La Danimarca entro il 2050 dirà addio alle fonti fossili di energia, secondo un rapporto predisposto dalla Commissione governativa danese sul clima. Un obiettivo molto ambizioso, considerando che il progetto presentato dovrebbe portare ad una riduzione delle emissioni di gas serra dell’80-95%. Il primo ministro Lars Rasmussen è molto deciso, e vuole che il suo governo studi le raccomandazioni del rapporto molto da vicino, in modo da potere presto presentare un percorso con una data precisa che segni, appunto, l’emancipazione dai combustibili fossili. «Saremo uno dei primi Paesi al mondo», ha affermato il premier danese, ammettendo allo stesso tempo che «un piano per una transizione come questa toccherà ogni settore della società, e implicherà scelte molto difficili».

Le previsioni dicono che la Danimarca passerà dai 3 mila megawatt eolici oggi prodotti (soprattutto attraverso i numerosi impianti offshore) a 18 mila MW nei prossimi 40 anni. Un’altra misura che verrà presa per realizzare questo storico passaggio alle rinnovabili sarà l’aumento delle tasse sull’energia prodotta da combustibili fossili, che dovrebbe crescere dalle attuali 5 corone danesi (circa 67 centesimi di euro) per gigajoule a 50 entro i prossimi vent’anni (2030). Secondo il rapporto della Commissione sul clima ciò sarà possibile grazie alla discesa dei costi per l’installazione di impianti da energia eolica e solare, che si verificherà parallelamente alla continua crescita dei prezzi di metano e petrolio.

Non solo, anche la limitazione dei consumi concorrerà in modo significativo al raggiungimento del risultato (punto del progetto danese forse più in controtendenza, in un sistema economico globale votato alla crescita infinita degli stessi), mentre un ruolo chiave sarà quello del riscaldamento domestico, per il quale sarà molto importante sfruttare al meglio l’energia ricavata dalle biomasse e da altre fonti rinnovabili (solare, eolico, geotermico). Si parla anche di reti elettriche intelligenti e di teleriscaldamento, nel rapporto in questione, anche se quest’ultimo è per molti un metodo di “trasporto del calore” non particolarmente efficiente, viste le grandi dispersioni che si rischia di avere e gli elevati costi a livello di isolamento delle condutture. Specie in un Paese dal clima rigido come quello danese.

Il teleriscaldamento, concentrando la produzione di calore in grandi centrali che distribuiscono il calore alle aree circostanti, è infatti una forma di riscaldamento a distanza, che consiste nella distribuzione alle abitazioni, con successivo ritorno alla centrale, dei cosiddetti “fluidi termovettori” (acqua calda, acqua surriscaldata, vapore)  attraverso una rete di tubazioni isolate e interrate. E qui sorge il dubbio, che porta a chiedersi se si sta parlando di un enorme passo avanti verso un sistema energetico efficiente e sostenibile, o se è l’ennesimo grande proclamo di un governo che ha bisogno di maggiori consensi. Di sicuro la Danimarca non è l’Italia, parlando di ricerca del consenso e di metodi per ottenerlo. Ma ovviamente anche nei Paesi scandinavi i migliori propositi possono non portare a nulla.

Certo pensare di potere emanciparsi dal petrolio nel corso di pochi decenni è davvero ambizioso. «L’obiettivo è possibile», ha però precisato Rasmussen, «anche se ha implicazioni sul piano del debito e dei posti di lavoro che vanno analizzate. Ma sappiamo che dobbiamo partire ora per raggiungerlo». Sì, in Danimarca ed in molti altri Paesi che, come il nostro, si considerano “avanzati”, si vuole partire ora verso l’efficienza e l’indipendenza energetica. Forse perché i danesi non hanno “amici” come Putin o Gheddafi. O forse perché implementare (almeno nelle intenzioni) progetti che adottino misure che ambiscono alla riduzione dei costi, degli sprechi e addirittura dei consumi di energia, o che parlano di rinnovabili e di “reti intelligenti”, invece che di un improbabile ed insensato rilancio del nucleare, inizia in molte parti del mondo ad avere l’aspetto di scelte ormai ineluttabili.

Fonte: www.ilribelle.com

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