Otto metri quadri al secondo: è la superficie di suolo cementificata in Italia secondo le stima dell’Ispra. Il suolo, sebbene non sia ancora considerato tale nel nostro Paese, è una risorsa, non rinnovabile. Un fenomeno, quello dell’urbanizzazione incontrollata e selvaggia, che genera costi enormi e danni irreparabili. Un fenomeno dovuto a ragioni sia legislative che culturali, a cui in altri Paesi europei stanno cercando di dare un freno. Ne parliamo con il professor Paolo Pileri, docente di Tecnica e Pianificazione urbanistica presso il Politecnico di Milano e responsabile del progetto VenTo.

 

Quali sono le funzioni del suolo in termini ambientali?

Senza suolo non potremmo vivere. Il suolo produce cibo, contribuisce a regolare emissioni e sequestro di gas serra e altri gas, trattiene le acque piovane che vengono rilasciate pian piano alimentando le falde e quindi producendo acqua potabile, è sede di almeno un terzo della biodiversità terrestre e così via. Tutte queste funzioni sono molto interrelate tra loro e si auto-sostengono producendo benefici all’uomo senza che egli debba fare nulla. Ma a una condizione: che quei suoli rimangano liberi, ovvero non vengano urbanizzati, ad esempio.

 

Quindi i terreni sono anche utili nella lotta ai cambiamenti climatici?

Certo. Come dicevo prima, nel suolo vi è contenuta CO2 in gran quantità (c.a. 25 kg per m2). La quantità di carbonio presente nel suolo (e quando parlo di suolo dovete pensare ad una profondità di solo 1 metro circa) è tra le 3 e 4 volte superiore a quella contenuta in atmosfera.

 

Quali sono i numeri del consumo di territorio, in Italia? Esistono nel nostro Paese dei dati precisi su questo fenomeno?

Il dato ufficiale di consumo di suolo in Italia ce lo dà ISPRA ed è di 8 m2/sec., pari a circa 70 ettari al giorno. È un dato che potrebbe essere perfino sottodimensionato, sebbene la crisi edilizia stia rallentando i processi di consumo che però né sono nulli né è detto che domani non riprendano vigore. Si tratta di una stima e non di un dato certo in quanto nel nostro paese nessuno ha mai attivato un monitoraggio sistematico sul consumo di suolo. Ciò è non solo preoccupante, ma anche foriero di cattive politiche, in quanto non sapendo quale è la situazione della nostra risorsa più cara e limitata, si continua a immaginare un futuro in cui la trasformazione dei suoli agricoli in suoli urbani è un dato inconfutabile. E si sbaglia.

 

Ma un suolo cementificato è recuperabile?

Un suolo cementificato lo è per sempre. È perso per sempre. Tornare indietro significherebbe attendere migliaia di anni per fare in modo che lo strato di humus possa rigenerarsi. Oppure vorrebbe dire portare sul terreno appena liberato dal cemento del suolo fertile però preso da altre parti, ovvero sottraendolo altrove. In ogni caso la spesa di rigenerazione è elevatissima al punto da renderla assolutamente sconveniente. La cosa più conveniente è non consumarlo.

 

Quanto si spende in Italia e in Europa per servizi che, come il drenaggio delle acque, il suolo svolge meglio e gratuitamente?

In Italia non si fa ricerca su questo argomento perché sono pochi quelli che se ne occupano, ma soprattutto perché nessuno spende per queste ricerche e ciò è allarmante. Mi auguro che prestissimo assisteremo a un’inversione di rotta ben capendo che occorre studiare molto meglio la capacità di risposta dei suoli ai fenomeni ambientali. Detto questo, i dati in mio possesso arrivano da ricerche estere. Ad esempio in Germania hanno stimato che per gestire le sole acque piovane di un suolo urbanizzato (che prima non lo era) occorrono mediamente 6500 euro per ettaro per anno. Questo significa che i prossimi consumi di suolo in una regione come la Lombardia, se venissero attuati dai comuni, porterebbero ad un innalzamento della spesa pubblica di quella regione di 300 milioni di euro all’anno. Questo ci fa capire quanto costa urbanizzare. E sto parlando solo della manutenzione dei tubi che raccolgono l’acqua. Vi sono poi le altre funzioni che un suolo non cementificato svolge.

 

Come si sta reagendo in altri Paesi a quella che sembrerebbe sempre più un’emergenza, visti i possibili sviluppi futuri (anche geopolitici) e l’importanza di avere almeno un certo livello di indipendenza alimentare?

Molti Paesi si sono ovviamente attrezzati per conoscere bene l’ammontare dei consumi, quindi hanno emanato leggi di contenimento dei consumi di suolo e di obbligo a recuperare i volumi esistenti e non utilizzati, il vero destino del settore edilizio è questo per il futuro.

 

Come potrebbero i Comuni avere introiti senza costruire villette e capannoni? Ha delle alternative, soprattutto in tempi di crisi come quello attuale?

Credo che fare economie e quindi riservare più denari agli investimenti necessiti oggi di cambiare innanzitutto mentalità. Oggi sono convinto che una quota ingente delle spese stia nel non essere capace di cooperare tra Comuni, nel non condividere i servizi, nel progettare strade che non si raccordano ai confini, nel fare ognuno il proprio piano urbanistico con le proprie previsioni insediative (e i propri costi) senza vedere cosa si fa a qualche centinaio di metri più n là, dopo il proprio confine. E poi è giunto il momento di smetterla di spendere soldi in opere che hanno costi di manutenzione elevatissimi e che producono costi energetici nella collettività altrettanti enormi. Sto parlando ad esempio delle strade o dei parcheggi. La sfida oggi sta nel produrre comportamenti che hanno sempre meno bisogno di auto e sempre più di trasporto pubblico e di bicicletta o di car-sharing. Fare cassa oggi significa innanzitutto avere ottime idee e evitare sprechi. Dopodiché siamo il Paese della cultura, del sole, della tavola, del paesaggio, e non investiamo nel turismo… fate voi!

 

In Italia il suolo non è ancora considerato come una risorsa. Secondo Lei questo è più un problema culturale o legislativo?

Entrambi. Se la cultura è piegata sulle solite retoriche non susciterà una domanda legislativa. Viceversa se il legislatore si tiene a distanza dai suggerimenti scientifici e culturali che gli arrivano dal patrimonio delle università, delle associazioni, dei saperi, non solo non coglierà le sfide che occorre sviluppare, ma a sua volta, non trasformando quelle sfide in atti di legge, non produrrà cultura sostenibile. Al legislatore non dovrebbe sfuggire che ogni volta che fa una legge tipo condono fa cultura, ma quella sbagliata. Con la stessa potenza potrebbe fare cultura, ma quella giusta.

Andrea Bertaglio

Twitter: @AndreaBertaglio

Fonte: LaStampa.it

3 thoughts on “L’insostenibile costo del consumo di suolo. Intervista a Paolo Pilieri”

  1. Il Parlamento approvi la Legge sul consumo di suolo in occasione dell’apertura dell’Expo2015.

    I dati forniti dall’ISTAT, con il VI Censimento dell’agricoltura, rilevano ancora una volta, le cattive politiche di pianificazione e di programmazione seguite da decenni, le quali hanno prodotto una forte perdita di superficie agricola e i cui effetti hanno provocato danni all’ ambiente, al paesaggio e alla produzione agricola, mettendo in serio pericolo la sicurezza alimentare della popolazione italiana.
    Tra il 1971 e il 2010 si è avuta una diminuzione di superficie agricola utilizzata (S.A.U.) di 5 milioni di ettari, pari al territorio occupato dalla Lombardia, dalla Liguria ed dall’ Emilia Romagna.
    Le cause che maggiormente incidono sulla perdita di superficie agricola sono da attribuirsi essenzialmente a due fenomeni: il continuo abbandono dei terreni, e l’impermeabilizzazione del suolo. Quest’ultimo fenomeno ogni giorno interessa 100 ettari di suolo, provocando danni irreversibili in modo particolare proprio ai terreni migliori, quelli delle aree pianeggianti.
    Dal 1970 la S.A.U. è diminuita del 28% interessando soprattutto le superfici coltivate a seminativi (-26%) e prati permanenti (-34) vale a dire i prodotti di base dell’alimentazione degli italiani quali: pane, pasta, riso, carne, verdure, latte e tutto questo è avvenuto mentre si registra un aumento della popolazione. La continua perdita di terreno agricolo condurrà senza alcun dubbio, il nostro Paese a dipendere sempre di più dall’estero per l’approvvigionamento alimentare. Il Trattato di Roma del 1957, art. 33, poneva l’obiettivo prioritario di “garantire la sicurezza degli approvvigionamenti alimentari” ai propri cittadini, raggiunto dopo anni tale obiettivo, oggi esso è messo in serio pericolo tanto che l’insufficienza della produzione agricola può condurre l’Italia a dover dipendere per la sua alimentazione da paesi esteri!
    Se si esaminano non solo ai prodotti alimentari ma l’insieme dei beni colturali quali: fibre tessili, biocarburanti, si evidenzia come il nostro paese consumi più di quanto, il proprio suolo agricolo è in grado di produrre. Ciò è dovuto al forte “ deficit di suolo agricolo” infatti, l’Italia, è il terzo Paese nell’Unione per deficit di suolo agricolo e il quinto nel mondo. In altri termini abbiamo appena 12 milioni di ettari di suolo agricolo a fronte di 61 milioni di ettari di suolo necessari per coprire i consumi della popolazione in termini di cibo, fibre tessili e biocarburanti. Quali sono quindi le conseguenze di un deficit di 49 milioni di ettari di suolo?
    La dipendenza alimentare dell’Italia potrebbe divenire una variabile delle dinamiche economiche, demografiche, sociali e geopolitiche dei paesi produttori di risorse alimentari che nel breve periodo avrà una forte influenza sui prezzi dei prodotti e nel medio lungo-periodo potrà accrescere il rischio di scarsità alimentare. Da una stima fatta dell’European Commission nel 2011, è stato calcolato che nel 2050, cioè fra trentasette anni, la domanda dei prodotti agricoli su scala mondiale crescerà del 70% mettendo sottopressione i sistemi ambientali agro-alimentare. Possiamo ancora permetterci di non difendere i nostri suoli, e in modo particolare quelli più produttivi, dai processi di cementificazione che da anni avvengono su tutto il territorio nazionale?
    Infatti, i fattori che maggiormente provocano la sottrazione di suolo agricolo in Italia, sono essenzialmente due: l’abbandono delle terre e la cementificazione.
    Quest’ultimo incide notevolmente sulla minore produzione agricola poiché interessa i terreni fertili e posti in pianura, nonché quelli limitrofi alle città ricche d’infrastrutture e di facile accesso. La cementificazione o impermeabilizzazione dei suoli, non è altro che il risultato delle più scellerate politiche di pianificazione del territorio fatte da anni in Italia. Essa denota la mancanza culturale attribuendo all’ambiente e all’agricoltura uno scarso valore, economico, sociale, ambientale.
    Dal 1950 a oggi la popolazione è cresciuta del 28% mentre la cementificazione del 166%, che in termini di superficie vuol dire aver coperto, un territorio grande quanto la Calabria. In Italia in 15 anni dal 1995 al 2009 i comuni hanno rilasciato complessivamente permessi per costruire 3,8 milioni di metri cubi, un’urbanizzazione che in molte realtà italiane ha significato cementificare l’intera città.
    Senza volere approfondire gli effetti che la continua sottrazione di suolo ha sull’ambiente, sia in termini di alterazione del paesaggio che di compromissione dell’ecosistema, mi preme rilevare come la continua sottrazione di suolo sta creando seri problemi alle produzioni agricole minacciando la sicurezza alimentare della nostra popolazione. E’ un tema per certi aspetti inedito nel panorama culturale del nostro bel Paese, che richiede la più totale attenzione da parte delle forze politiche, istituzionali e dei cittadini per evitare di trovarsi a dipendere per il proprio fabbisogno alimentare da paesi di altri Continenti.
    Il disegno di Legge quadro in materia di valorizzazione delle aree agricole e di contenimento del consumo di suolo, rappresenta un atto di notevole importanza: esso pone fine a un uso incontrollato del terreno da parte dei comuni, determinando “ l’estensione massima di superficie agricola edificabile sul territorio nazionale ”. Si tratta di una legge di grande valore storico in quanto a ogni comune sarà posto un limite massimo di utilizzo di suolo per funzioni diverse da quelle agricole.
    E’ auspicabile che tale Legge sia approvata dal Parlamento in occasione dell’apertura dell’Expo2015, in questo modo sarebbe un modo reale e concreto per rispondere al tema posto dall’evento mondiale “Nutrire il pianeta, energia per la vita”.
    Giuseppe Sarracino
    Agronomo

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