Scarica gratuitamente qui il numero 27 – dicembre 2010 – de La Voce del Ribelle

In Occidente si spende sempre meno e i demiurghi della globalizzazione si concentrano sui Paesi in via di sviluppo. Parola d’ordine: consumare, consumare, consumare

Secondo uno studio della Unctad, la Conferenza dell’Onu sul Commercio e lo Sviluppo,  per uscire dalla crisi la ricetta è semplice: basta aumentare i consumi e sfruttare gli investimenti “verdi”. Con l’aiuto dei paesi emergenti e di quelli in via di sviluppo. Ed evitando in tutti i modi le politiche protezionistiche adottate dagli Stati per proteggere dal collasso le loro industrie nazionali.

Ergo, ci vuole qualche ritocco alle regole già esistenti. «In seguito alla recente crisi economica mondiale, molti governi dei paesi sviluppati e in via di sviluppo sono stati spinti ad utilizzare strumenti di politica commerciale. (…) Mentre l’Organizzazione mondiale del commercio ha lavorato efficacemente contro il protezionismo diffuso, emanando norme che disciplinassero il sistema multilaterale, oggi, le stesse si rivelano inadeguate a causa della rapida evoluzione delle realtà economiche. Sono presenti un maggior numero di attori economici, prodotti e servizi rispetto a quando la Wto è stata istituita. Inoltre, gli aspetti non commerciali, come la tutela dell’ambiente, sono molto più importanti».

È questo l’asse intorno al quale ruota lo studio della Unctad, preparato insieme alla Japan External Trade Organization, l’ente che promuove gli scambi e gli investimenti tra il Giappone e il resto del mondo. Sorvolando sul titolo della ricerca, “Il commercio internazionale dopo la crisi economica”, già di per sé illusorio e fuorviante perché farebbe pensare ad una nuova prospettiva, l’analisi mette in evidenza un dato di fatto, e cioè che la crisi economica e finanziaria ha determinato una forte contrazione del commercio mondiale. Un duro colpo per le economie e soprattutto per quelle dei paesi che hanno basato la propria crescita sulle esportazioni. E poichè lo sconquasso «ha cambiato il panorama della politica economica, rappresenta una di quelle rare occasioni in cui potrebbe essere adottata una nuova direzione». Ed ecco il riassetto. Che lascia inalterato il modello complessivo ma che attribuisce ai paesi in via di sviluppo e a quelli emergenti, la funzione trainante del commercio internazionale, fin ora detenuta dall’Occidente. Un’inversione di responsabilità, non di rotta. Non si parla di riformare il modello economico, ma di riorganizzarlo.

Anzi, tutte le misure di politica commerciale introdotte come risposta alla crisi finanziaria, sono state considerate niente meno che un vero toccasana, e coerenti con le norme dell’Organizzazione del Commercio Mondiale. Semplificando, le direttive esposte nello studio equivalgono allo spostare qualche giocatore qua e là, adottando uno schema diverso. Ma senza cambiare gioco. L’Unctad, il cui Segretario generale è Supachai Panitchpakdi, ex direttore della Wto, indica anche le opportunità da sfruttare per “risanare” il commercio internazionale e le economie mondiali.

Bisognerà investire nei «beni ambientali e nelle tecnologie “verdi» ed «adattare l’agenda internazionale del commercio alle esigenze ed alle aspettative del settore privato». Solo in questo modo potrebbe essere contrastata la diminuzione degli scambi commerciali, considerata tra le cause principali dell’aggravarsi della recessione. Con l’aggiunta di un’altra raccomandazione: impegnarsi a raggiungere un accordo definitivo sul Doha Round, il ciclo di negoziati della Wto che hanno avuto inizio nel 2001 con l’obiettivo di eliminare le barriere commerciali di tutto il mondo ma che sono bloccati dal 2008 per divergenze su questioni importanti, come l’agricoltura. Stati Uniti ed Europa, ad esempio, non hanno intenzione di rinunciare ai sussidi agricoli in quanto rischierebbero il crollo del settore, già in crisi proprio a causa della concorrenza spietata dei paesi emergenti, come la Cina.

Sia la Conferenza Onu sul Commercio e lo Sviluppo, sia l’Organizzazione del Commercio Mondiale, non danno l’impressione di preoccuparsene. Entrambe sembrano spingere affinché l’Occidente ceda lo scettro a paesi come la Cina e l’India. Entrambe considerano di vitale importanza per la sopravvivenza di questo modello economico, che la domanda per beni e servizi riprenda a crescere. La crisi ha paralizzato i consumi nel Nord del mondo. E loro, per ovviare al problema, consigliano di incrementare il commercio con i paesi emergenti ed in via di sviluppo, dove la domanda è in espansione, e nel contempo raccomandano questi ultimi di adottare delle politiche economiche che aumentino il loro potere di acquisto. Come si dice: “cambiando l’ordine degli addendi, il risultato non cambia”.

Fonte: La Voce del Ribelle 

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