«Centinaia di soldati delle forze speciali britanniche Sas sarebbero in azione da almeno tre settimane in Libia al fianco dei gruppi ribelli», afferma il 20 marzo il quotidiano “Sunday Mirror”. Due unità di incursori, soprannominate “Smash” per la loro capacità distruttiva, avrebbero «dato la caccia ai sistemi di lancio di missili terra-aria di Muhammar Gheddafi», i Sam 5 di fabbricazione russa, «in grado di colpire bersagli attraverso il Mediterraneo con una gittata di quasi 400 chilometri». Affiancate da «personale sanitario, ingegneri e segnalatori», sempre secondo il “Sunday Mirror” le Sas britanniche hanno «creato posizioni sul terreno in modo da venire in aiuto in caso in cui jet della coalizione fossero stati abbattuti durante i raid».

Le prime notizie sulla presenza di soldati occidentali sul suolo libico, dopo l’avvio dell’attacco della coalizione internazionale promossa dall’Onu contro Gheddafi, hanno fatto il giro dei telegiornali il 20 marzo, cioè nel giorno in cui – dopo il «successo» dei primi raid aeronavali e missilistici, con l’80% delle difese aeree libiche distrutte e decine di tank colpiti per scongiurare lo stritolamento di Bengasi  – l’operazione ha subito pesanti critiche progressive, dopo l’annuncio iniziale di «60 civili uccisi», secondo la televisione libica. Immediato l’alt della Russia, che teme – insieme alla Cina – che la coalizione oltrepassi il mandato Onu, limitato all’istituzione della “no-fly zone” per togliere a Gheddafi il vantaggio (devastante) del controllo dei cieli, da cui bombardare insorti e civili.

Molto problematico il “no” dell’Unione Africana ma soprattutto quello della Lega Araba, decisiva solo ieri per la risoluzione Onu contro Gheddafi. E sul fronte occidentale, all’astensione della Germania si aggiunge il veto della Turchia, contraria ad affidare alla Nato – di cui fa parte – la direzione militare dell’operazione. «Non siamo noi a colpire i civili, ma Gheddafi», replica il governo inglese, mentre si susseguono notizie confuse: l’ennesimo proclama delirante del Colonnello, l’annucio di «armare il popolo» consegnando fucili a «un milione di persone», quindi la proclamazione unilaterale del cessate in fuoco da parte delle autorità militari di Tripoli e, contemporaneamente, combattimenti sanguinosi a Misurata, terza città della Libia, dove sarebbero in corso scontri «uomo a uomo, casa per casa».

Intanto, fra le inevitabili esternazioni dell’opposta propaganda – “missione umanitaria” contro “barbara invasione nazista” – gli strateghi occidentali restano incerti: Barack Obama irritato dal protagonismo elettoralistico di Sarkozy, mentre l’Italia – reduce dal patto di ferro con Gheddafi e dalle celebrazioni del Colonnello – sembra costretta a rincorrere, coi suoi Tornado e le sue basi siciliane, per preservare l’antica presenza dell’Eni nell’ex colonia petrolifera, con risvolti politici tutti italiani: il premier silente, il capo dello Stato che difende il carattere strategico di una missione a supporto del riscatto democratico del Mediterraneo, il Pd pronto al sostegno dell’operazione e Bossi invece contrario. Il leader leghista minaccia di spaccare il governo sulla “guerra dell’Onu” in Libia, mentre Lampedusa scoppia di profughi e Palazzo Chigi non ha ancora deciso dove smistarli.

«Il mandato dell’Onu non prescrive l’abbattimento del regime di Gheddafi», precisa Massimo D’Alema al Tg3, pur sapendo che il crollo del raìs è esattamente il risultato che tutti attendono. Solo che gli americani per primi restano scettici: «Non è affatto detto che Gheddafi cada: potrebbe benissimo resistere, anche senza più aerei né carri armati», spiega Edward Luttwak a Lucia Annunciata su RaiTre. Così, meglio si spiegano le ultime notizie sulle infiltrazioni di reparti militari occidentali in territorio libico per rafforzare l’unico strumento legale per l’abbattimento del raìs: le scalcagnate milizie dei ribelli. Truppe speciali inglesi, ma non solo: voci di stampa parlano anche i militari francesi e statunitensi.

«Forze speciali dell’esercito Usa sono sbarcate in Libia, per addestrare i ribelli che combattono contro il regime di Muhammar Gheddafi», scrive il “Pakistan Observer”. Secondo il giornale asiatico, sul posto si troverebbero anche “consiglieri militari” inglesi e francesi, con il compito di stabilire le basi di addestramento nelle regioni orientali del paese, sulle quali la pressione militare di Gheddafi è stata alleggerita in modo decisivo dal devastante attacco combinato, dal cielo e dal mare, coi missili navali e i razzi dei jet della coalizione. Secondo un diplomatico libico, le forze speciali delle tre potenze occidentali sarebbero approdate in Cirenaica già da alcune settimane: soldati statunitensi e britannici sarebbero stati sbarcati da navi da guerra fra il 23 e il 24 febbraio a Bengasi e Tobruk.

Questo spiegherebbe anche la micidiale efficacia dei bombardamenti che fra il 19 e il 20 marzo hanno di fatto annientato i reparti corazzati di Gheddafi che si preparavano all’assalto finale per espugnare Bengasi. Le forze ribelli sarebbero ora in marcia verso ovest, cercando di riconquistare i caposaldi perduti: Adjabiya, Brega, Ras Lanuf. Obiettivo principale, la “liberazione” di Misurata, rimasta isolata e assediata a pochi chilometri da Tripoli. In attesa che l’Onu e la coalizione aggiornino la loro agenda militare, i raid continuano: nella notte fra il 20 e il 21 marzo hanno compiuto le loro prime missioni i Tornado italiani decollati dalle basi siciliane.

Fonte: Libre

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