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Lavoro, occupazione e vocazione tre parole per un’impostazione sociologica differente.

Il lavoro occupa oggi un posto di rilevo all’interno dell’abitare umano nel mondo: ogni città e ogni esistenza umana sono il manifesto evidente della sua centralità. “L’Italia è una REPUBBLICA FONDATA SUL LAVORO”, solo questo basta per dare dei connotati al fenomeno.

Il lavoro, infatti, da un lato abita e struttura la convivenza cittadina, i suoi luoghi e i suoi ritmi, e dall’altro abita l’esistenza dell’uomo, il suo tempo, le sue possibilità, la sua realizzazione, la sua dignità.1 Il lavoro, dunque, si ritrova immediatamente annodato alla socialità e alla umanità stessa dell’umano e questa connessione pare tracciare una via possibile per una sua disamina filosofica. La questione del rapporto tra il lavoro e la libertà così come quella del rapporto tra il lavoro e la dimensione sociale con le specifiche afferenti ai concetti di OCCUPAZIONE e VOCAZIONE hanno rappresentato da tempo, per diversi autori – tra cui Max Weber e a seguire Michael Walzer – il cardine principale di una riflessione interessata ad approfondire il legame reciprocamente fecondo e significante tra il lavoro e l’umano.

In questa prospettiva, avvicinandosi cioè al tema del lavoro a partire dall’analisi della sua dose di libertà, socialità e umanità, il problema tipicamente filosofico della definizione del lavoro si ritrova trasposto in secondo piano. Ogni definizione dell’essenza del lavoro in termini generali, ogni tentativo meramente concettuale di circoscriverlo, rischia infatti di non coglierne i nuclei problematici, la sua specificità in rapporto all’esistenza e alla libertà, rischia cioè di separare indebitamente all’origine il concetto di lavoro dal mondo e dall’umano. È significativo, a questo proposito, ricordare come il pensiero riformato, pur rimettendo al centro il concetto di professione intesa come BERUF (vocazione), si sia mostrato immune dall’esigenza di definirlo: il termine professione vi è usato «nel suo senso più banale, così come si parla della professione di dentista o di cameriere» e per Lutero «le attività del contadino, del dottore, del maestro, del ministro del culto, del magistrato, della massaia, del domestico erano tutte inviti divini, “vocazioni”», erano tutte lavoro allo stesso modo. Fino anche all’inquietante constatazione per cui «lavoravano i cupi comandanti dei “campi” in cui si consumava, con tempi e metodi da fabbrica, lo sterminio rispettando gli orari d’ufficio, la successione delle fasi di lavorazione, la divisione dei compiti con meticolosa precisione».

A far luce sul rapporto che esiste in termini filosofici, sociologici ed economici tra lavoro, occupazione e vocazione ci pensa Alessandro Pertosa. Il noto saggista e filosofo illustra la prospettiva decrescente al microfono di Eleonora Stentella per la rubrica Pensare Decrescente. Guarda il video.

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