Il nucleare non serve all’Italia. Oggi ancor più di 23 anni fa, il nostro Paese deve puntare sull’informazione e l’educazione al risparmio energetico, sull’efficienza e sulle fonti energetiche davvero pulite e sicure, nel rispetto delle valenze ambientali e storiche dei territori. Questo il messaggio lanciato ieri a Roma dal Comitato ‘Fermiamo il nucleare, non serve all’Italia’ nel quadro della mobilitazione "Cento Piazze per il Clima" e in occasione dell’anniversario del referendum popolare contro il nucleare.

Nel 1987, l’80,6% dei votanti disse no alla localizzazione delle centrali nucleari in Italia, il 79,7% disse no ai contributi a Regioni e Comuni per la localizzazione delle centrali atomiche, il 71,9% disse no alla partecipazione a progetti di centrali elettronucleari all’estero. Oggi il governo sta smantellando la volontà popolare attraverso provvedimenti che mirano al ritorno al nucleare nel nostro Paese.

Il Comitato ha ribadito in una conferenza stampa, che le ragioni che portarono il popolo italiano a dire no all’atomo nel 1987 sono tuttora valide. Il nucleare costa troppo e non dà indipendenza né sicurezza energetica. L’uranio è una risorsa che entro qualche decennio sarà esaurita (probabilmente prima del petrolio e del carbone), le centrali costituiscono degli obiettivi ‘sensibili’ per il terrorismo, con forti rischi per la popolazione e comunque richiedono la preventiva militarizzazione del territorio. Soprattutto, il nucleare costituisce un rischio ambientale e per la salute.

Proprio sui rischi sanitari si sono soffermati questa mattina i promotori del Comitato, ribattendo alle interviste rilasciate nei giorni scorsi dal candidato alla presidenza dell’Agenzia per la Sicurezza Umberto Veronesi, che pare sottostimare grandemente i rischi legati alla tecnologia in questione. Il professore minimizza, infatti, sistematicamente ogni problema, chiudendo gli occhi su quello che succede nei paesi dove il nucleare c’è. Un atteggiamento in contrasto con il compito di assicurare l’imparzialità e la terzietà di un’agenzia posta a garanzia della salute dei cittadini e dei territori.

Diverse le fonti. A cominciare dal libro Chernobyl: Consequences of the Catastrophe for People and the Environment pubblicato quest’anno dalla New York Academy of Sciences, il quale indica che circa un milione di persone sono morte a causa dell’incidente nella centrale del reattore ucraino. Gli autori, Alexey Yablokov del Center for Russian Environmental Policy di Mosca, e Vassily Nesterenko e Alexey Nesterenko dell’Institute of Radiation Safety di Minsk, Bielorussia, hanno dichiarato che "le emissioni di un reattore hanno superato cento volte la contaminazione radioattiva delle bombe su Hiroshima e Nagasaki".

La contaminazione ha riguardato l’intero emisfero nord del Pianeta, compresi Stati Uniti e Canada. L’OMS (Organizzazione mondiale per la Sanità) e la AIEA (Agenzia Atomica) avevano calcolato 9.000 morti e circa 200.000 persone ammalatesi a causa della contaminazione conseguente all’incidente. I ricercatori hanno stimato, invece, che le morti dovute alle conseguenze della contaminazione radioattiva, dal 1986 al 2004 sono state 985.000, un numero che destinato ad aumentare negli anni successivi.

La stessa autorità di sicurezza nucleare francese, commentando un incidente avvenuto all’impianto di Tricastin a luglio 2008, rendeva noto che si contano in Francia ogni anno almeno 100 incidenti considerati di piccola entità. Ma il nucleare fa male anche quando non si verificano incidenti. Ricerche condotte in Germania, in Inghilterra e in Francia dimostrano che le zone nelle immediate vicinanze di una centrale sono inquinate dalla radioattività, e che questa determina malattie gravi nella popolazione.

Secondo uno studio governativo tedesco, realizzato da epidemiologi dell’Università di Magonza su tutti e 16 gli impianti nucleari della Germania, i bambini che abitano a meno di 5 kilometri dai reattori hanno un incremento del 76% del rischio di contrarre una leucemia rispetto ai coetanei che vivono a più di 50 km. Un lavoro del 1997 condotto da ricercatori dell’Università di Brema rileva, invece, un aumento dei casi di leucemia infantile nelle vicinanze di un reattore nucleare situato nella Germania settentrionale (a 35 km da Amburgo) sei volte superiore alla media nazionale. La frequenza di bambini ed adulti ammalati, con esiti talvolta letali, cresce via via che ci si avvicina all’impianto.

Altre analisi recenti hanno confermato l’associazione tra vicinanza agli impianti nucleari e rischio di tumori infantili, leucemia in particolare. L’ipotesi prospettata sulla rivista Environmental Health, è che i radionuclidi (trizio e altri) liberati dagli impianti con il vapore acqueo vengano incorporati dal suolo e dai vegetali e che si ritrovino, quindi, nella catena alimentare. Le donne in stato di gravidanza esposte a queste sostanze radioattive le trasmetterebbero ai feti.

Uno studio effettuato presso gli impianti di ritrattamento di Sellafield e Dounreay in Gran Bretagna e a Krummel ha registrato tassi di rischio di tumori superiori da 2 a 4 volte rispetto alla media europea. La Francia ha un tasso di tumori tiroidei doppio rispetto al resto d’Europa.

Per non parlare delle temutissime e pericolosissime infiltrazioni di acqua nelle miniere saline di Asse in Germania dove giacciono 160.000 fusti di scorie radioattive che potrebbero causare un inquinamento delle falde acquifere con il Cs137: per la loro rimozione occorrerebbero circa 20 anni, con costi inimmaginabili.

Per il Comitato ‘Fermiamo il nucleare, non serve all’Italia’ appare sempre più evidente che l’unica strada sostenibile in materia di energia sia quella del risparmio, dall’efficienza energetica e dello sviluppo coerente delle fonti rinnovabili e pulite.
 

Fonte: Il Cambiamento

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