Sotto inchiesta il “poligono della morte”, sospettato di provocare tumori nella popolazione sarda che vive ai confini della zona militare. La Procura della Repubblica di Lanusei ha aperto un’indagine sul Salto di Quirra, il poligono militare interforze di Perdasdefogu, dopo la segnalazione dei veterinari delle Asl secondo cui il 65% dei pastori si sarebbe ammalato di leucemia. L’accusa, ipotizzata dal romanzo “Perdas de fogu” di Massimo Carlotto e rilanciata da comitati, associazioni e opposizione di centro-sinistra, è che i test balistici e missilistici – delle forze Nato ma anche di singoli produttori di armamenti, a cui il poligono viene affittato – possano diffondere nell’aria, in mare e sul terreno le micidiali “polveri di guerra”, radioattive come l’uranio impoverito responsabile di tante morti fra militari e civili.

«La decisione del procuratore Domenico Fiordalisi – scrive “L’Unione Sarda”, il giornale che con un reportage di Paolo Carta ha riaperto il caso il 4 Quirragennaio scorso – fa seguito al ritrovamento, nei giorni scorsi, di un missile con ogiva finito nelle reti di pescatori e di numerosi altri ordigni a pochi metri di profondità nello specchio di mare antistante il poligono». Nelle scorse settimane, continua il giornale, la Procura aveva disposto anche il sequestro dei bersagli utilizzati nella zona riservata alle attività militari. Di fatto, l’11 gennaio il procuratore Fiordalisi ha aperto la prima inchiesta penale sulla cosiddetta “sindrome di Quirra”, segnalata nell’area nei pressi della base militare, in Ogliastra, dove si sono registrati vari decessi per tumore e la nascita di animali deformi.

Un’inchiesta nata dopo le denunce giornalistiche e la pubblicazione degli esiti allarmanti delle analisi condotte dalle Asl di Lanusei e Cagliari, che denunciano il proliferare della leucemia tra i pastori dell’area e l’abnorme numero di agnelli nati deformi. Numerose anche le richieste di chiudere il poligono, e non solo provenienti dalla Sardegna: il Pd ha chiesto la chiusura del sito militare in una mozione presentata alla Camera e al Senato, anche se il governo si è finora accontato del “monitoraggio ambientale” commissionato non a un istituto scientifico indipendente ma all’agenzia Quirra agnelloNamsa della Nato. L’indagine giudiziaria di Lanusei potrebbe ora cominciare a far luce sulla vicenda, dopo decenni di denunce senza esito.

Non risulta che sia stata finora condotta alcuna indagine epidemiologica ufficiale e risolutiva, afferma Stefano Deliperi, uno degli attivisti impegnati a chiedere un controllo definitivo sulla situazione sanitaria. «Silenzio ufficiale – continua Deliperi – su quanto sostenuto dalla ricercatrice Antonietta Morena Gatti, direttrice del Laboratorio dei biomateriali dell’Università di Modena ed uno dei maggiori esperti in materia di nanopatologie». Si tratta di nano-particelle di metalli e materiali esplodenti come il tungsteno, che possono provocare tumori gravissimi, come indicato dagli studi sulla analoga “sindrome dei Balcani” che ha colpito le truppe impegnate nell’area. «Ora la Procura di Lanusei ha finalmente aperto una indagine penale e sta procedendo con passi concreti», aggiunge Deliperi, sperando che Stato e Regione procedano ora con controlli adeguati.

Sotto accusa, proprio come nel romanzo di Carlotto, le “polveri di guerra” che lasciano sul terreno i proiettili di artiglieria e i razzi esplosi, ordigni che si teme contengano anche uranio impoverito. Responsabile, secondo il comitato civico sardo “Gettiamo le Basi”, di tumori che a Quirra hanno già colpito 40 civili e 23 militari. A rompere il silenzio, il reportage dell’“Unione Sarda” sul lavoro dei veterinari Giorgio Melis e Sandro Lorrai. Un dossier Quirra 3che – in attesa degli ulteriori esami di laboratorio, condotti sul terreno – racconta la situazione di emergenza che colpisce innanzitutto i pastori, i più prossimi al territorio interessato da esercitazioni e test balistici.

Quello del Salto di Quirra è il poligono più esteso d’Europa, “fiore all’occhiello” delle forze armate italiane: viene utilizzato dai militari ma anche «dato in affitto alle varie multinazionali delle armi, che lo usano come palestra per fare esperimenti, test, collaudi, come show-room per vendere armi e far vedere come funzionano bene razzi e missili», spiega Mariella Cao del comitato “Gettiamo le Basi”, in prima linea da anni contro l’installazione oggi finita nel mirino della magistratura dopo segnalazioni che risalgono addirittura al 1998: centinaia di casi di leucemia, tumori al sistema emolinfatico e nascite con malformazioni genetiche, non solo tra gli animali ma anche tra gli esseri umani, come scrive Fabrizio Laure su “MainFatti”.

La prima ad indagare sulla “sindrome di Quirra” è stata la professoressa Gatti dell’università di Modena, che rilevato nei tessuti degli abitanti di Quirra le stesse nano-particelle prodotte da ordini all’uranio impoverito rinvenute nel corpo di Valery, un soldato sardo morto di leucemia dopo aver prestato servizio nei Balcani. Quando è andato emergendo il collegamento fra uranio impoverito, Balcani e “sindrome di Quirra”, accusa Marinella Cao del comitato “Gettiamo le basi”, la dottoressa Gatti – pure inizialmente coinvolta in una inchiesta parlamentare sull’uranio impoverito – è stata «dimenticata». Proprio il lavoro della Gatti potrebbe ora fornire nuovi Quirra 2elementi per le indagini avviate dalla magistratura di Lanusei su quella che i pacifisti definiscono “la Chernobyl italiana”.

In Sardegna non è solo il Salto di Quirra ad allarmare la popolazione, ma anche la base di Capo Teulada e quella della Maddalena, solo da poco abbandonata dalle forze statunitensi: vi transitavano sommergibili a propulsione nucleare che si teme possano aver rilasciato in mare materiale radioattivo. Gli ambientalisti chiedono la verità da ormai dieci anni: denunciano un’altissima incidenza di tumori in prossimità delle installazioni industriali come Sarroch e Porto Torres e delle grandi basi Nato sarde, estese su una superficie che supera il 50% dell’intero demanio militare italiano. «È provato – afferma Claudia Zuncheddu, consigliere regionale – che nelle zone più inquinate l’incidenza tumorale sia più alta proprio in relazione alle emissioni delle fabbriche e ai danni causati al territorio dai test bellici». Verità finora insabbiata, ma – a quanto pare – destinata ora a venire alla luce.

Fonte: Libre

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