Il 28 agosto scorso è stato acceso a Parma il nuovo inceneritore dei rifiuti, un’enorme fornace che brucerà 130 mila tonnellate di materia all’anno, il doppio della produzione di indifferenziato residuo della provincia parmense. Siamo nel cuore della food valley, la terra di produzione di eccellenze gastronomiche, in particolare per quanto riguarda la lavorazione del maiale e del latte, tutte famose nel mondo. E’ la food valley, il cuore della food valley.
Qui il cibo è diventato l’accompagnamento perfetto per le liriche del teatro Regio, la sublimazione del buon vivere e del vivere bene.
Eppure questo patrimonio insostituibile, prezioso, invidiabile, potrebbe essere messo a rischio da un impianto di incenerimento extra large, posto a pochi km dal centro storico, di fronte ad un avanzatissimo centro studi sulle malattie respiratorie, a fianco di uno dei pastifici più famosi al mondo, davanti al negozio svedese del mobile trendy, affiancato all’autostrada del Sole.
E’ un biglietto da visita poco invidiabile per i milioni di automobilisti che transitano di lì ogni anno.
L’inceneritore è ora nella fase di esercizio provvisorio, un periodo di rodaggio alla fine del quale sarà data la patente per funzionare a pieno regime per lunghi anni, troppi per i rischi che si corrono.
Il problema di queste macchine è che non risolvono il problema dei rifiuti ma semplicemente lo trasferiscono, complicandolo.

L’inceneritore non è altro che un trasformatore di materia
La legge di Lavoisier non lascia scampo, nulla può essere distrutto e improvvisamente sparire. Se facciamo entrare nel forno una quantità di materia pari a 100, uscirà per forza dal camino una quantità pari a 100, seppur modificata nella forma. Anzi, per essere precisi, il volume è aumentato per tutta l’aria che abbiamo aggiunto nella fase di combustione.

Allora dove vanno a finire i rifiuti?
Vengono intanto fortemente compattati perché l’acqua in essi contenuta viene eliminata dal calore.
Ma i rifiuti rimangono. Circa il 30% di ciò che entra nel forno esce sotto forma di scorie, ceneri pesanti e leggere che hanno bisogno di una discarica speciale che sul territorio di Parma non esiste. L’altro problema riguarda la pericolosità di ciò che esce dal camino.

L’inceneritore sposta il problema dei rifiuti dalla terra al cielo
Ciò che prima veniva nascosto sotto terra nelle discariche ora viene ridotto in un pulviscolo infinitesimale liberato in aria e disperso per decine di km secondo l’indirizzo dei venti, con il conseguente suo deposito sui terreni e sui prodotti ivi coltivati. I filtri che sono sistemati a valle del processo di incenerimento non riescono infatti a trattenere le polveri ultrafini che l’incenerimento ad altissime temperature produce in quantità.
Anzi l’attuale normativa non prevede la loro misurazione, come se non esistessero. Così il gioco è fatto, l’inceneritore non inquina, basta non misurare tutto.

L’inceneritore di Parma non prevede, come altri impianti italiani, il controllo delle diossine in continuo ma soltanto per 4 volte all’anno per un totale di 32 ore su 8000 di funzionamento. La diossina è una delle più pericolose molecole esistenti al mondo. Tutti ricordano l’episodio tragico di Seveso, dove l’Icmesa, che produceva concimi chimici, liberò in atmosfera un’enorme quantità di diossina causando danni irreparabili all’ambiente ed alle persone. Ora che l’impianto di Parma è acceso, nonostante la forte opposizione della popolazione, oltre alla lotta per la sua chiusura il prima possibile, bisogna anche occuparsi di ottenere il rigido controllo delle emissioni. E’ per questo che si sta chiedendo a più voci che il gestore provveda a misurare le diossine in continuo, 24 ore al giorno, in modo da poter monitorare in tempo reale il funzionamento dell’impianto, riuscendo così contemporaneamente a tenere sotto controllo anche altri inquinanti tipici e pericolosi per la salute come i metalli pesanti. La soluzione dell’incenerimento dei rifiuti messa in atto a Parma non porterà alcun vantaggio al territorio. I costi si mantengono, nonostante le false promesse riduzioni, a livelli molto alti. Servirà evidentemente materiale da bruciare in quantità costante anche se la percentuale di raccolta differenziata è in forte aumento, a dimostrare anche l’impegno dei cittadini verso soluzioni ambientalmente compatibili.

Così al forno mancherà combustibile e vivremo in diretta l’importazione di rifiuti da fuori provincia, nonostante le rassicurazioni degli organi di controllo. I terreni attorno all’impianto subiranno evidenti deprezzamenti e sarà difficile proseguire le coltivazioni agricole ignorando l’impatto del forno sulla zona limitrofa. Eppure la soluzione alternativa all’incenerimento era a portata di mano. Reggio Emilia, pochi chilometri da Parma, ha spento lo scorso anno il vecchio inceneritore, si è orientata al trattamento meccanico e freddo dei rifiuti, dicendo di no ad un nuovo impianto a caldo. Invece a Parma tutti i partiti, tranne poche eccezioni, hanno sostenuto il progetto dell’inceneritore come se costituisse un vanto di modernità per la città ducale. Sinistra e destra all’unanimità hanno anche respinto il referendum consultivo che i cittadini avevano richiesto a gran voce. Tutti chiusi nelle loro torri d’avorio con le orecchie ben tappate. Intanto la food valley è sotto attacco e rischia di diventare una smog valley. Già oggi la Padania è considerata il quinto territorio più inquinato al mondo. Chi crederà ancora alla qualità dei nostri prodotti?

Associazione Gestione Corretta Rifiuti e Risorse di Parma – GCR

Fonte: BioEcoGeo

One thought on “Un inceneritore nel cuore della food valley”

  1. Da vegan quale sono e dai più recenti studi sull’ alimentazione mi dispiace ma non ci siamo : carne e latticini nuocciono moltissimo alla salute e questo è un fatto documentato. Altro che lavorazione del maiale e del latte ! Non dubito che siano famose in tutto il mondo ma questo non vuol dire nulla se non conferma che l’ ignoranza in materia è enorme ed è anche voluta.

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