Lo scopo della ricerca che ha condotto alla realizzazione di Un pianeta a tavola non era teorico ma operativo. Fin dall’inizio mi sono posto l’obiettivo di giungere a una proposta concreta su come giungere a un modello agroalimentare realmente sostenibile. Dagli studi di impatto ambientale sono venute le indicazioni su quale questo modello dovrebbe essere, dalla psicologia sociale è venuto il quadro delle cause che si oppongono al cambiamento e una possibile via per superarle. Nell’ultimo capitolo tutte le considerazioni delle pagine precedenti convergono su due proposte fra loro utilmente complementari, una rivolta alle grandi aziende, l’altra ai piccoli operatori. La prima potrà forse lasciare perplessi poiché il nostro paradigma punta al superamento degli accentramenti produttivi e in genere della grande dimensione. Rimando al libro per la spiegazione delle motivazioni che, a partire da questo presente e considerata la gravità della crisi ecosistemica globale in corso, giustificano questa scelta. Qui piuttosto voglio tradurre in forma sinteticamente operativa le considerazioni conclusive del libro ovvero: cosa fare e chi deve farlo. Rimane aperta una sola questione: quale entità dovrebbe farsi promotrice di queste proposte verso i loro destinatari fungendo così da “motorino di avviamento” del cambiamento. Ma a questa domanda non è un libro che può dare una risposta.

Detto ciò, la proposta può essere riassunta in tre punti:

CHI sono i soggetti che devono realizzare la proposta

COSA devono fare

COME arrivare all’attuazione della proposta

CHI

La proposta è rivolta a tutti gli operatori commerciali impegnati nel settore del cibo vegetale biologico. La priorità massima è sul fatto che sia vegetale. La priorità della modalità di produzione biologica è inferiore (il rapporto fra le due è 1,7:1). Non si richiede la distribuzione “a Km zero” perché di importanza molto minoritaria rispetto alla priorità massima. Il rapporto, con riferimento alla diminuzione delle emissioni di gas serra, fra importanza del cibo vegetale e della distribuzione locale è 8:1. È tuttavia auspicata e incoraggiata la distribuzione di prossimità (ovvero rivolgersi al produttore più vicino fra quelli dotati di caratteristiche di compatibilità, anche se non è locale). Queste priorità dovranno costituire il criterio guida nella scelta degli operatori compatibili con l’obiettivo della proposta.

Due tipi di operatori:

a) Le grandi aziende

b) I piccoli operatori

Questi ultimi sono non soltanto i produttori ma anche cooperative di distribuzione su filiera corta (es.: Aequos, Spiga e Madia ecc.), ristoratori vegetariani/vegani ecc.

Per grandi aziende si intendono quelle impegnate esclusivamente nel settore vegetale con priorità per quelle che privilegiano la produzione biologica (es.: la belga Provamel).

Tipicamente questi due mondi vengono percepiti (e forse si autopercepiscono) come antitetici. Bisognerà dunque inizialmente verificare la possibilità di farli agire sinergicamente. In caso negativo bisognerà elaborare le proposte da rivolgere agli uni e agli altri in maniera indipendente.

COSA

Premessa. Le scelte alimentari sono fra quei comportamenti che definiscono l’identità di gruppo ovvero l’insieme di una visione del mondo, una scala di valori, un modo di comportarsi la cui condivisione definisce il gruppo sociale e lo distingue dagli altri. Tutto ciò che riguarda l’identità di gruppo risiede negli strati inconsci della psiche dell’individuo e non è da lui né percepibile né controllabile. Egli in altre parole “sente” che deve fare, pensare, dire certe cose (nel nostro caso: mangiare in un certo modo) ma non saprebbe dare una spiegazione del perché o se la dà è una spiegazione fittizia (razionalizzazione). La vera ragione (ripeto: inconscia) è che tali azioni costituiscono un messaggio di appartenenza al gruppo («io sono uno di voi»), sono simboli di appartenenza. Comportarsi diversamente significa uscire dal gruppo e questo l’individuo umano, essendo in maniera innata un animale sociale, non è in grado di farlo.

Tutto ciò significa che le scelte alimentari, essendo segnali identitari, sono definite a livello di gruppo e non controllabili razionalmente dall’individuo. I cibi in altre parole appartengono all’insieme dei simboli di appartenenza sociale. Agire per il cambiamento delle scelte alimentari significa dunque agire:

a) A livello di gruppo, non a livello individuale;

b) Agendo sull’identità di gruppo, cioè sui contenuti simbolici, non tramite argomenti razionali.

Condizione necessaria per l’avvio delle azioni descritte nel seguito è l’organizzazione degli operatori in un consorzio che consenta loro di unire le proprie forze in una iniziativa unitaria (al più due consorzi, uno delle grandi aziende e uno per i piccoli operatori).

Le grandi aziende. Hanno i mezzi per agire in maniera centralizzata, ovvero attraverso i mass media (azione “dall’alto”). L’obiettivo è la creazione di una nuova immagine di marca legata al cibo vegetale come cibo innovativo e superiore. La campagna non sarà rivolta a uno specifico prodotto ma promuoverà in maniera generale il consumo di cibi vegetali .

Per immagine di marca si intende in pubblicità l’insieme dei contenuti “affettivi”, cioè simbolici, cioè inconsci, che il consumatore associa a un certo prodotto. È in essa che si condensano gli aspetti identitari legati al prodotto.

I piccoli operatori. Se si supera una certa soglia non è escluso che anche un consorzio di piccoli operatori possa acquisire la forza per accedere ai mass media. Dunque anch’essi potrebbero realizzare l’azione precedente. Essi tuttavia, proprio per la loro natura passibile di costituirsi come una “rete a maglie fitte”, possono realizzare azioni distribuite sul territorio miranti a creare situazioni di aggregazione collettiva in cui si crei un’identità di gruppo legata al cibo vegetale (azione “dal basso”).

Queste aggregazioni, affinché siano stabili e pertanto efficaci, devono avere le caratteristiche tipiche e fondanti dei gruppi sociali ovvero coesione e valenza. Coesione è il “senso del noi” ovvero la percezione del gruppo come un’unità omogenea e differenziata dal mondo esterno. Di fatto è data dall’identità di gruppo. Valenza è la capacità del gruppo di soddisfare le aspettative e le esigenze dell’individuo che ne fa parte. Una precondizione necessaria alla loro realizzazione è la continuità nel tempo, ovvero il fatto che l’immersione dell’individuo nel gruppo non sia occasionale e con ciò eccezionale rispetto alla vita di tutti i giorni, ma che il gruppo entri a far parte di questa interagendo positivamente con essa.

Affinché in questi gruppi non si replichi sotto mentite spoglie il modello alimentare dominante (come accade nei GAS) essi dovranno essere guidati da uno psicologo esperto in conduzione di gruppi. Il modello di riferimento è l’esperienza condotta nel 1943 da Kurt Lewin .

Nota: la parola “vegano” non è utilizzabile perché non identifica una scelta alimentare bensì una identità di gruppo o anche immagine di marca cui l’individuo convenzionale si sente estraneo. In pubblicità si sostiene che è più facile creare una nuova immagine di marca piuttosto che modificarne una esistente. Noi dobbiamo creare una nuova immagine di marca legata al cibo vegetale, estranea all’identità di gruppo “vegana”. Sul piano sostanziale (razionale) sarà la stessa cosa, non lo sarà sul piano simbolico (inconscio, che è poi, come abbiamo detto, quello determinante).

COME

La prima cosa da fare è misurare le nostre forze. Ovvero creare il o i consorzi di soggetti compatibili. L’ideale sarebbe creare a priori un’entità che si ponga nei loro confronti come ente proponente. Il primo punto da attuare è un sondaggio “attivo” fra i soggetti potenziali allo scopo di sondarne e allo stesso tempo stimolarne la disponibilità a investire nell’idea. Figure richieste: possiamo definirle “esperti in strategie di coinvolgimento” (ovvero organizzatori, pubblicitari ecc.). I passi successivi sono fortemente dipendenti dagli esiti (soprattutto quantitativi) di questa Fase Uno per cui, in questo momento, un eventuale seguito di questa traccia avrebbe una forma del tipo: “Se… allora…” ma mi sembra inutile approfondire tutto un ventaglio di possibilità di cui poi magari se ne verificherà una sola.

FILIPPO SCHILLACI

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