Allarme Onu: un milione di specie a rischio estinzione. Declino senza precedenti. Colpa dello sfruttamento di terra e mare, di piante e animali e dei cambiamenti climatici.

Articolo tratto da www.adnkronos.com

Il rischio estinzione corre a ritmi sempre più veloci e nell’arco di pochi decenni potremmo dover dire addio a circa 1 milione di specie animali e vegetali. La situazione non è mai stata così grave: la natura soffre di un declino “senza precedenti”. E’ l’allarme lanciato oggi dalle Nazioni Unite attraverso uno studio dell’Ipbes il gruppo intergovernativo per la Biodiversità e i Servizi Ecosistemici, che individua anche le principali responsabilità di questa situazione: al primo posto, l’utilizzo che stiamo facendo di terra e mare, seguito dallo sfruttamento di piante e animali, mentre al terzo posto ci sono i cambiamenti climatici. Insomma, la colpa – secondo le Nazioni Unite – è dell’uomo e servono azioni urgenti per proteggere le foreste e gli oceani, e cambiamenti radicali nel modo in cui produciamo e consumiamo il cibo.

“Stiamo consumando le basi stesse delle nostre economie, i nostri mezzi di sussistenza, la sicurezza alimentare, la salute e la qualità della vita in tutto il mondo”, dichiara Robert Watson, a capo dell’Ipbes. Secondo il rapporto, le attività umane hanno “significativamente modificato” la maggior parte degli ecosistemi terrestre marini: i tre quarti dell’ambiente terrestre e circa il 66% dell’ambiente marino sono stati modificati in modo significativo; più di un terzo della superficie terrestre del mondo e quasi il 75% delle risorse di acqua dolce sono ora destinate alla produzione di colture o bestiame.

Lo studio, che si sviluppa in 1.800 pagine, è una prima e completa fotografia dello stato della biodiversità mondiale dal 2005, realizzato grazie alla documentazione fornita da 400 esperti mondiali di oltre 50 Paesi. Il rapporto offre anche uno studio completo dell’interconnessione tra cambiamento climatico e perdita di natura. Fra le principali cause dei mutamenti dell’ecosistema c’è il cambiamento climatico provocato dall’azione umana. Le emissioni di gas serra sono raddoppiate, provocando un aumento delle temperature medie globali di un grado 1°C, mentre il livello medio globale del mare è aumentato da 16 a 21 centimetri dal 1900. Questi cambiamenti hanno provocato impatti diffusi in molti aspetti della biodiversità, a cominciare dalla stessa distribuzione delle specie.

L’Italia non fa eccezione, lo ricorda la Lipu: nel nostro Paese il 50% delle specie di uccelli comuni, tra i quali allodole, passeri e rondini, è in declino.

Quanto emerge da questo rapporto è devastante”, commenta Greenpeace. “Nonostante il ruolo fondamentale della biodiversità nella conservazione della vita sul Pianeta, il prevalere degli interessi economici ha portato ad un tale sfruttamento delle risorse naturali da rischiare ora conseguenze irreversibili”, dice Martina Borghi, campagna foreste di Greenpeace Italia. Ad essere a rischio sono anche i mari. Secondo il rapporto Onu, i meccanismi esistenti per proteggere i nostri oceani non funzionano. “Oggi solo l’1% dei mari globali è protetto e non esiste uno strumento legale che consenta la creazione di santuari nelle acque internazionali”, commenta Giorgia Monti, responsabile della campagna mare di Greenpeace Italia. Per Greenpeace c’è bisogno di un accordo globale che protegga almeno il 30% dei nostri oceani entro il 2030.

Per il Wwf si tratta “dell’ennesimo campanello d’allarme per il mondo politico, economico e per le imprese affinché intraprendano azioni decisive” e “l’ennesima, autorevolissima, sottolineatura scientifica su ciò che il Wwf sostiene da anni, e cioè che con l’erosione della biodiversità e dei servizi ecosistemici che la stessa vita sulla Terra ci garantisce, dal ciclo dell’ossigeno e del carbonio a quello dell’acqua, dalla produzione alimentare alle risorse forestali, stiamo mettendo a rischio il nostro stesso futuro“, dice il direttore scientifico Gianfranco Bologna.

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