L’economia globalizzata ha scardinato i valori, le tradizioni, le culture dei popoli; il pensiero unico che pone al primo posto il profitto ha stravolto la società e le conquiste civili e sociali degli ultimi 100 anni; il lavoro è diventato una merce e le aziende, per competere nell’economia globale sempre più selvaggia e agguerrita si vedono costrette a delocalizzare; i politici e tutti gli economisti cercano di rassicurare l’opinione pubblica e continuano a dire che stiamo per uscire dalla crisi e che il 2015 sarà l’anno della svolta. Purtroppo sono anni che sentiamo questa musica e, ogni volta che veniva annunciata la ripresa e che si vedeva, la luce in fondo al tunnel, questa poi si spegneva o si allontana nuovamente, come un miraggio. Politici ed economisti continuano a promettere una ripresa che non c’è e non ci sarà e, in ogni caso, ammettono che sarà difficile creare nuova occupazione, cioè dare una risposta al 40% dei giovani italiani disoccupati. Ma una ripresa senza lavoro è una “crescita infelice”! D’altronde, in un sistema economico fondato sulla crescita e sulla globalizzazione dei mercati, il mercato impone alle aziende di aumentare la competitività e la produttività, il che significa produrre sempre di più a costi sempre minori  con sempre meno addetti, anche per l’automatizzazione dei processi produttivi. Dunque abbiamo sempre meno persone che percepiscono uno stipendio per rilanciare i consumi. Checchè ne dicano politici ed economisti, è finita l’era dell’abbondanza e della “crescita infinita”. L’unica strada per superare la crisi e creare occupazione è da una lato la rilocalizzazione dell’economia e dall’altro la DECRESCITA FELICE. Non ha senso far girare per il pianeta milioni di tonnellate di merci e di derrate alimentari, tutto ciò ha dei costi ecologici insostenibili. Che senso ha importare merci o prodotti alimentari dall’altro lato del mondo? Mentre ha molto più senso ristrutturare tutte le abitazioni, ridurre gli sprechi, recuperare i materiali, salvaguardare l’ambiente, investire nelle migliori tecnologie per ridurre l’impronta ecologica. Tutte iniziative economiche potenzialmente in grado di creare milioni di posti di lavoro. Quanto tempo ancora ci vorrà per capire che serve un cambio di paradigma culturale? Solo così i nostri figli potranno lavorare e fare qualcosa di utile anziché essere dei semplici ingranaggi dell’economia globalizzata della crescita, che la crisi di oggi ci mostra con tutti i suoi limiti. Si sa che Papa Francesco sta lavorando ad una enciclica sull’ambiente, sicuramente affronterà queste tematiche legate ad uno sviluppo sostenibile e saprà dare una parola di saggezza che possa illuminare le menti non solo dei potenti e di chi ha in mano le leve dell’economia globalizzata ma anche di tutti noi cittadini-lavoratori-consumatori.

Luca Salvi

MDF VR

2 thoughts on “DOVE STIAMO ANDANDO E DOVE POTREMMO ANDARE”

  1. Per condividere in pieno
    PRIMO: rettificherei il giudizio “tutti gli economisti” (non è vero);
    SECONDO: inserirei come punto centrale dello scempio capitalistico non solo la morte del pianeta, ma anche la fine di 10 milioni (circa)di persone che ogni anno sono uccisi dalla fame e le ingiuste e folli disuguaglianze

  2. Caro Antonio, hai ragione, non tutti gli economisti la pensano così, diciamo il 99% degli economisti! Salviamo solo quell’1% di economisti che portano avanti le proposte della finanza etica. Pienamente d’accordo con te anche sulla disumanità di questo sistema economico che fa morire ogni anno milioni di persone, considerate degli “scarti”, come non cessa di denunciare anche Papa Francesco quando dice che “questa economia uccide”.

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