Un’opera «strategica per la crescita», che impedirebbe di «lasciar scivolare la nostra penisola verso il Mediterraneo senza un solido ancoraggio all’Europa»: così parla il premier Mario Monti, l’uomo che finge che l’Italia sia isolata dal resto d’Europa e intanto continua a rifiutare di dare spiegazioni ai 360 tecnici e docenti dell’università italiana che gli chiedono di farla finita con gli slogan e accettare una buona volta un confronto serio sulla “follia” della Torino-Lione. Ancora più irridente e “antico” il ministro dell’ambiente, Corrado Clini: «Si tratta di scegliere se si vuole vivere nel futuro o nel passato», dice, sfrecciando a bordo del super-treno cinese Pechino-Tianjin. La Tav nostrana? Un’opera che «forse non è stata sufficientemente spiegata», ammette soavemente lo stesso Monti, sorvolando sul fatto che – al di là delle Alpi, in quell’Europa così comoda da citare a sproposito – la discussione sulle grandi opere è addirittura obbligatoria, per legge.

In Francia, infatti, «non si discute solo del “come”, ma anche del “se”», cioè «della necessità dei lavori», spiega al “Fatto Quotidiano” Iolanda Romano, specializzata in metodi di partecipazione. Lo stesso Mario Virano, ospite di Lucia Annunziata, ha riconosciuto che uno dei vulnus fondamentali del caso-Tav è il fatto che il confronto è avvenuto «a valle del progetto, quando era già stato inserito nella legge-obiettivo e aveva preso una corsia di accelerazione». Ormai in Italia è tardi per tutto: «Ha poco senso procedere quando le decisioni sono già a uno stato avanzato, sono stati spesi molti soldi e si sono radicati dei convincimenti», dice la Romano, architetto, presidente di “Avventura Urbana” ed esperta in metodi di interazione guidata e tecniche di mediazione e confronto creativo. Quanti “veleni” ci saremmo risparmiati se le autorità italiane – che hanno alternato disinformazione e autoritarismo – avessero adottato fin dall’inizio il “metodo francese”, fondato sulla trasparenza obbligatoria prescritta dalla legislazione per le grandi opere?

Il “débat public” sui maxi-cantieri, spiega Iolanda Romano, è stato istituito dal governo di Parigi già nel 1995: si tratta di una pubblica discussione aperta a tutti, ma gestita da una commissione che è terza rispetto agli interessi in gioco, «diversamente dal caso dell’osservatorio sul Tav istituito dal governo italiano, che è il committente dell’opera». In Francia, la procedura di condivisione pubblica è prevista per le opere che superano i 300 milioni di euro: «È la commissione nazionale del “débat public” che decide se dare avvio o no al confronto: ma nel momento in cui lo decide, il confronto diventa obbligatorio e, sottolineo, aperto a tutti», spiega l’architetto Romano. Dettaglio fondamentale: nel “débat public” non si discute solo del “come”, ma anche dell’effettiva opportunità di realizzare l’opera. Risultati? Tutt’altro che scontati. Tra il 1997 e il 2011 in Francia ci sono stati 65 dibattiti su grandi opere: «Meno di un terzo dei progetti è proseguito tal quale come era iniziato. Negli altri casi o sono state seguite le indicazioni uscite dal confronto o il progetto è stato modificato o è addirittura stato abbandonato».

Anche un bambino lo capirebbe: se si fosse seguita una simile procedura, il caso-Tav non sarebbe mai neppure nato. Le ragioni della Torino-Lione, ammesso che esistano, sarebbero state spiegate con chiarezza vent’anni fa. E se fossero state bocciate, in quanto tecnicamente non sostenibili – come affermano in coro i tecnici dell’università italiana – il progetto (inutile, costoso e dannoso) sarebbe stato semplicemente archiviato, o comunque trasformato e fortemente ridimensionato. I tecnici ricordano che l’Italia ha appesa speso mezzo miliardo di euro per migliorare la Torino-Modane, cioè l’attuale ferrovia internazionale che già attraversa la valle di Susa, nonostante il crollo storico del trasporto merci fra Italia e Francia: mentre la nuova direttrice mercantile dell’economia globalizzata segue la rotta Genova-Rotterdam e valica le Alpi italiane attraverso le rinnovate infrastrutture ferroviarie del nord (Sempione, Gottardo, Loetschberg), sulla Torino-Modane transitano meno di 5 milioni di tonnellate di merci l’anno, su una linea che ne supporterebbe 20. E le previsioni sono chiare: quel traffico continuerà a calare, perché i mercati italiano e francese sono saturi e il trasporto Italia-Francia avrà carattere sempre più regionale.

Il tutto, secondo il modello francese, lo si sarebbe appurato con serenità in appena sei mesi di lavoro serio: in Italia, invece, si è preferito accumulare vent’anni di slogan e disinformazione sistematica. Un atteggiamento che ha esasperato la popolazione, avvilita dall’assenza assoluta di interlocutori credibili, lealmente disposti a motivare un’opera finanziariamente sanguinosa e dall’impatto ambientale palesemente imbarazzante. Dalla Francia arriva una autentica lezione di democrazia e rispetto per i cittadini: al termine del “débat public”, una commissione indipendente redige una relazione e la consegna al proponente, che entro tre mesi deve esprimere pubblicamente la sua decisione in merito al proseguimento o meno dell’opera. «E deve spiegarla», insiste Iolanda Romano: il governo «è obbligato a motivare la decisione», perché la commissione è una “magistrature d’influence”: aprire la discussione e obbligare il proponente ad argomentare, a spiegare, a migliorare, «ha di per sé un effetto positivo».

Nessuno, in Francia, si sente preso in giro: non ne ha motivo. Nessun politico francese, del resto, si è mai permesso di dire che la Torino-Lione consentirebbe alla Francia di “restare ancorata al Mediterraneo”, o altre simili amenità, fino alle incredibili barzellette del ministro dell’ambiente Corrado Clini sul rischio di tornare all’età della pietra. Altro dettaglio non secondario: in Francia la rete Tgv che trasporta passeggeri è popolare perché funziona e delocalizza l’economia a costi accettabili: meno di un terzo del Tav italiano, e senza procedure opache di assegnazione dei lavori, che in Italia diventano poi invariabilmente materia di indagini della magistratura, da quella ordinaria a quella antimafia. Altra leggenda alimentata dalla cattiva politica e dalla cattiva informazione: il livello “ormai avanzato” dei lavori per la Torino-Lione sul versante francese. Falso: in Francia sono stati realizzati solo tre “cunicoli esplorativi”, in attesa di capire l’eventuale futuro dell’opera, tutt’altro che scontato.

«Nonostante la procedura di discussione pubblica sia stata prolungata fino al 19 marzo – scrive ancora il “Fatto Quotidiano”, che il 18 marzo presenta un ampio reportage sulla voce transalpina dell’alta velocità – in Francia la nuova linea tra Lione e Torino rimane ai più un progetto sconosciuto». Perlomeno, non c’è nessuna protesta come quelle che stanno infiammando l’Italia, grazie all’affidabilità delle istituzioni e alla trasparenza garantita, a monte, dal “débat public” regolarmente svoltosi. Se in Italia si racconta che il progetto Torino-Lione, nato negli anni ’90 come ferrovia veloce per passeggeri, oggi sarebbe riciclato come “strategico” per le merci, vista dalla Francia la storia è tutt’altra: entro il 2025 una linea Tgv pensata soprattutto per i passeggeri raggiungerebbe Chambéry, e solo dieci anni dopo potrebbero nascere i tunnel per le merci verso l’Italia, qualora l’effettiva richiesta di trasporto motivasse la creazione di una “autostrada ferroviaria” per trasferire i Tir sui treni. Scelta ecologica e, in Francia, teoricamente sensata: in Italia invece negli anni ’90 in valle di Susa è stata costruita, per i Tir, l’autostrada A32, con un impatto devastante sull’ambiente alpino.

Fra gli scettici francesi non mancano esponenti dell’Ump, il partito di Sarkozy: rinviare al 2035 i tunnel per le merci, secondo loro, significherebbe rischiare di non farli più, fallendo l’obiettivo dichiarato e ritrovandosi con una soluzione transitoria che diverrebbe permanente. «Un progetto che non ha alcuna coerenza ed è sempre più incoerente», sostiene Pierre Moreau della Cipra, la Commissione internazionale per la protezione delle Alpi, che ha realizzato un dossier denominato “10 domande ai promotori della Lione-Torino”. Un linea incerta e ambigua: nata per essere Tgv, riconvertita al trasporto merci e negli ultimi due anni ri-orientata al servizio viaggiatori, quantomeno nella prima fase. Nel suo documento, spiega il “Fatto”, Moreau solleva dubbi sul trasferimento su rotaia del trasporto merci – si parla di 40 milioni di tonnellate, mentre la realtà è ormai quella di una direttrice “fantasma” – e naturalmente sui costi: a fronte di una spesa stellare, forse 20 miliardi di euro, sul piatto ci sono solo i 600 milioni stanziati dall’Unione Europea, cioè appena il 40% dei primi 2,5 miliardi necessari al segmento francese per il periodo 2012-2015. Dove trovare il resto?

I dubbi della Cipra si aggiungono alle perplessità del Consiglio generale per l’ambiente e lo sviluppo sostenibile della Savoia, per niente rassicurato dall’impatto ambientale della grande opera. In una valle come la Maurienne, che a differenza della valle di Susa è scarsamente popolata e ben poco infrastrutturata, le posizioni critiche sono comunque minoritarie: prevale il disinteresse e inoltre non c’è nessun allarme, perché i treni veloci godono di grande popolarità in Francia, un paese dove le grandi opere vengono prima discusse con la popolazione. Non mancano tuttavia le crescenti perplessità, anche da parte dei sindaci come Gilles Margueron, primo cittadino di Villarodin-Bourget, piccolo centro di qualche centinaio di abitanti non distante da Modane. Il tunnel passerebbe sotto il suo villaggio, e loro dovranno fare i conti con la montagna di detriti che ne verrebbe fuori: «La vera domanda da porsi è se questo progetto sta in piedi», osserva il sindaco. «Ci dicono che il traffico aumenterà. Forse ora è un po’ cambiato il traffico dei camion attraverso il Fréjus. Ma il traffico ferroviario a Modane non è aumentato. Non so. Vale la pena?».

Fonte: Libre

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