Nei giorni scorsi storici, statistici ed economisti si sono incontrati nell’Università di Roma per discutere sul tema: “La scarsità delle risorse: uno sguardo di lungo periodo”, a quarant’anni di distanza dal lungo dibattito che vide contrapposti i ”neomalthusiani” e i “cornucopiani”. Secondo i primi le risorse della Terra non sono o non saranno sufficienti a sfamare una popolazione crescente con crescenti richieste non solo di cibo, come aveva detto l’inglese Robert Malthus (1766-1834), ma anche di minerali, energia, acqua, legname, eccetera; i “cornucopiani”, invece, sostenevano che la Terra ha dentro di se (nel suo magico canestro dell’abbondanza, la cornucopia, appunto), risorse e beni per tutti gli attuali e futuri abitanti del pianeta grazie alla scienza e alla tecnica che avrebbero consentito di “allargare il banchetto della natura”.

Il dibattito aveva avuto il suo culmine nel 1972 quando il Club di Roma aveva pubblicato il libro “I limiti alla crescita” il quale sosteneva che la crescita della popolazione e della produzione agricola e industriale stava impoverendo le risorse scarse della Terra e ne stava degradando la qualità con l’inquinamento, per cui doveva essere deciso qualche freno “alla crescita” economica. Dal 1980 in avanti il dibattito si è attenuato e i terrestri sono andati avanti a pompare petrolio, a scavare carbone, a tagliare le foreste per creare spazio per coltivazioni agricole, per estrarre i minerali nascosto nel suolo delle foreste.

Nel convegno dell’Università di Roma molti interessanti e colti interventi hanno messo a confronto le tesi dei neomalthusiani (quelle esposte nel libro del Club di Roma e nelle più recenti proposte di “decrescita”), e quelle dei “boserupiani”, gli studiosi che fanno riferimento alla danese Ester Boserup (1910-1999). Questa sociologa, a partire dal 1965, è andata sostenendo che quanto più aumenta la popolazione tanto maggiore è il numero delle braccia e delle innovazioni che assicurano una crescente produzione di cibo. Del resto nel 1967 l’economista inglese Colin Clark (1905-1909) aveva scritto che la Terra avrebbe potuto sfamare 40 miliardi di persone, sei volte la popolazione mondiale odierna, e nel 1979 il fisico Cesare Marchetti aveva addirittura scritto che sul nostro pianeta avrebbero potuto trovare spazio, energia e alimenti “mille miliardi di terrestri”. Alcuni storici hanno ricordato che lo spettro della carestia ha sempre, nei secoli, angustiato l’umanità ed è stato esorcizzato con innovazioni tecniche in agricoltura, con nuove scoperte scientifiche. Si può quindi stare tranquilli sui pericoli di scarsità delle risorse a lungo termine ?

Eleonora Masini, professore emerito di ecologia umana nell’Università Gregoriana e nota studiosa di previsioni socio-economiche (tenne una conferenza anni fa anche a Bari), in una convincente e documentata relazione ha esaminato il lungo dibattito “moderno”, diciamo così, sulla scarsità. La Terra è grande, ma non illimitata, e tutte le attività umane consistono nel sottrarre ricchezze fisiche, agricole e minerarie, dal pianeta e nell’immettere nello stesso serbatoio di risorse, le scorie delle stesse attività di produzione e di consumo. Il numero dei terrestri è uno degli aspetti dell’impoverimento delle risorse: è vero che la popolazione terrestre, oggi di sette miliardi, in aumento di circa 70 milioni di persone all’anno, fa aumentare la richiesta di risorse naturali e il deterioramento dell’aria e delle acque ad opera dei rifiuti, ma i sette miliardi non sono omogenei.

Alcuni (il 20 percento) contribuiscono molto all’impoverimento delle riserve di risorse e all’inquinamento, altri (il 40 percento del totale), stanno uscendo dall’arretratezza e si stanno avviando verso uno sfruttamento crescente della Terra, ma il resto spesso non ha neanche di che sopravvivere e reclama il diritto al cibo e ad un minimo di vita decente. E’, ha detto la Masini, un problema di ecologia umana, di responsabilità verso chi non ha niente e verso le generazioni future, e ha citato le parole che il Papa ha detto qualche giorno fa quando ha denunciato che le economie più dinamiche possono “prosciugare le risorse naturali della Terra”, e che “gli stili di vita improntati ad un consumo insostenibile”, caratteristici dei paesi industriali, risultano “dannosi per l’ambiente e per i poveri”; in queste parole di un anziano teologo c’è più saggezza ecologica e visione del futuro che in quelle dei diplomatici, degli economisti e dei politici.

C’è da augurarsi che l’iniziativa dell’Università di Roma abbia un seguito, e che coinvolga il mondo politico, quello che dovrebbe operare per il bene pubblico, degli abitanti di ciascun paese, di oggi e del futuro.

Fonte: www.eddyburg.it

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