La premessa necessaria è che non siamo nel mondo delle fiabe. Il lieto fine non può garantirlo nessuno, ma a noi non interessa tanto il finale (chi può mai prevedere il futuro?) quanto l’oggi e il suo darsi di volta in volta. Il viaggio è importante non la meta.

Se è vero che non siamo finiti in buone mani è altrettanto vero che da questa situazione possiamo uscirne. E questa è una buona notizia.

Per uscire dall’attuale situazione di stallo e di sofferenza vi sono diverse strade, perché diversi sono gli ambiti in cui operare. Proverò a tracciarne alcuni non volendo avere la presunzione dell’esaustività e della completezza.

Il primo ambito in cui operare è certamente quello interiore. Senza una profonda convinzione che la vita e il modo di vivere che stiamo facendo è dannoso e non ci rende felici e realizzati, non si può iniziare nessun viaggio verso alcun cambiamento, nessun miglioramento.

Per decenni ci hanno indottrinato facendoci credere che un’economia basata solo sulla crescita scriteriata avrebbe prodotto nelle nostre vite anche dei miglioramenti impensabili. L’equazione semplice era: più soldi guguale più felicità. Se hai più soldi e quindi un lavoro ben retriubuito, potrai comprarti tutte le cose che desideri (indipendentemente se sia no utili o meno) e così sarai felice tu e la tua famiglia. Ora, che questo sia falso lo dimostrano sia le persone che i soldi li hanno per davvero, sia quelli che non li hanno ma vorrebbero averli.

Ora poi che la situazione è anche peggiorata sotto questo punto di vista, è chiaro a tutti come siano di argilla i piedi di questo gigante immaginario.

Il denaro è un mezzo, importante ma non unico per garantire una vita degna di questo nome. Basare tutta la vita solo su questa variabile, ci condanna all’infelicità certa.

E’ da dentro dunque che deve partire la vera rivoluzione. Prendere coscienza del valore immenso che ognuno di noi ha, dell’unica vita di cui ha a disposizione e del volerla vivere nel migliore dei modi possibili. Come? realizzando la propria natura specifica, la propria unicità. Si, noi siamo unici, non esiste un’altro uguali a te nel mondo. E se tu dovessi vivere somigliando a qualcun’altro la tua vita sarebbe inutile.

Per decenni siamo stati tutti omologati e spesso lo siamo ancora. Tutti con gli stessi lavori, gli stessi modi di vedere il mondo, la vita, gli affetti. Tutti inconsapevolmente omologati. E la nostra unicità? quando la perdiamo ci ammaliamo. E non è un caso se il secolo scorso e questo inizio di nuovo millennio è quello dove gli psicofarmaci la fanno da padrone.

Riscoprire la creatività, la propria creatività o se volete, la propria spiritualità.

Un secondo ambito da seguire è quello dell’economia.

Economia non è una brutta parola. Lo è diventata negli ultimi decenni e soprattutto quando è diventata un’ossessione diabolica e una condizione schiavizzante. Se ne può uscire? Certo. La ricetta fu eleborata agi albori del così detto boom economico e prende il nome di Bioeconomia. Un mondo finito non può crescere all’infinito e quindi qualsiasi azione di produzione di merci deve tener conto delle capacità della terra di poterne assorbire gli effetti e di potersi rigenerare. Produrre quindi solo merci realmente utili, e a quasi impatto zero per l’ambiente.

Un’economia circolare quindi, che si prenda cura non solo di cosa e come produrre, ma anche degli effetti del suo smaltimento e possibilmente evitarlo. Questo comporterà un abbandono delle energie fossili, una scelta decisa verso le rinnovabili e stili di vita completamente diversi da quelli attuali. Ma prima ancora di tutto questo, bisogna tappare il buco del secchio degli sprechi, soprattutto quelli energetici. Solo in questo modo si potrà riequilibrare una situazione che precipita ogni giorno di più. Leggasi alla voce cambiamenti climatici.

Riduzione di sprechi e conversione dell’economia alla bioeconomia significa creare posti di lavoro utili, ristrutturazione degli edifici pubblici e privati, costruzione di eventuali nuove case con criteri diversi, rigenerazione delle città e dell’urbanizzazione in genere; produzione di merci senza trattamenti chimici; un ciclo integrato dei rifiuti (da ridurre sempre di più).

Uno sviluppo maggiore di nuove tecnologie che possano facilitare questo passaggio, creare lavoro utile e ridurre la fatica degli uomini che possono dedicarsi anche ad altro. Un vero progresso quindi e non un ritorno all’età della pietra, come tanti poco informati intendono la decrescita.

Si impone qui anche il ripensare al concetto di lavoro salariato da collegare sempre di più anche alla capacità di saper fare cose che altrimenti dovremmo comprare. Saper autoprodursi alcune cose che altrimenti andrebbero comprate, ci rende un pò più liberi e certamente meno dipendenti dal denaro e quindi da un lavoro altamente retribuito. Sono scelte, che al momento non sono rese possibili perché dipendiamo troppo da un sistema schiavizzante ed incatenante.

Una terza tappa è sicuramente il settore agricoltura. E’ innegabile che il bisogno primario degli uomini sia quello di alimentarsi. Farlo bene è d’obbligo. Anche qui paghiamo decenni di industrializzazione scriteriata. Invasione di cibo sulle nostre tavole e dispense, contenenti di tutto. Per molto tempo siamo stati ignari dei contenuti dei cibi. Ci siamo fidati della “grande madre” la tv. Se lo diceva la televisione doveva essere per forza sicuro. Ed invece… Oggi fanno “tenerezza” certi spot pubblicitari che per stare dietro ai cambiamenti del mercato (cioè dei nostri gusti e del nostro sentire) si vantano di fare prodotti “senza olio di palma”. Poi magari sostituiscono quel tipo di olio con altro, oppure il tutto è fatto con i dannosi grassi idrogenati…ma fa niente…

Ecco, riprendere consapevolezza di cosa si mangia, significa riprendere in mano le proprie vite e pretendere un’agricoltura più piccola, che non deve inseguire la grande industria e quindi non costretta ad inseguire i grandi numeri. Un’agricoltura più sana, legata al proprio territorio, che segue i ritmi della natura e non usa pesticidi o trucchi per aumentare la produzione a discapito della salute.

Garantire veri sgravi fiscali per chi desideri ritornare alla terra, garantire un serio aiuto per l’uso di nuove tecnologie che non rendano schiavo l’uomo del proprio lavoro ma che siano di aiuto per un vero cambio di passo.

Una vera agricoltura che sia un presidio della biodiversità, una conservazione di semi veri e non modificati, che sia garanzia di salute. Per fare questo non servono nuove invenzioni o nuove agricolture. Abbiamo un sapere millenario a cui attingere, da riprendere e tutelare.

Oggi sappiamo, da autorevoli fonti scientifiche, che una sana alimentazione legata anche a ritmi di vita più lenti, sono garanzia di una vita migliore, con meno rischi di ammalarsi e possibilità di una vita più lunga e migliore.

Una quarta traccia per ritornare a casa, sono sicuramente i rapporti interpersonali. Da soli non si va molto lontano. Competizione è stata una delle parole d’ordine degli ultimi decenni. Questo ha creato molta diffidenza ed individualismo.

Non si tratta di fare del facile buonismo o peggio ancora di diventare più buoni. C’è soltanto da prendere consapevolezza che esistono anche altre persone, che esse non sono padrone della nostra vita e men che meno noi della loro. Rispettarsi e condividere le comuni intenzioni dove possibile. Senza alcuna pretesa e senza alcun settarismo o dogma. Questo passo, importante per una sana armonia, è possibile solo se si fa la prima imprescindibile tappa abbozzata in questo percorso.

Ripensare quindi il vivere insieme significa anche ripensare l’urbanistica e il coabitare diversamente. Non è un caso se è da diversi anni che si sente parlare di cohousing e che questa esperienza non solo prende sempre più piede ma va sempre di più modificandosi per venire incontro alle esigenze delle  persone e anche del mercato. Rispettare la propria intimità non significa diventare orsi sociali, ma saper raggiungere un sano equilibrio tra pubblico e privato.

Affrontare questa tappa poi, apre un tema fondamentale che è quello della casa. Un problema non di poco conto visto che incide su un bilancio familiare o singolo in modo consistente. Sia che si tratti di mutuo per acquisto, sia che si tratti di affitto. Spesso queste spese fisse sono molto alte e costringono anche il miglior autoproduttore a dover lavorare molte ore al giorno per pagare le spese inerenti l’abitazione.

Trovare un sano equilibrio anche per queste inevitabili nuove forme di vita è indispensabile.

Ho provato ad abbozzare dei piccoli percorsi. Qualcuno potrebbe dire che non ho messo l’aspetto politico. In realtà se non sono Politica e politici questi aspetti che ho abbozzato, non so davvero quale possa essere il concetto di Politica. Sicuramente manca l’aspetto partitico che non interessa e non fa gli interessi di noi tutti.

Non so cosa possano suscitare queste parole. Forse non tutti saranno d’accordo e certamente avrò mancato molti aspetti. Sarebbe interessante sapere cosa ne pensano i lettori e quali aspetti aggiungerebbero o toglierebbero.

Quello che mi pare certo è che stiamo viaggiano molto a vista, forse stiamo per naufragare e forse sarà necessario.

Si naufraga per tornare ad Itaca, come Ulisse.

Alessandro Lauro

 

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