Va sostenuto il movimento che nel Napoletano denuncia i traffici di rifiuti tossici e si batte per la raccolta differenziata contro la logica degli inceneritori e delle discariche. C’è in gioco la salute. Anche delle generazioni future.
È incredibile vedere Napoli, una città così bella, di nuovo sommersa dai rifiuti. Mi sento di affermare che oggi Napoli è in stato di peccato mortale. Avevo già detto questo di Nairobi, capitale del Kenya, dove 3 dei 4 milioni di abitanti sono costretti a vivere in baracche, disseminate su 2,5% del territorio cittadino.
Ma va capito che il vero problema di Napoli non sono i rifiuti in strada. Siamo di fronte a una città e a una regione, la Campania, letteralmente immerse nella morte. Il problema si chiama “rifiuti tossici”. Sono 20 anni che l’industria dell’Italia del nord sta sversando rifiuti tossici in Campania. E i rifiuti tossici producono nanoparticelle e diossine, che sono causa di tumori, leucemie e malformazioni.
A ciò è venuta ad aggiungersi la vittoria dei potentati economico-finanziari, che hanno deciso di realizzare l’industrializzazione del ciclo dei rifiuti non industriali. Per arrivare al cuore del problema: ai potentati economico-finanziari non va bene la raccolta differenziata; vogliono l’incenerimento e il sistema delle discariche. E se ciò produce altre diossine, non importa. La legge 123 (14 luglio 2008) del governo Berlusconi impone alla regione 4 inceneritori e 12 megadiscariche. E questo viene imposto con la forza della polizia e dell’esercito.
Per san Paolo il peccato è morte e produce morte. Ecco perché parlo di una città in “stato di peccato”. Ecco perché, da anni, lotto anch’io a fianco di chi sta opponendo resistenza a questa assurdità.
Abbiamo lottato nel 2008, quando c’era stata l’altra emergenza rifiuti. E stiamo lottando oggi contro la legge 123.
Il 25 settembre ho potuto portare la mia solidarietà a Boscoreale, il paese più toccato da Cava Sari, la discarica da cui emana una puzza incredibile, che rende l’aria irrespirabile. Ho portato la mia solidarietà alla gente che si è ribellata. Solidarietà è stata espressa anche dal vescovo di Nola, mons. Beniamino Depalma, il quale, durante una messa celebrata in piazza, ha sottolineato che la protesta è sacrosanta e che la camorra non c’entra con i cittadini che chiedono rispetto.
Poi, ho continuato a camminare, sia in ottobre che in novembre, a fianco della gente dei comuni vesuviani. C’è stata la marcia, nel cuore della notte, da Terzigno a Boscoreale. Non potrò mai dimenticare le urla di una donna davanti ai poliziotti in assetto antisommossa: «Ho sei figli e quattro nipoti. Non sono qui per me, ma per loro. Picchiatemi pure, ma non posso mollare». Davvero straordinarie queste donne – “le mamme vulcaniche” – che hanno percepito con chiarezza che qui c’è un attacco alla vita stessa e hanno reagito in maniera nonviolenta. È stata loro l’idea della marcia a Pompei per supplicare la Madonna. Sono state loro a inviare una lettera a Benedetto XVI e al presidente Napolitano.
Il 24 ottobre hanno manifestato a Boscoreale una cinquantina di medici in camice bianco. Perché il problema fondamentale è la salute della gente.
In un primo momento, sembrava che il movimento di protesta fosse riuscito a convincere Berlusconi a far toglier dalla legge 123 la Cava Vitiello, all’interno del Parco del Vesuvio, che può contenere fino a 10 milioni di tonnellate di rifiuti. Ma non se n’è fatto nulla. E sono proseguiti i bandi per gli inceneritori, sia a Ponticelli, periferia est di Napoli, sia a Salerno. Un altro è previsto a Giuliano per le cosiddette ecoballe.
Sono stato vicino alla gente anche quando sono stati bloccati i camion dei rifiuti a Chiaiano e a Taverna del Re. Questa resistenza ha un unico scopo: far capire a tutti che la legge 123 è un problema serio per Napoli e la Campania. Se entreranno in funzione i 4 inceneritori, la Campania dovrà importare rifiuti da altre regioni… Se i napoletani che resistono saranno sconfitti, sarà poi la volta della Calabria, della Sicilia e del Lazio. Perché questo è il progetto dei potentati economico-finanziari.
Noi diciamo, invece, che c’è un’altra strada: quella della raccolta differenziata. Ogni comune deve fare il 70% di raccolta differenziata: il 40% di umido, da riutilizzare come compost in agricoltura; il 30% di secco, riutizzabile dall’industria. Per eliminare il rimanente 30% è necessario che tutti modifi chiamo il nostro stile di vita. No alle buste di plastica. No ai prodotti con troppi imballaggi. No alle bottiglie di plastica… Usciremo dalla crisi solo riciclando tutto. Ne va del creato e della salute.

Fonte: Nigrizia – 3/12/2010
 
 

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