La notizia è stata confermata dalla pubblicazione del verbale datato 17 Luglio 2012 e relativo alla riunione del Senato del Land della capitale tedesca svoltasi in quella data: Berlino si riprende l’acqua pubblica. Con un prezzo di acquisto che si aggira sui 645 milioni di Euro, la municipalità cittadina acquisisce il 50% della quota di servizio idrico, detenuto fin dalla fine degli Anni ‘90 dalla RWE Aqua GmbH e dal consorzio francese Veolia. L’obiettivo è naturalmente quello di rimunicipalizzare il servizio idrico e farne abbassare i prezzi, dopo 13 anni di privatizzazione. La Berliner Wasserbetriebe era infatti stata privatizzata nel 1999 con la cessione di quote, ciascuna del 25% circa, a Rwe e Veolia al costo di 3,3 miliardi di marchi (oggi circa 1,69 miliardi di euro): ebbene la coalizione che governa la città, già da tempo, sotto la spinta delle associazioni di autonomi e attivisti berlinesi, aveva dichiarato di voler puntare al totale ritorno della società sotto il controllo comunale.

Si ricorderà l’esito positivo che ebbe il Referendum di iniziativa pubblica del febbraio 2011 in cui i cittadini quasi all’unanimità – la vittoria dei SI poté contare sui 665.000 voti espressi dal 98% dei votanti – optarono per la rilevazione dei contratti della Città coi due colossi energetici che detenevano ciascuno il 24,95% delle quote per un totale di 49,9%. I berlinesi chiedevano in realtà con questa consultazione di ottenere la pubblicazione di tutti i contratti, sulla privatizzazione degli acquedotti, firmati nel 1999 con il gruppo francese Veolia e quello tedesco RWE; di seguito, già a novembre e pochi giorni dopo la vittoria del movimento referendario, la municipalità di Berlino aveva già reso noti tutti documenti relativi all’accordo ma per la Berliner Wassertisch questi presentavano ancora numerosi omissis e si temeva (e teme tutt’oggi) potesse avvenire qualcosa di analogo a quanto vissuto nel 2000 dagli sfortunati vicini di casa di Potsdam, vittime di una rimunicipalizzazione poco trasparente soprattutto per quanto concerneva la vendita e l’acquisto delle quote fra città e società private e di un incredibile rincaro dei prezzi.

I dubbi sulla trasparenza delle operazioni oggi in atto sono anche dovuti alla scarsa chiarezza con cui si sono raggiunti gli accordi col consorzio Veolia: entrati in gioco solo in un secondo momento, dapprincipio francesi non volevano vendere le proprie quote così come i colleghi tedeschi della RWE e avevano fatto causa tanto a quella quanto alla città di Berlino perché si ritenevano forzati, dai recenti accordi fra le altre due parti, ad una risoluzione del proprio contratto del ’99. Il giudice incaricato ha tuttavia respinto di recente il loro reclamo e quando è stato reso noto pubblicamente l’aumento effettivo dei costi in bolletta, calcolato nel periodo di tempo 2003-2010 (ben il 35% in più rispetto agli anni precedenti), anche la società transalpina, a metà del giugno scorso, ha annunciato di voler offrire le proprie azioni alla città-stato di Berlino. Ora la Berliner Wassertisch teme ci sia dietro ben altro, ovvero che il governo cittadino abbia dovuto sborsare delle cifre di ricompensazione elevatissime e non dichiarate e che a causa di queste il passaggio non porti i vantaggi auspicati ma solo un ulteriore rincaro dei costi di erogazione del servizio pubblico e la loro immediata ripercussione sulle tasche dei berlinesi.

Un’altra nota di demerito: la RWE avrebbe in programma di tagliare “almeno” altri 2mila posti di lavoro in Europa e di delocalizzare le linee produttive, il che porterebbe a 8mila i tagli già decisi. I dipendenti a rischio sarebbero, secondo fonti del sindacato Ver.di, tra 2mila e 5mila su un totale di 70mila in tutto il mondo.

Sarebbe auspicabile per il movimento berlinese che il Governo del Land e il Parlamento ricorressero contro i cosiddetti “contratti di corte” e quindi si potesse giungere ad una risoluzione del vecchio contratto; in caso contrario la capitale tedesca dovrebbe consegnare più di 1,3 miliardi di euro alle società private cui a tutti gli effetti subentra e allora dove sarebbe il vantaggio di questo passaggio, oltre alla vittoria culturale ed ideologica per cui è sacrosanto dire che “l’acqua è di tutti”?

Fonte: ilsostenibile.it

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