Ci sono rumori che servono a depistare e silenzi che servono per occultare. Forse è giunto il momento di rompere il silenzio atomico che ci sta avvolgendo, in una progressione concitata ma inesorabile. Forse è l’ora di iniziare a discernere quello che veramente si cela nel frastuono apparente delle notizie rapsodiche ed epilettiche che ci arrivano (o meglio, che ci fanno arrivare) da Fukushima. E soprattutto da quelle che dietro la favoletta mediatica dell’“agire maldestro”, e degli “errori umani”, non ci fanno arrivare.

Forse dobbiamo combattere con più forza l’ennesimo nefasto effetto collaterale della guerra. Che è quello di modificare l’agenda del mondo, di distrarre i giornali e le tv, di nascondere con il rombare mortale dei Tomahawk nel deserto africano la pestilenza della contaminazione nel mondo. Esaminate il racconto di Fukushima: nulla di quello che ci hanno detto è vero. Incidente lieve. Eroi indomiti. Azienda di samurai che fa filosofico esercizio di contrizione. Noccioli che fondono solo a metà, fughe di vapore radioattivo, ma controllate.

Tutte balle: gli eroi sono martiri o kamikaze. Le fughe non sono controllate ma letali. Il presidente della Tepco sta male solo perché non sa cosa dire. Le raccomandazioni di tenere chiuse porte e finestre di fronte alla nube sono state criminali e omicide. Il plutonio approda sui tetti di un altro continente. Il premier giapponese, Naoto Kan ha recitato alla perfezione il copione taroccato dell’indignazione. Il livello sette, quello della catastrofe massima, era inscritto come un destino fin dal primo giorno, nelle crepe degli involucri fessurati.

Adesso il mondo dovrebbe commissariare gli apprendisti stregoni, che agiscono con logiche imperscrutabili. Adesso l’Onu dovrebbe intervenire contro un delitto che prolunga i suoi effetti per una era geologica. Invece nel frastuono si cela il silenzio. E il rumore delle bombe ci distrae dall’essenziale.

Fonte: ilfattoquotidiano.it

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