Il Giappone alza bandiera bianca: per ora sospende la caccia alla balena e probabilmente annullerà la “missione” in corso nelle acque dell’Antartico. La flotta baleniera nipponica, autorizzata ancora una volta a compiere l’ennesima mattanza – bottino, mille cetacei – si arrende per ora agli eco-pirati di Paul Watson, leader dell’associazione Sea Sheperd: con le loro veloci imbarcazioni d’assalto, i “pastori del mare” si interpongono tra arpioni e balene, ostacolando le operazioni di macelleria marittima condotte con l’alibi assurdo della ricerca scientifica. Impossibile manovrare in un mare brulicante di spericolati incursori, scesi in campo a difesa delle balene.

L’Agenzia della pesca giapponese, scrive il “Corriere della Sera”, dopo aver fermato le attività della flotta baleniera sta ora valutando si far rientare alla base le navi. «Il peschereccio Nisshin Maru, che è inseguito dalle imbarcazioni di Sea Shepherd, ha sospeso l’attività dal 10 febbraio per ragioni di sicurezza», ha spiegato un responsabile dell’Agenzia, Tatsuya Nakaoku. «Stiamo studiando la situazione, compresa la possibilità di fermare prematuramente la missione», ha aggiunto. La caccia per scopi commerciali ai cetacei è vietata dal 1986. Lo scorso anno il Giappone catturò 506 balene di Minke, sotto la quota di 850 che aveva fissato Tokyo per “ricerca scientifica”.

La balenottera minore, in inglese “Minke whale”  – un cetaceo lungo al massimo dieci metri, del peso di cinque tonnellate – è la preda su cui hanno ripiegato i balenieri nipponici, dopo la fine della caccia alle grandi balene, divenute rarissime. Piccole o meno, anche le balenottere di Minke hanno il diritto di sopravvivere: questo l’imperativo categorico degli “eco-pirati” guidati da Watson, in mare con tre unità speciali attrezzate contro le baleniere. E’ stato in particolare l’intercettore super-veloce Gojira (nome giapponese del mostro cinematografico Godzilla) a costringere la flotta baleniera nipponica a ritirarsi, almeno per ora.

Una strategia «senza compromessi», attuata tenendosi sulla scia delle quattro baleniere giapponesi sin dal loro arrivo in zona, puntando in particolare sulla nave-mattatoio, l’ammiraglia Nisshin Maru, piazzandosi davanti allo scivolo a poppa e bloccando l’accesso alle navi arpionatrici. Watson ha accolto con cautela la notizia della sospensione della caccia: «Se è vero, dimostra che la nostra strategia ha avuto successo», ha detto per telefono alla radio australiana Abc. «Non credo che abbiano preso più di 30 balene, su una quota originale di oltre 1.000. Li abbiamo trovati prima che cominciassero a ucciderle e li abbiamo seguiti da allora. Siamo riusciti a manovrare in modo che le navi arpionatrici non potessero avvicinarsi alla Nisshin Maru, e abbiamo bloccato completamente le loro operazioni».

Dalla parte dei Sea Shepherd, aggiunge Watson, si collocano la maggioranza dell’opinione pubblica e la legge internazionale: «E’ solo questione di tempo prima di poter vedere la fine delle operazioni illegali contro le balene». Le autorità di Tokyo affermano che questa caccia fa parte integrante della cultura nipponica, ammettendo però che, nonostante i dichiarati fini di ricerca, i tranci di balena finiscono poi sulla tavola dei giapponesi. Gli ecologisti dal canto loro denunciano una pratica crudele e inutile, sottolineando che la carne non è più particolarmente apprezzata in Giappone, e che le missioni sovvenzionate dalle autorità costano care ai contribuenti.

In Italia, l’Ente nazionale protezione animali attribuisce il merito dello stop anche alle pressioni diplomatiche di Australia e Nuova Zelanda: anche se il ministro della Pesca Hiroshi Kawamura ha dichiarato che la caccia è stata temporaneamente sospesa per motivi di sicurezza a causa delle incursioni di Paul Watson, i governi australiano e neozelandese hanno denunciato il Giappone al tribunale dell’Aia. Tutto questo, senza sminuire lo spettacolare risultato ottenuto proprio dai “bucanieri” di Watson, canadese di Toronto, un passato nella Guardia costiera e una lunga militanza in Greenpeace prima di fondare Sea Shepherd, associazione internazionale specializzata nel contrasto delle flotte baleniere.

«Ogni balena salvata è per noi una vittoria», dice Watson, spiegando che la campagna di quest’anno, la settima consecutiva, è stata la più potente: i natanti veloci degli “eco-pirati” rendono impossibile la vita alle baleniere, ostacolano rotta e operazioni, e intanto fanno parlare di sé, gettando luce sulla drammatica mattanza dei cetacei, condotta in mari lontani, fuori dalla portata delle telecamere televisive – ma non di quelle di Watson, che ha dislocato sul web una vasta documentazione video dei suoi “assalti” contro la flotta-killer del Sol Levante, “assediando” la nave-mattatoio e isolandola dalle baleniere arpionatrici.

«E’ una grande vittoria delle associazioni ambientaliste che si sono mobilitate in tutto il mondo per porre fine al massacro», dice Ilaria Ferri, che coordina le campagne internazionali dell’Enpa. «E’ stata soprattutto una vittoria dei cetacei, che quest’anno si sono salvati, e mi auguro che anche in quelli a venire non dovranno più sfuggire agli arpioni delle baleniere giapponesi». Considerate specie particolarmente protette e a rischio di estinzione, fa notare l’Enpa, le balene sono animali migratori che non possono e non devono essere considerate proprietà di nessuno Stato, specie se lo sono per essere barbaramente massacrate nel nome della “ricerca scientifica”.

Fonte: Libre

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