). Ne prendo uno sulle colture arboree: ne contiene 22. Aggiungiamo cibi come il seitan, cucinabile in innumerevoli maniere o gli svariati derivati della soia, fra cui il latte e il tofu, anch’esso cucinabile in innumerevoli modi. Un solo cibo? Confrontiamo questa notevole varietà con la tetra monotonia di un’alimentazione basata sulla carne e sapremo dove sta il monofagismo.

Divinizzazione: una sera mi trovai a parlare con una convinta “carnivora”. A un certo punto si lanciò con toni ispirati nel seguente panegirico: «per me mangiare una bistecca è un’esperienza divina. E’ quasi un orgasmo mentale!» Siamo certi che siano i vegetariani a “divinizzare” le proprie scelte alimentari?

Perversioni: non la faccio troppo lunga, anche perché, alla luce di quanto ho prima scritto sarebbe pleonastico. Mi limito solo a dire: fate quattro passi all’interno di una tavola calda (non necessariamente McDonald’s), consultate il monotono menu, date un’occhiata ai vassoi dei clienti, poi all’aspetto fra la catena di montaggio e la sala operatoria di tutto l’insieme. Non sentite un non so che di perverso in tutto questo?

Il trucco del resto è vecchio: girare la frittata attribuendo a ogni visione alternativa i difetti, le storture, le perversioni, la pezzente povertà del loro mondo. L’esperienza insegna che ciò rende contento il signor Rossi.

Nota: (*) Ci si intende riferire naturalmente alle madri in fase di allattamento (N. d. R.).

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