Com’è noto un pilastro della filosofia politica denominata “decrescita” è la bioeconomia, cioè considerare gli effetti e gli impatti dei processi industriali sugli ecosistemi.

L’architettura contemporanea e l’urbanistica come tutte le arti e le scienze applicate hanno subito l’influenza dell’ideologia neoliberista e il paradigma dominate: vendere, vendere, vendere figlio dei dogmi: crescita del PIL, dell’espansione monetaria e del petrolio.

Prima delle rivoluzioni industriali l’architettura poneva l’uomo e non la tecnica al centro della progettazione e nacquero le proporzioni armoniche e le prime città ideali.

Prima dello sviluppo delle discipline giuridiche e finanziarie – rendita urbana – la tecnica architettonica esprimeva arte e virtuosismi spaziali.

Prima che le SpA automobilistiche dettassero il dogma delle geometrie stradali, lo spazio urbano e le tipologie edilizie rispettavano sia la natura che l’armonia umana.

Prima della crescita industriale i cittadini potevano godersi la vita di campagna prevenendo il degrado dell’urbanesimo.

Tutti questi avverbi temporali – prima – potrebbero lasciar intendere che si vivesse meglio decenni o secoli fa, in un certo senso è così visto che non esisteva né la chimica di oggi e né l’impatto ambientale di oggi prodotto dai sistemi industriali e dall’eccessiva domanda rispetto all’offerta (crescita infinita). E’ accaduto che l’attuale pensiero dominate – l’avidità – figlio di un’“evoluzione” durata secoli ha condotto anche i progettisti su scelte errate, non socialmente utili.

Oggi, abbiamo gli strumenti per riconoscere questi errori e per progredire verso una reale crescita passando per una fase storica chiamata “decrescita felice”, sviluppando la resilienza necessaria e approdare ad una società della “prosperanza”.

Infatti, in termini pratici i centri storici rappresentano il più grande patrimonio edilizio da conservare adeguatamente, rispettare e recuperare mentre i piccoli centri urbani sono l’opportunità concreta di un ritorno al buon senso grazie all’uso di nuove tecnologie che fanno decrescere il PIL ma crescere la qualità della vita.

Tutte le aree urbane cresciute negli anni dal secondo dopo guerra in poi, possono essere oggetto di piani particolari ad hoc applicando le tecnologie della decrescita felice e il buon senso, già immaginato dagli utopisti dell’urbanistica.

Non c’è alcun dubbio che il pensiero di Ivan Illich (1926 – 2002) abbia influenzato positivamente generazioni di architetti e urbanisti contemporanei che sin dagli anni ’70 hanno iniziato a immaginare progetti sostenibili e “conviviali”. Prima di Illich, Ebenezer Horward (1850 – 1928) immaginò la Garden City secondo forme e densità congeniali all’uomo, anche se nel dettaglio, a una scala più piccola, il modello paradigmatico rimase Sforzinda di Antonio Averlino detto il Filerete (1400 – 1469). In Italia, spesso, progetti ragionevoli sono rimasti sulla carta poiché le lobbies e le discipline giuridiche (rendita) hanno piegato le migliore idee a servizio dell’avidità di pochi.

L’edilizia più degli altri ambiti può insegnare come valutare l’impatto ambientale delle scelte progettuali, l’edilizia è il settore dove la bioeconomia è applicabile immediatamente.

Il progettista e il direttore dei lavori possono valutare gli impatti tramite standard riconosciuti e condivisi e informare committenti e popolazioni circa le proprie scelte che implicano consumi energetici e – LCA – analisi del ciclo vita (dalla culla alla culla) degli edifici.

Fino a quando non vi è stata una presa di coscienza sul “picco del petrolio” la consuetudine politica e progettuale ha accettato che si realizzassero sprechi energetici facendo aumentare il PIL e peggiorare la qualità della vita. La “decrescita felice” propone l’autosufficienza energetica con fonti alternative e ribalta il paradigma cancellando gli sprechi, facendo calare il PIL ma, soprattutto, cancellando la dipendenza energetica dalle SpA monopoliste, grazie all’impiego di un mix tecnologico a piccola scala e l’impiego di tecniche e materiali costruttivi compatibili con l’ambiente. La “decrescita felice” consiglia di iniziare dai quartieri eliminando gli sprechi e introducendo, ove mancano, nuovi impianti e reti “smart grid” che razionalizzano l’uso dell’energia.

Il legislatore dopo molti anni di ritardo, nonostante la disattesa legge 10/91, ha comunque introdotto norme che si sono adeguate agli indirizzi tecnici più avanzati e ragionevoli in termini di efficienza energetica. Con l’entrata in vigore del D. Lgs. 192/05 e successive modificazioni – D. Lgs. 311/06 e D.P.R. 50/09 – i parametri e gli indici edilizi sono stati modificati, aggiornati a performance energetiche che condizionano la progettazione architettonica. Ad esempio, con una maggiore massa volumica dei materiali – involucri – si raggiungono idonei valori di trasmittanza riducendo i consumi energetici per la climatizzazione degli ambienti.

Bisogna rendersi conto che in quest’ottica non sono gli sprechi (consumi) a dettare le regole della politica, ma i comportamenti virtuosi che determinano una riduzione degli stessi, calo del PIL, e un aumento della sovranità popolare tramite le reti “smart grid”, poiché ogni edificio e ogni cittadino diventa produttore e consumatore di energia.

I cittadini, partendo dal proprio quartiere, possono realizzare cooperative Esco ad azionariato diffuso popolare per rivalutare l’intero patrimonio edilizio puntando all’Attestato di certificazione energetica di classe A e l’impiego di fonti alternative. In questo modo si cancellano i costi delle bollette energetiche e si producono profitti in maniera virtuosa grazie agli incentivi delle fonti rinnovabili.

La cooperativa Esco se trovasse difficoltà, imitando l’esperienza tedesca di Schonau, può mettere sul mercato l’offerta progettuale e i soci possono spostare i propri conti correnti sulla banca che finanzia l’idea. Le agenzie bancarie senza una riserva minima obbligatoria chiudono, e quindi i cittadini consapevoli circa il sistema del credito-prestito possono “stimolare” le agenzie che adottano idee più virtuose come l’Esco.

Fonte:  http://peppecarpentieri.wordpress.com/2011/10/19/decrescita-e-architettura/

Per quanto riguarda le opere d’architettura esistono, senza dubbio, diversi “manufatti” paradigmatici che giustificano l’accostamento “decrescita e architettura”. La scelta di determinati materiali e le dimensioni sono indicatori per una valutazione verso una “decrescita felice”. Ad esempio, i materiali di origine naturale sono da preferire rispetto all’impiego eccessivo dell’acciaio, notoriamente più impattante rispetto ai laterizi ed al legno. Abitazioni collettive sono preferibili rispetto alle villettopoli sorte nelle periferie.

Un forma urbana che adotti principi di “eco-densità” è da preferire rispetto alle espansioni speculative pensate dalle solite lobbies che non tengono conto dei bisogni reali e della volontà popolare.

Le recenti innovazione tecnologiche abbinate agli attuali strumenti di misura (diagnosi energetica) adempiono perfettamente alle proposte “decrescenti”. Progettisti e costruttori hanno l’opportunità di intervenire sul patrimonio edilizio esistente nel pieno rispetto dei principi di sostenibilità migliorando la qualità di vita degli abitanti. Già in questo decennio si stanno diffondendo interessanti sperimentazioni, poi divenute standard, che risolvono i problemi sia del comfort abitativo e sia realizzando, concretamente, un netto miglioramento delle condizioni di vita rispetto al passato, anche grazie a forme di “pianificazione partecipata”, dando ragione alla teoria secondo cui un maggiore “peso politico” degli abitanti aumenta la felicità e la qualità delle decisioni politiche.

Non è un caso che i migliori risultati ottenuti si trovino nei piccoli centri. E’ solo la prova che dove non ci sono i poteri forti (banchieri, manager degenerati) e lobbies speculative, i territori sono più sicuri e più sani ed esprimono la qualità dell’italianità.
 

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