Cos’è il Prodotto Interno Lordo? Secondo la definizione del dizionario, il PIL è «la misura del risultato finale dell’attività produttiva dei residenti di un Paese in un dato periodo». Stando poi ai principali mezzi di informazione, la crescita del PIL è una cosa buona, che coincide con il benessere di una popolazione. La conclusione più immediata alla quale si potrebbe giungere è dunque la seguente: per tornare a star bene come quando non c’era la Crisi dovremmo impegnarci tutti per far crescere il Prodotto Interno Lordo.

In realtà, però, non è proprio così e per scoprirlo basta riprendere il dizionario e leggere la definizione fino in fondo. In questo modo si può facilmente scoprire che «La nozione di ‘prodotto’ è riferita ai beni e servizi che hanno una valorizzazione in un processo di scambio; sono quindi escluse dal PIL le prestazioni a titolo gratuito o l’autoconsumo». Quest’ultima parte non è affatto secondaria, se ci pensate bene, e può racchiudere tutto un mondo che vale la pena di scoprire.

Per approfondire l’argomento non serve essere esperti di economia. Esistono alcune fonti (ancora poche a dire il vero) che possono aiutarci a capire meglio i molti fraintendimenti naturali o “mediaticamente indotti” che possono nascere quando si parla di PIL.

Una delle più interessanti è un documentario dal titolo evocativo, Presi per il PIL, realizzato da Andrea Bertaglio, Lorenzo Fioramonti e Stefano Cavallotto.

In 65 minuti, l’opera dice molto più di interi articoli di economia, permettendo agli spettatori di entrare in diretto contatto con alcune esperienze di vita sostenibile che si trovano in giro per lo Stivale. C’è la storia dell’eco-villlaggio di Pescomaggiore, cantiere di rinascita dopo la tragedia de L’Aquila, e quella di Marta e Giorgio, che vivono in piena decrescita in un paesino del Cuneese.

E poi ci sono le storie di Roberto, avvocato sardo che ha rinunciato alla professione per vivere più semplicemente e a contatto con la famiglia, e del Movimento per la Decrescita Felice di Torino, che diffonde in città molte tematiche utili e virtuose. Insomma, è tutto un coro eterogeneo di voci che predicano un unico messaggio: si può vivere bene, e perfino meglio, in barba al PIL e lo si può fare legalmente, ecologicamente e collaborando con l’intera comunità.

Dopo la visione del documentario ero talmente entusiasta di ciò che avevo imparato che ho deciso di fare qualche domanda a Stefano Cavallotto.

Guardando il documentario si sente crescere dentro una sensazione di speranza e di rinnovata fiducia nelle persone. Deve essere stata un’esperienza intensa e gratificante anche per voi che ci avete lavorato. Come vi siete sentiti?

Fare questo documentario è stata per me un’esperienza molto entusiasmante. E’ iniziato tutto un po’ per caso, quando ho risposto ad un appello pubblico di Andrea Bertaglio, allora vice presidente del Movimento della decrescita felice, e di Lorenzo Fioramonti, i quali cercavano professionisti interessanti a realizzare un documentario che affrontasse il tema della critica al dogma del PIL e che proponesse visioni alternative dell’economia e della società. Erano temi che mi incuriosivano e che avevo iniziato ad approfondire per conto mio, ma non avevo conoscenze approfondite in merito.
Ci siamo conosciuti, abbiamo iniziato a ragionare su come avviare una produzione.
Man mano che il lavoro procedeva, l’entusiasmo cresceva. Non nascondo che abbiamo dovuto affrontare non poche difficoltà, prima fra tutte la scarsità di risorse (come spesso accade per le produzioni documentaristiche), ma siamo stati ripagati dall’incontro con persone che ci hanno aperto la porta di casa e ci hanno raccontato con spontaneità ed entusiasmo il loro modo di immaginare un mondo diverso. Ciò che ci ha spinti ad andare avanti fino a portare a termine un progetto durato 4 anni è stato proprio il desiderio che avevamo e che ritrovavamo in tutti coloro che abbiamo incontrato sul nostro cammino, quella voglia di far capire che cosa significa davvero “decrescita”, al di là delle idee preconcette e dei tanti luoghi comuni che accompagnano questo termine. Ciò che conta di più per noi è riuscire a spiegare al maggior numero di persone che è possibile vivere bene anche se il PIL non cresce, anche se si comprano meno cose, anche se ci si svincola dalla logica della produzione incessante di merci.

Basteranno gli esempi virtuosi a liberarci dall’inganno del PIL o la maggior parte di noi si “scollocherà” per forza quando la macchina attuale di incepperà del tutto?

E’ difficile dire quale direzione prenderà il sistema nei prossimi anni. I meccanismi sono sicuramente molto complessi e sembra quasi impossibile immaginare un cambiamento radicale e volontario di rotta, prima di una catastrofe ambientale planetaria o del tracollo del sistema economico-finanziario. Anche perché siamo tutti inseriti in questo meccanismo, sono pochissimi coloro che riescono a sottrarsi completamente, e non sono certo quei pochi che posso determinare cambiamenti globali. Il rischio che non si riesca a rallentare in tempo, e che lo faremo soltanto sbattendo contro il muro, è certamente reale. Ci sono però dei segnali positivi, che non vanno trascurati. Da una parte l’aumento della consapevolezza nella gente e il numero sempre crescente di persone che cercano, nei limiti delle loro possibilità, di cambiare stile di vita per dare un contributo – seppur limitato – al cambiamento. Dall’altra, ancor più importante, il fatto che anche all’interno dell’establishment e delle istituzioni si stia facendo largo l’idea che il PIL sia uno strumento sbagliato per valutare il livello di benessere della società. In altre parole, anche il potere si sta finalmente rendendo conto che le regole sulle quali ci siamo basati per 60 anni non funzionano più e che è necessario stabilirne di nuove. Poi certamente resta difficilissimo mettersi d’accordo su quali potranno essere queste regole nuove, ma è sempre più chiaro che non potrà più essere il consumare incessantemente risorse per produrre continuamente beni che si trasformano in rifiuti. Siamo alle soglie di un cambiamento epocale e sarà già un enorme passo avanti se tutti capiranno che non è la crescita la soluzione dei problemi ma, al contrario, la causa.

Durante la realizzazione del documentario avete intervistato anche esponenti del mondo politico. Possiamo sperare che le istituzioni facciano la loro parte nel processo di decrescita, prima o poi?

Io penso che le istituzioni prima o poi faranno la loro parte. Ma prima sarà la società civile a determinare l’inizio del cambiamento. Le istituzioni arriveranno soltanto dopo. Il mondo è pieno di buoni esempi da seguire, di idee innovative, di spunti creativi. Basta riconoscerli, scovarli e farsi contagiare. Come ci ha detto nel nostro documentario Rob Hopkins, leader del Transition Towns Network, se aspettiamo che sia il mondo economico a iniziare il cambiamento, probabilmente non faremo in tempo; se aspettiamo che siano le istituzioni, forse non sarà abbastanza; ma se ognuno di noi, nel suo contesto, inizia a fare quello che è nelle sue possibilità, e sopratutto inizia a guardarsi intorno per scoprire che non è solo, allora forse saremo ancora in tempo. Dobbiamo arrivare a far capire anche alle istituzioni e ai poteri che è più utile, più bello, più diverte e più conveniente un sistema non più basato sulla crescita infinita. Se scattasse quella molla, allora il cambiamento avverrebbe molto più velocemente di quanto riusciamo a immaginare.

Voto: 10

Positivo: documentario utilissimo e illuminante che dovrebbe essere proiettato nelle scuole

Negativo: nulla, ce ne fossero di documentari così!

Marco Ragni

Fonte: Weekendetempolibero.com

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