[…] L’agricoltura è responsabile di oltre un terzo dei gas serra a livello mondiale, perché l’agricoltura richiede energia, fertilizzanti e terreni. Inoltre, ogni volta che il cibo marcisce nella discarica, il metano fuoriesce in atmosfera: è un gas serra  con effetto sul clima 25 volte più potente dell’anidride carbonica.

 Metà dei prodotti agricoli viene perduta nel percorso che va dalla terra al consumatore. Sono non commestibili? E’ forse perché privi di valore nutrizionale? No di certo. Sono non conformi allo standard commerciale, all’immagine estetica che i venditori pretendono. Così…

…così I pomodori devono avere una certa tonalità di rosso, sennò vengono respinti al mittente, e finiscono al macero; così i cetrioli, se sono ricurvi; e le patate devono essere piccole.
  Questi ed altri prodotti alimentari hanno in comune la stessa fine: la discarica, salvo in alcuni casi sporadici dove persone di buona volontà – una goccia nel mare – cercano di  salvare il salvabile destinandolo ad opere di solidarietà, o inventando altre forme di salvezza.
Dove vanno i  frutti o le verdure che hanno un piccolo difetto? Nella discarica. E quelli prossimi alla scadenza? Nella discarica. Non è forse vero – decidono i proprietari dei supermercati – che il consumatore vuole il prodotto perfetto, senza un segno, senza una foglia che sia appassita, non è forse vero che il latte che scade domani il consumatore generalmente lo scarta, preferendo quello che scade più in là? Noi ci adeguiamo, pensano i responsabili del supermercato. E allora: forse noi tutti abbiamo una buona parte di colpa? E’ vero ma… Questo è sufficiente a spiegare la sorte di milioni di tonnellate di cibo che finisce nella discarica? O che al banco del venditore non arriva nemmeno e finisce la sua vita prima? 900 milioni di tonnellate di cibo in un anno in Europa sono finite nella discarica.

Qualcuno in giro per il mondo si adopra in vari modi per intercettare  il percorso fatale del cibo e recuperarlo prima della distruzione. Di questo  ci parla Taste the warthe

Le immagini del documentario di Valentin Thurn, sono un pugno allo stomaco dal prima all’ultimo fotogramma. Allo sbigottimento che ti prende alla visione, scena dopo scena, si unisce un senso di vergogna, vorrei dire collettiva, e incalza un improvviso esame di coscienza:  anche io sono responsabile, assieme a milioni di altri di questo delitto di spreco? Anche io forse unisco la mia goccia al mare dello spreco, alimentato in così larga parte dai gesti di attori importanti e decisivi?

Ho avuto occasione di vedere il documentario all’Urban Center di Milano, nel contesto di un evento in occasione della settimana contro lo spreco alimentare e per il riciclo. In un’ora e mezza di proiezione ti passano davanti agli occhi immagini da diversi paesi del mondo, in cui avviene lo stesso delitto. La presentazione di quanto avviene in un certo paese – così in Europa, come in America, come in Asia…- si conclude  regolarmente con la visione della discarica nella quale vengono versate tonnellate di cibo. Non si tratta di cibo avariato.

Poi si approda, verso la fine del film, in Africa, dove si può dire “tutto cominci”; dove lo scenario è ancor più traumatico, forse: qui, gente che è stata espropriata della terra dalle multinazionali straniere dell’alimentare  conduce una esistenza vergognosamente al di sotto dei limiti della sopravvivenza.

Il documentario, un vero capolavoro, uno strumento di conoscenza indicibilmente efficace del problema dello spreco di cibo nel mondo, ha tratto ispirazione dall’impegno che, in Germania, una serie di operatori di buona volontà compie per contrastare, nel proprio àmbito, la completa distruzione del cibo.  Sono Hanna Podding, operatrice ecologica che dai rifiuti dei supermercati recupera alimenti consumabili; Thomas Pocher, direttore di un supermercato francese che consiglia ai clienti l’acquisto di cibi a impatto zero sull’ecosistema;  e, con loro, conosciamo […]  antropologi, volontari, agricoltori, insegnanti, eco-attivisti, benefattori che mettono a disposizione le proprie esperienze improntate al buon senso e all’impegno quotidiano affinchè venga recuperato l’equilibrio climatico e sociale del nostro pianeta[…].

C i sono figure indimenticabili: come la dipendente di un supermercato , in Francia, addetta alla selezione della frutta e verdura secondo i criteri che le hanno detto di usare, che cerca di resistere a questo e viene licenziata. C’è il contadino nel campo di patate che coltiva da una vita, che dice di provare dolore perché è costretto a non consegnare una buona parte dei tuberi, perché sono “troppo grossi”: le patate devono essere piccole. Molto del raccolto andrà perduto, ma ecco c’è il pensionato – lo vediamo avvicinarsi nel campo con la sua cassetta vuota e poi lo vediamo allontanarsi con la cassetta piena  di quelle patate “troppo grosse” – cui il contadino consente con gioia di rifornirsi e – dice il beneficato – sono a posto per l’inverno.
Una serie di figure indimenticabili ci viene incontro dallo schermo e queste – se pur gocce nel mare – ci consentono di tirare un sospiro di momentaneo sollievo, dopo che abbiamo visto passarci davanti con tutta la potenza dell’immagine, tutta la follìa di un sistema della cui gravità forse avevamo sentore, ma non in questa misura.

Far conoscere, nelle scuole, nelle associazioni, ai cittadini tutti, in ogni modo la realtà che il film ci illustra deve divenire un impegno importante per noi.

Fonti e Sitografia:

Taste the waste – trailer
http://www.youtube.com/watch?v=e4Qn5WMxZyE

http://www.tastethewaste.com/info/film – Il gusto dei rifiuti “Assaggia i rifiuti”

http://www.effettoterra.org/documenti/ambiente/notizie/taste_the_waste_un_documentario_sulla_distruzione_globale_del_cibo.html

http://www.comune.milano.it/portale/wps/portal/CDM?WCM_GLOBAL_CONTEXT=/wps/wcm/connect/ContentLibrary/per+saperne/per+saperne/urban+center

http://d.repubblica.it/dmemory/2009/10/17/societa/societa/128ste667128.html – note bibliografiche del testo “Sprechi” di Tristan Stuart

Fonte: Perterra.org

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