Che sarà della neve/che sarà di noi?/Una curva sul ghiaccio/e poi e poi… Inizia così «Sì, ancora la neve”, una delle più ispirate poesie di Andrea Zanzotto, il grande poeta morto ieri, a novant’anni, all’ospedale di Conegliano Veneto.

…che sarà del libero arbitrio e del destino/e di chi ha perso nella neve il cammino… continua il testo. E già da questi pochi versi si intuiscono le tematiche care al poeta che sempre nella sua lunga vita è stato in prima fila nelle battaglie per la giustizia sociale e per la difesa dell’ambiente.

La passione civile Zanzotto, nato e cresciuto a Pieve di Soligo il 10 ottobre 1921, l’ereditò dal padre, insegnante di disegno antifascista. “Già nella lontana infanzia, mi fu duro avvertire la situazione anomala della mia famiglia, in lotta con la precarietà. Si era reso difficilissimo il lavoro a mio padre per la sua opposizione al regime. Poteva mancare da un giorno all’altro il sostentamento”, raccontò in un’intervista anni fa. “Nel nostro paese pochi avevano votato contro il fascio nel plebiscito del 1929, e fra questi c’era mio padre, cosa che tutti sapevano. Ricordo che la maestra a scuola ci aveva presentato sulla lavagna la scheda elettorale col “sì” e tutti i bambini dovevano ricopiarla. Io invece, memore degli insegnamenti familiari, ho scritto “no”».

Fu dunque naturale, per lui, partecipare alla Resistenza, dove militò in Giustizia e libertà. Intanto, si era laureato in Lettere all’Università di Padova dove aveva avuto come maestri come Diego Valeri e Concetto Marchesi. Dopo una breve permanenza all’estero, in Svizzera e in Francia, nel 1947 rientrò in Italia e si dedicò all’insegnamento.

I primi a riconoscere le sue doti furono i grandi poeti che componevano la giuria del premio San Babila (Giuseppe Ungaretti, Eugenio Montale, Salvatore Quasimodo, Leonardo Sinisgalli, Vittorio Sereni) che gli attribuirono il primo premio per un gruppo di poesie, composte tra il 1940 e il 1948, che sarà poi pubblicato nel 1951 con il titolo Dietro il paesaggio.

Poeta molto prolifico, non abbandonò mai la professione di insegnante, alla quale affiancò quella di critico letterario: scrisse per L’Approdo letterario, Nuovi argomenti, Il Giorno, L’Avanti!, Il Corriere della sera. Fra i suoi più importanti volumi in versi va senz’altro ricordato il volume La beltà (1968), tuttora considerato la raccolta fondamentale della sua opera.

Sempre attento all’attualità, non solo politica, nel 1969 pubblicò Gli sguardi, i fatti e Senhal, scritto subito dopo lo sbarco sulla luna. Un incontro fondamentale fu quello, nel 1976, con Federico Fellini, con il quale collaborò per il Casanova. Nel 1970 scrisse poi alcuni dialoghi e stralci della sceneggiatura de La città delle donne.

Poeta sperimentale (“L’idea dello sperimentalismo l’ho sempre implicitamente accettata perché non ho mai creduto a una poesia “immobile”, pur avendo sempre davanti modelli classici, irrinunciabile luce ed enigma) Zanzotto non ha fatto parte di gruppi e correnti letterarie: “Io credevo alle amicizie, alle sintonie parziali, non ai gruppi. Il gruppo rappresentava per me la gestione di qualcosa di extraletterario, mentre io pensavo che ognuno dovesse seguire la sua strada e poi confrontarsi con gli altri”.

Tutta la sua poetica ha ruotato attorno all’uomo e ai suoi misteri: “L’uomo sta ribollendo nel proprio enigma, e la poesia non può dare che dei lampi di “consolazione”, nei quali appare ancora il miraggio dell’autofondazione e dell’autogiustificazione dell’essere. In essa c’è dunque un qualche valore, almeno provvisorio. Ma il quadro che abbiamo di fronte è quello di una catastrofe “ecologica” della mente”.

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