Un piccolo gruppo di studiosi e sostenitori della decrescita ha accompagnato Serge Latouche in un giro di conferenze a Creta e ad Atene. L’idea nasce dall’architetto e archeologo di passione Piero Meogrossi di Roma, che da alcuni anni cerca di portare Latouche in Grecia per coinvolgerlo in un affascinante progetto sulla decrescita a Lentas, paesino affacciato su un mare splendido, dimenticato dal mondo. In fondo si tratta di riportare le idee della decrescita a Creta, dove in qualche modo quei temi hanno avuto origine. La decrescita è infatti da molti considerata come figlia dalla «phronesis», la saggezza greca che, nel corso della storia, è stata violentata dal «logos», cioè dalla razionalità e dal calcolo economico, che ne hanno fatto perdere le radici.

Prima di definire le date del viaggio, riceviamo varie messaggi da parte di Giorgos Kallis [greco, ricercatore all’Università autonoma di Barcellona] e collaboratore di Giorgos Lieros [veterinario, impegnato in vari movimenti ambientalisti ad Atene], che propongono una conferenza sulla decrescita al Politecnico di Atene. Insomma, non solo Creta, ma anche il centro del paese – ci spiegano – cerca soluzioni alla crisi attraverso i temi della decrescita. Un po’ sorpreso da tanta insistenza, Serge Latouche accetta la proposta.

Già all’aeroporto di Atene incontriamo i primi attivisti in compagnia di alcuni giornalisti e fotografi. Vogliono intervistare Latouche, in modo da poter uscire subito con articoli e servizi per far precedere la conferenza al Politecnico con un vasto «tam tam» informativo. Ripartiamo quindi per Heraklion, la capitale di Creta, dove ci aspetta Costas Manidakis con alcuni amici. Volti noti, sorridenti, degni di un film di Pier Paolo Pasolini. A parte il solito «kalimera, kalimera», molti ci dicono qualche parola in italiano. Costas ha studiato geologia a Modena, parla perfettamente italiano ed è da sempre un sostenitore della decrescita. Durante la dittatura dei colonnelli, da giovane si è ritirato in uno dei luoghi più abbandonati di Creta, Lentas. È lui ad aver organizzato con altri gli incontri conviviali con la società civile cretese, la conferenza all’università di Heraklion e una passeggiata con esperti di archeologia.

La sera siamo invitati a cena con alcuni intellettuali cretesi in una casa tipica della media borghesia europea. Molti parlano italiano, anche loro hanno studiato a Modena, Bologna e Roma e si respira un’atmosfera di «solidarietà mediterranea». Le donne, attivissime, architetti e urbanisti, hanno preparato una cena profumatissima con le specialità dell’isola. Senza tanti preamboli si entra subito nel vivo del tema della serata, che poi sarà il tema centrale di tutti gli incontri pubblici e privati: il debito e il disastro sociale ed economico della Grecia. Un debito complessivo di 110 miliardi di euro: tutti pensano che il governo non abbia saputo difendere il paese dal gioco al massacro imposto da banche, Fondo monetario internazionale e Unione europea. La maggior parte della popolazione valuta la politica economica di Papandreou negativamente e molti sono convinti che il Fondo monetario dovrebbe essere cacciato dal paese. Ci dicono che solo un quarto della popolazione vuole ripagare il debito, mentre l’altra parte chiede di ritrattarlo. Quasi tutti sono convinti che la Banca centrale europea abbia molte responsabilità nel disastro economico greco e una parte della popolazione è favorevole alla fuoruscita dall’euro e un ritorno alla Dracme.

Il debito di Islanda e Ungheria

Latouche cita subito l’esempio dell’Islanda, di cui nessuno parla. Spiega come l’Islanda abbia deciso attraverso due referendum popolari di non rimborsare più il suo debito. «Non è vero che il debito deve essere ripagato per forza – dice Latouche – Una politica nuova, che purtroppo spesso viene proposta soltanto dalla destra, come in Ungheria, ha deciso di far pagare il debito alla banche. Non sarà né facile e né indolore, ma rispetto alla barbarie che stanno preparando i nostri governi sarà forse necessaria». Di fronte alla preoccupazione per l’euro, Latouche parla anche dell’Argentina che per superare la crisi ha usato le monete locali, i creditos o patacones, che hanno funzionato per assicurare la sopravivenza attraverso un’economia locale. Qualcuno accenna addirittura della possibilità di una fuoruscita della Grecia dall’Ue. Le analisi e le parole di Latouche sembrano in qualche modo attese e sperate. Non pagare il debito, no alla austerità imposta, sì alla moneta nazionale e sì all’uscita dall’Ue, sembravano idee troppo radicali, ma alla luce degli ultimi avvenimenti saranno probabilmente le uniche proposte concrete per ritrovare il senso della cittadinanza ed evitare il collasso e la dissoluzione della società. Ci lasciamo quindi incuriositi: quale sarà la reazione del pubblico greco a queste proposte radicali della decrescita? Ci diamo appuntamento con i nostri nuovi amici alla prima conferenza pubblica ad Heraklion.

Noi intanto partiamo per Lentas, il piccolo villaggio di Costas, dalla parte opposta dell’isola. Creta sembra il paradiso terrestre. Una vegetazione rigogliosa, piccoli campi di ortaggi ben curati, vigneti, antichi olivi e nella montagna pecore arrampicate ovunque si confondono con le spoglie rocce. Paesi piccoli un po’ melanconici, nascosti in vallate, abbandonati da uomini e donne, in cerca di «fortuna» altrove. Con Piero, nostro amico archeologo e Costas, visitiamo Cnosso, Festo e Gortyna, tre siti archeologici di un fascino sconvolgente. La passeggiata ci distrae per qualche ora dalla Grecia disastrata e abbandonata dai mercati finanziari internazionali, anche se le rovine degli imperi passati potrebbero essere una bella metafora del crollo del mondo al quale stiamo assistendo.

Latouche è stato invitato ad Heraklion dal rettore Janis Pallikaris, un personaggio unico. È un medico oculista, inventore dell’uso del laser per la correzione della miopia, diffuso oggi in tutto il mondo, un candidato premio Nobel. Dice di essere un grande stimatore delle idee di Latouche ed è felice di introdurlo al pubblico. La sala è gremita: ambientalisti, amministratori pubblici, docenti dell’università, in prima fila anche l’arcivescovo di Creta. Tutti seguono attenti e preoccupati la relazione che comincia con l’analisi della società della crescita, «una società che vive soltanto per la crescita economica», cioè l’aumento del Pil. «La cosa peggiore che possa accadere a questa società è la non crescita, o la crescita negativa, nella quale oggi ci troviamo». La situazione della Grecia è l’ultimo esempio evidente. I governi si sono indebitati con le banche straniere per proseguire le loro opere faraoniche e adesso decidono di far pagare al popolo il debito obbedendo alle ingiunzioni dei mercati finanziari internazionali.

Le otto «R» della decrescita

Latouche propone quindi il progetto della decrescita, come via possibile per uscire dalla crisi e per evitare che la società cada nella disperazione e nella dissoluzione. Il progetto della decrescita viene raccontato attraverso le «otto R», tutte ugualmente importanti per entrare in un vero circolo virtuoso di cambiamento. Le tre «R» più strategiche sono quello della «rivalutazione» [in quanto presiede qualsiasi cambiamento e determina la decolonizzazione del nostro immaginario], la «R» della riduzione [in quanto sintetizza tutti gli imperativi pratici della decrescita] e la «R» della «rilocalizazione» [perché riguarda direttamente e da subito la vita quotidiana e il lavoro di milioni di persone]. Latouche dice che la decrescita rinnova la vecchia formula degli ecologisti: pensare globalmente, agire localmente. Se infatti l’utopia della decrescita implica un pensiero globale, la sua realizzazione può essere avviata a livello locale. Il progetto di decrescita locale comprende due elementi interdipendenti: l’innovazione politica e l’autonomia economica. Tutti intuiscono che la decrescita è si una provocazione, ma anche una trama per una nuova concezione della politica per una società alternativa, la politica dell’«abbondanza frugale» che permette di ricostruire una società fondata sulla riduzione della dipendenza dal mercato.

Latouche alla fine propone anche per la Grecia la reinvenzione dei commons [i beni comuni, spazio comunitario] e dell’autorganizzazione di «bioregioni» o ecoregioni, entità spaziale omogenee che potranno coincidere con le realtà geografiche, sociali e storiche, rurale o urbane. Dalle domande del pubblico e dai tanti dibattiti con persone della società civile, è evidente come anche in Grecia si stia formando una vera propria resistenza di sinistra, che mette insieme trasversalmente movimenti, pezzi dei partiti di sinistra e verdi. Una resistenza che abbraccia gli operai delle fabbriche, le insegnanti delle scuole pubbliche, docenti universitari e dipendenti pubblici, ma anche pensionati e casalinghe: una rete costruita su grande battaglie civili per la difesa del bene comune.

Tutto questo è ancora più evidente ad Atene. Giorgos Lieros, tra i promotori dell’incontro, dice che loro «sono ben consapevoli che in Grecia non si tratta soltanto di una crisi per il debito e di una crisi finanziaria, ma piuttosto del fallimento dell’idea di sviluppo che il paese persegue da trent’ anni. Per questo chiediamo il cambiamento del paradigma economico e sociale». Di certo, sono sempre di più quelli che in Grecia conoscono le idee della decrescita e sono convinti che il paese è maturo per questa sfida.

Atene, tra crisi e decrescita

Ci avviciniamo ad Atene. Dall’alto la città resta bellissima, sembra una grande tovaglia ricamata nei colori della sabbia che si stende sul Mediterraneo, larga, solare, apparentemente tranquilla. A differenza di molte altre città europee, non ci sono i grattacieli delle compagnie petrolifere e delle banche, nulla fa sembrare Atene dall’alto al centro del dibattito mondale per il disastro economico. Ma già all’aeroporto i colori cambiano: veniamo subito accompagnati da un gruppo di militanti verdi che cercano di trasformare il vecchio aeroporto in un bioparco per la popolazione con orti e spazi pubblici verdi, dal momento che Atene è una delle città con meno verde pro capite al mondo. La costruzione del nuovo aeroporto, costruito in occasione delle Olimpiadi del 2004, oltre a essere una delle cause del grande debito pubblico della Grecia, ha lasciato un enorme deserto di cemento quasi nel centro della città. Si resta davvero shoccati visitando questa immensa area dell’aeroporto abbandonata da quasi dieci anni, in balia dei politici indecisi, che adesso dicono di aspettare i soldi degli emirati Arabi per costruirci il Las Vegas di Atene. Progetti folli, decisi naturalmente sulla testa dei cittadini, nonostante il sindaco di Atene sia stato eletto grazie ai voti delle liste civiche di sinistra. L’area é supersorvegliata, sembra di entrare a Chernobyl, e non appena cerchiamo di fare qualche foto, nonostante fossimo accompagnati anche da un parlamentare, siamo cacciati brutalmente dalla sorveglianza.

Nel centro storico si nota la presenza della polizia un po’ ovunque. Giorgos Kallis dice che il debito creato dal governo «giustifica oggi qualsiasi politica di tagli alla cultura, alla sanità e ai servizi sociali». Via libera alla distruzione dei contratti di lavoro, i sindacati e riduzione del salario fino al quaranta percento. Privatizzazione di edifici pubblici e svendita di proprietà dello stato. Aumentano le tariffe dei servizi e dei trasporti. Tagli ai contributi alle famiglie bisognose, taglio agli aiuti ai disoccupati, licenziamenti nella pubblica amministrazione, la disoccupazione reale è già più del venti percento. «Si è ormai entrato in una recessione permanente, una dichiarazione di guerra continua verso gli strati più deboli – aggiunge Giorgos – Il popolo risponde con scioperi e manifestazioni».

Il rischio di una svolta a destra

Secondo Giorgos Kallis e altri oggi il pericolo di una svolta a destra in Grecia è di nuovo presente. Molti gruppi di estrema destra danno la caccia ai migranti. Lo schema è diffuso in tutta Europa. Anche ad Atene lo straniero è il nemico. Si cerca di scatenare la guerra tra poveri per distrarre attenzione «dai veri responsabili, le banche e il governo, incapace e corrotto. Si cerca di denigrare i movimenti della società civile, i verdi e il Partito comunista, che in Grecia hanno ben individuato nel capitalismo globale la prima causa del dissesto sociale ed economico del paese. In futuro la violenza dei fascisti potrà giustificare un colpo di stato, se il parlamento non riuscirà a garantire la convivenza democratica», avverte Giorgos.

Per l’incontro con Latouche presso il mitico Politecnico di Atene [dove cominciò la rivolta nel 14 novembre 1973 contro i colonnelli], ci sono molte persone. Scritte ovunque, qualche bandiera, qualche banchetto di solidarietà con i popoli insorti del Nord Africa. Il Politecnico sembra un grande centro sociale. Una sala a forma di anfiteatro, già gremito di giovani e anziani, seduti su vecchi banchi sgangherati, ormai pronti per nuove rivoluzioni. Ci sentiamo subito a casa.

Prene parola Giorgos Kallis. Improvvisamente una ragazza si alza e se ne va urlando. Dopo ci spiegheranno che aveva proposto lo spostamento dell’assemblea in strada, in solidarietà con un altro ragazzo migrante aggredito nel pomeriggio da un gruppo di fascisti. «La crisi è stata uno shock, ma non è solo finanziaria ed economica – dice Latouche nel suo intervento – Siamo di fronte a una crisi ecologica, sociale, culturale, una vera crisi di civiltà, cominciata in realtà negli anni Settanta. Finirà solo nel 2050, quando avverrà l’esaurimento delle risorse energetiche fossili. Quindi la sola possibilità auspicabile è la costruzione di una società di sobrietà condivisa, di decrescita, che passa attraverso un cambiamento dei paradigmi, una nuova spartizione della ricchezza, insomma per l’uscita dal capitalismo». Per questi motivi, Latouche dice che la crisi può aiutare anche la Grecia: «L’alternativa esiste già, ma è spesso poco visibile. L’alternativa non è l’austerità né il rilancio tradizionale dell’economia ma l’uscita della società della crescita. Siamo sotto la minaccia di una deflazione mondiale, e la speculazione contro gli stati soffoca continuamente l’emergere di una vera alternativa».

In un secondo momento, Latouche descrive una possibile filosofia della decrscita e accenna brevemente ad alcune idee per un programma politico, per soffermarsi su un punto importante, il lavoro. Dice Latouche: «Non è vero che lo sviluppo produce e crea lavoro, anzi la concorrenza e l’automazione distruggono i posti di lavoro. Bisogna trovare una via d’uscita dato che non ci sarà una ripresa del lavoro, diventerà una risorsa scarsa, dobbiamo condividerlo. Lavorare meno per lavorare tutti. Dobbiamo pretendere il reddito di cittadinanza. Bisogna fare pressione sugli stati, attraverso programmi politici. Dobbiamo chiedere anche la riduzione dell’orario di lavoro per dare occupazione a tutti». La proposta di lavorare meno per lavorare tutti e vivere meglio viene accolta con un grande applauso.

Latouche parla anche, brevemente, dell’Europa: «L’euro è pilotato dalla Bce, e non lascia alcuna possibilità per attuare una autonoma politica monetaria e di bilancio. Gli stati europei si sono lanciati in una concorrenza fiscale al ribasso, senza attuare vere riforme e oggi sono vittime dei propri numerosi errori, difficilmente riparabili. L’Europa sta già crollando. I governi si affannano a varare molti piani per salvare i propri paesi ma non esiste un piano per salvare l’Europa». Chiude, infine, proponendo l’idea dell’«abbondanza frugale, l’unica via d’uscita, dato che la nostra società di oggi, non è una società di abbondanza vera, ma soltanto una società di frustrazioni. L’unica possibilità per creare abbondanza vera è la frugalità. Se sappiamo tutti limitare i nostri bisogni allora possiamo soddisfarli. Dobbiamo combattere la mercantilizzazione del mondo, l’arricchimento di pochi a spese di milioni di poveri. Il mercato globale non sta distruggendo solo il tessuto sociale ma anche la natura e gli ecosistemi al livello mondiale. La società della crescita nega l’essere umano stesso, la sua condizione umana». Il dibattito prosegue con diverse domande e altri interventi. Quando usciamo dal Politecnico è quasi mezzanotte. Una signora ci lascia un biglietto, in cui si legge: «Grazie per averci portato la Speranza».

Lo sciopero generale dell’11 maggio

Il giorno dopo, l’11 maggio, è in programma il viaggio di ritorno a casa. Siamo dispiaciuti di non poter partecipare al grande sciopero generale nazionale, previsto proprio quel giorno. Ma arriva la buona notizia: la partenza del nostro aereo è rimandata a causa dello sciopero. Decidiamo subito di sostenere i compagni greci del Workers militant front, promotori della sciopero. Il corteo parte proprio nel nostro quartiere di fronte al museo di arte antica. Arrivano decine di miglia di persone con striscioni, di tutti i colori, enormi, in sui si legge: «No al debito! No alla privatizzazione! No alla disoccupazione! Burocrati andate a casa!». «Più servizi sociali!». «No alle misure anti-operaie del governo!». «No all’Unione Europea dei capitalisti! No al Fondo Monetario Internazionale! No alla BCE, la plutocrazia del paese!». «No al terrorismo dei padroni! No al capitalismo, No all’Imperialismo!». «No alla flessibilità e alla precarietà! No ai sindacati corrotti che trattano con i padroni sulla nostre pelle!». «L’Operaio può fare a meno dei padroni!». «La barbarie non può essere umanizzata! Si alla resistenza! Si alla salute! Si al autonomia! Si alla vita!». «Noi la crisi non la paghiamo!». «Vogliamo una società senza lo sfruttamento dell’uomo sull’uomo».

Dopo pochi giorni dalla Grecia ci arriva un messaggio di Giorgos: dice che la giornata dello sciopero generale si è conclusa male per colpa di alcuni infiltrati che hanno provocato l’attacco da parte delle forze speciali della polizia. Ci sono stati molti feriti gravi. Nel centro di Atene ci sono di nuovo i gruppi di fascisti in azione, sono responsabili di veri pogrom, con i quali vengono aggrediti i migranti e chi solidarizza con loro. E dai giornali leggiamo che i progetti di privatizzazione continuano per permettere una ristrutturazione soft della Grecia…

[Karin Munck, «obiettrice della crescita», medico, è stata per molti anni direttrice artistica e scientifica del Prix Leonardo, festival internazionale del film scientifico e ambientale. Dal 2003 accompagna Serge Latouche documentando la nascita del movimento internazionale della decrescita].

Fonte: Carta

 

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