Certo che si potrebbe tornare a una società meno oltraggiosa nei suoi squilibri. Può anche darsi che si debba farlo, forzati da una crisi la cui soluzione – almeno per noi – non è vicina. C’è chi lo teorizza, per esempio Serge Latouche che predica di “far uscire il martello economico dalla testa”. Da noi Maurizio Pallante, nel suo Meno e meglio (Bruno Mondadori ed.) dove scrive cose dimenticate. Esempio: la felicità, il benessere, la qualità della vita non hanno relazione diretta con la ricchezza. Avere molto non significa stare meglio. Pallante sembra riprendere certi filosofi, per esempio i benemeriti stoici, che predicavano distacco dai beni terreni per raggiungere l’integrità morale – oggi perduta. Pallante scrive che la crisi è ambientale, energetica, morale e politica, oltre che economica; e che dalla crisi si potrà davvero uscire se la società del futuro sarà capace di un sistema di vita e di valori fondato sui rapporti tra persone, sul consumo responsabile, sul rifiuto del superfluo.

Si vede subito che questo precetto è l’esatto rovescio di quello dominante negli ultimi anni in società fondate proprio sui consumi esagerati e spesso superflui. Non il cappottino nuovo finalmente conquistato dalla signora Donatella ma l’intera parure di cappotto, scarpe, cappellino, guanti, borsetta e profumi, tutti in un colpo. Ma una società basata sulla crescita, che ha come solo riferimento il famigerato Pil, non può non devastare il territorio per incrementare la produzione di merci che vanno comprate, consumate e gettate per poterle subito sostituire con merci nuove, in un giro convulso che produce, tra l’altro, immense quantità di rifiuti. Pallante ha ragione, la signora Donatella è tentata ma la domanda è: saremmo davvero capaci, e in che percentuale, di un ribaltamento al confronto del quale la Rivoluzione d’Ottobre diventa Disneyland?

Corrado Augias
La Repubblica, 10 marzo 2013, pag. 26

One thought on “Le scarpe, il cappotto e il consumo responsabile”

  1. Bell’articolo e bella domanda. Io dico di sì, in ogni caso non abbiamo scelta. L’alternativa non è fra crescita o decrescita ma fra decrescita e disastro. Meglio quindi la decrescita felice per uscire da questa infelice recessione!

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