Il fascino della decrescita e della decrescita felice sta anche nella sua praticità e nel suo recupero del saper fare che aiuta molto, moltissimo la mente ad affinarsi e a guardare con più concretezza la vita di tutti i giorni. L’intervento che ora segue nasce appunto da riflessioni e discussioni avute con simpatizzanti e non del movimento nell’affrontare il problema casa.

Se è vero che molti in passato hanno potuto realizzare il sogno di una casa a costi più o meno accessibili e se è vero che sono molti quelli che oggi usufruiscono del bene casa e quindi anche i loro figli o nipoti per trasmissione, è altrettanto vero che esiste ed esisterà un sempre maggior numero di persone, famiglie o coppie che tale bene non potranno goderselo pienamente.

Sappiamo bene che tra le prerogative della decrescita felice c’è la diminuzione (quando possibile) delle ore di lavoro salariato – per poter recuperare il tempo necessario per l’autoproduzione e gli affetti o gli interessi – e l’incremento dell’autoproduzione, dei gruppi di acquisto solidale per dipendere sempre di meno dal denaro e quindi dall’occupazione salariale mangiando, vestendo e vivendo meglio. Tuttavia resta vero che un reale risparmio di denaro e una maggiore qualità di cibo e beni viene spesso riassorbita per i più che vivono in città dai fitti o dai mutui da pagare. Sono molte le persone che pur praticando con enorme piacere la decrescita e pur diffondendola, devono fare i conti con la beffa di un fitto enorme o di un mutuo spropositato mettendo sempre in secondo piano (soprattutto per chi dovrà sempre lavorare per pagare un fitto) il tempo da dedicare al lavoro dell’autoproduzione, la famiglia, gli affetti, la spiritualità, i propri interessi. Accettare di lavorare anche di meno (ove oggi sia possibile) guadagnando anche di meno, non garantisce la possibilità di poter vivere nello stesso luogo di origine o dove si ama vivere, soprattutto se teniamo conto che i fitti (soprattutto quando non sono regolari) subiscono continui aumenti. Questa situazione  quanto meno impone ad uno dei due (in caso di vita in due) a lavorare molto di più per poter far fronte a spese fisse che non possono essere ammortizzate o dimezzate se non andando via dal posto. Opzione questa che può anche starci anche se resta una forte scottatura perché vede sempre la persona umiliata sotto le leggi di un mercato che mette al primo posto lo sterco del denaro e negli ultimi posti la perla che è la persona. Certamente c’è anche il risvolto positivo di chi è in affitto che può andarsene quando desidera se nel posto in cui vive decidessero di costruirci un inceneritore o fargli una discarica sotto al portone, o una centrale nucleare. Resta tuttavia il fatto che i problemi dei costi di cui sopra si ripresenterebbero in una seconda o terza zona.

Questa purtroppo è una realtà, ben conosciuta da tutti o dai tanti e credo sia un problema serio da affrontare come Movimento per la decrescita felice che ha nel suo DNA le persone in comunità al centro e il denaro in periferia. E’ vero infatti che non tutti possono o vogliono trasferirsi in campagna o in periferia (diventerebbero nuove città) dove fitti e case costerebbero di meno (ma non sempre) ed è altrettanto vero che la sfida da raccogliere è anche quella di praticare la strada della decrescita felice nelle città.

Quello che si rischia dunque è che la pratica di autoproduzione, di G.A.S. o di D.E.S. sia in parte vanificata dai costi considerevoli dei fitti o dei mutui e che quindi le ore di lavoro salariato ricoprano gran parte della giornata a discapito di cose molto più importanti. Inoltre vista l’attuale situazione economica del nostro Paese le prospettive per la mia (1979) e delle generazioni successive di poter vedere una pensione o un lavoro che garantisca un minimo di salario per poter pagare un fitto negli anni della vecchiaia non sono delle più rosee. Una parte del problema viene affrontato con la soluzione del Cohousing ed è auspicabile che il fenomeno si diffonda sempre di più. Ma resta pur vero che non in tutte le zone d’Italia questo sia praticabile. Basti pensare alle zone dove è vietato costruire nuove case. Resta la speranza dei figli quando e se saranno più fortunati in un mercato del lavoro che è tutto da reinventare e da riconvertire.

Si rischia dunque di vedere grandi numeri di persone che non saranno in grado di pagarsi un fitto in un’abitazione decente che riduca gli sprechi e sia una vera casa o un decente ricovero in qualche casa di riposo. Forse l’incapacità da parte dei figli di farsi carico dei loro genitori avanti con l’età, un divario sempre maggiore tra pochi possidenti e molti poveri in termini monetari.

Forse lo scenario prospettato o abbozzato sembra essere troppo fosco, però è  il frutto del confronto con situazioni e discussioni reali. Non sono in grado di fornire soluzioni perché il fenomeno implica grossi intrecci. Credo fermamente però che sia un tema da affrontare e da mettere in agenda. Forse bisognerebbe creare gruppi di fitto solidale o distretti locali per l’accoglienza di coloro che si trovano o si troveranno in condizioni molto precarie. Mi rendo conto che in tutto questo dovrebbe mettere il naso anche una politica illuminata che si faccia carico del problema che fermi la barbarie che avanza, magari calmierando i prezzi dei fitti per coloro che scelgono di vivere nel posto o agevolando l’acquisto di case per uso abitativo e non per uso speculativo. Sono tantissime le case sfitte tutto l’anno che vengono fittate a cifre esorbitati solo nei periodi estivi o di alta stagione a discapito di chi ne avrebbe bisogno. Si potrebbe dare un contributo o un’agevolazione per chi vuole fittare e si fa carico di una ristrutturazione per ridurre gli sprechi energetici, oppure per chi vuole acquistare e si impegna a ristrutturare o costruire con criteri volti a ridurre l’impronta ecologica. Ritengo che anche questo debba essere messo in cantiere e debba essere oggetto di discussione. La casa di proprietà resta sempre un sogno magari sbagliato o frutto di quella che Latouche chiamerebbe colonizzazione dell’immaginario. Sta di fatto però che anche decolonizzando l’immaginario il bene di un tetto sicuro in un posto salubre debba essere garantito a prezzi accessibili e non chiedendo in cambio tutto il tempo di una vita. E’ una sfida grande ma da raccogliere, pena l’avanzare impetuoso del deserto della barbarie. I decrescenti dovrebbero essere un presidio e un argine culturale e umano concretamente anche in questo.

Alessandro Lauro
Mdf Sorrento

4 thoughts on “Decrescita e problema abitativo. Apriamo la discussione”

  1. che bello questo articolo … e’ molto vero e un dibattito urgente, e il concetto della decrescita potrebbe essere anche applicato alla vita abitativa futura degli adulti di oggi che, non avendo le pensioni di cui godono oggi i nostri genitori, dovranno unirsi e organizzarsi sotto un tetto in qualche modo, realizzando quella decrescita di spazio abitativo, cioe’ il ritorno in casa con altri, al di fuori delle famiglie che oggi non funzionano piu’ cosi’ bene in questo senso …

  2. io vorrei vivere in un ecovillaggio in mezzo alla natura dove tutti si prendono cura di tutti, giovani e anziani aiutandosi a vicenda, ma finora è stato un sogno irrealizzabile.

  3. I sogni di oggi possono essere la realtà di domani e comunque i sogni servono a camminare. Posso anticipare una buona notizia Sta per essere lanciato un progetto che si chiama “Terre Future” e che va proprio in questa direzione e anche MDF potrà far parte di questo progetto. Restate collegati!

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