A un anno dalle prossime elezioni presidenziali, Barack Obama è nel mirino del mondo ambientalista. Negli Stati Uniti, infatti, la qualità dell’aria continua a peggiorare. A rivelarlo è un nuovo rapporto della U.S. Energy Information administration (Eia), secondo cui le emissioni di CO2 derivanti dal consumo di combustibili fossili, nel 2010, sono aumentate del 3,9% rispetto all’anno precedente: è il maggior incremento percentuale dal 1988. Le cause, secondo gli studiosi, sono da attribuire alla crescita del prodotto interno lordo americano, +3% nel 2010. Ma soprattutto al maggiore consumo di carbone, il combustibile fossile più inquinante, cresciuto di sei punti percentuali dopo una diminuzione del 12% nel 2009. Un grattacapo non da poco per l’inquilino della Casa Bianca, reo di non avere rispettato neppure gli impegni presi con il Clean Air Act per una riduzione delle emissioni di ozono.

Nonostante una crescita media dello 0,6% all’anno, dal 1990 ad oggi non si era mai assistito negli Usa ad un tale boom delle emissioni di CO2. Secondo i dati dello studio Energy-related carbon dioxide emissions 2010 della Eia, lo scorso anno negli Stati Uniti è stata rilasciata in atmosfera la quantità record di 5.638 milioni di tonnellate di biossido di carbonio. Un quantitativo enorme anche per un campione di emissioni come gli Usa, dovuto secondo gli scienziati a diversi fattori. Primo su tutti l’aumento dell’intensità carbonica della fornitura energetica, ossia il rilascio di CO2 per unità di energia prodotta, in netto contrasto con il calo del 2,4% verificatosi nel 2009. Ma anche la ripresa dell’economia americana, resuscitata dopo il crollo degli scorsi anni: “L’aumento del 3,9% delle emissioni di CO2 nel 2010 è stato trainato principalmente dal rimbalzo della recessione economica sperimentato nel 2008 e nel 2009″, afferma Howard Gruenspecht, esperto della Eia: “Ma le nostre previsioni vedono ora una crescita più lenta, con una media dello 0,2% l’anno”.

Una crescita che riguarda anche le emissioni di ozono, gas serra ben più temibile della CO2. Fatto che però non ha dissuaso lo stesso Obama dal decidere, poche settimane fa, di ritardare per almeno altri due anni l’introduzione degli Ozone national ambient air quality standards dell’Epa, l’agenzia per la protezione ambientale del governo Usa. Una scelta che in termini elettorali potrebbe costare caro al presidente. Che, richiedendo personalmente a Lisa Jackson, direttrice dell’Epa, di rinviare fino al 2013 l’introduzione dei nuovi limiti per la presenza in atmosfera di questo potente gas serra (altamente velenoso), ha provocato grande malcontento nel mondo ecologista d’oltreoceano.

Particolarmente dure le critiche di Greenpeace, che ha diffuso un video in cui ricorda al ‘presidente del cambiamento’ tutte le promesse fatte durante la campagna elettorale del 2008. Come quella, appunto, di creare le condizioni per migliorare la qualità dell’aria e di conseguenza la salute dei cittadini. “Mentre gli americani si preparavano per un weekend di vacanza – tuona Philip Radford, presidente di Greenpeace Usa – il presidente Obama ha annunciato che non ha intenzione di far rispettare una legge che avrebbe impedito 12mila morti ogni anno, per proteggere gli americani dall’inquinamento da ozono”.

C’è però anche chi giustifica le scelte del presidente americano. Per Noam Chomsky, ad esempio, la colpa non è di Obama, che ha “le mani legate”, ma del sistema socio-economico statunitense, in cui le multinazionali sembrano ormai le uniche con il potere di prendere le decisioni più importanti. “Con l’aumento dei costi delle campagne elettorali – afferma Chomsky – sia i democratici che i repubblicani sono stati spinti ‘tra le grinfie’ delle corporation”. “Siamo al paradosso”, spiega il filosofo americano: “Entrambi i partiti hanno cominciato a mettere all’asta i posti più importanti al congresso. E i parlamentari che garantiscono più fondi al partito ottengono il posto”. Fondi che, ricorda Chomsky, “ovviamente provengono dalle lobby”. E le più facoltose, si sa, rimangono quelle del petrolio e del carbone.

Fonte: ilfattoquotidiano.it

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