La conferenza per l’autoformazione del mese di maggio è stata tenuta da Giovanna Garrone, ricercatrice presso l’Università degli Studi di Torino, specializzata in Economia dell’Ambiente. Il tema in esame sono gli Indicatori di Sostenibilità Ambientale, alternativi al Pil.

Per chiarire le idee, che cos’è il Pil? La definizione originaria ci dice che corrisponde a  “quanto si può consumare in un periodo per essere alla fine ricchi quanto all’inizio”, che, in sostanza, corrisponde al valore dei beni e servizi finali  prodotti in un paese nel corso di un anno.  Quindi la domanda fondamentale che ci poniamo è la seguente: perchè il Pil è insufficiente per la misurazione del benessere collettivo?

Le risposte sono molteplici e variegate di sfumature a seconda del punto di vista che vogliono rappresentare, in questa sede si è tentato di dare sostanza ad alcune di esse.

Ad esempio, considerando l’ottica sociale, proprio perchè misurato in termini pro-capite, il Pil non dice nulla sull’aspetto distributivo della ricchezza e quindi della disuguaglianza che si genera in un paese. Mostra carenze anche da una prospettiva ambientale perché non tiene conto dell’ammortamento del “capitale naturale”, oltre a conteggiare con segno positivo le “spese difensive”. Si rileva inoltre come sia volto alla sola misurazione degli scambi che avvengono sul mercato senza contemplare il lavoro non pagato e l’autoproduzione (pietra miliare della decrescita!!!).

Per fronteggiare e tentare di porre rimedio a lacune e critiche avanzate per i motivi esposti sopra sono state avanzate e percorse diverse strade, elencate sinteticamente di seguito.

1. Tentativi di correzione del Pil

Un esempio è il “Genuine Savings” (o “Genuine Investment”) che estende la logica di ammortamento a tutte le forme di capitale. In sintesi si tratta di sottrarre al risparmio netto il deprezzamento del “capitale naturale” (es. danni ambientali, quali possono essere l’inquinamento dell’’aria, il disboscamento, ecc) sommando a ciò la crescita del “capitale umano”. L’idea di fondo è quella di attribuire una valutazione monetaria ai beni naturali. Ciò può avvenire in due modi: stimando i costi di sostituzione, ovvero valutare un determinato servizio che l’ambiente naturale fornisce con il costo che dovremmo sostenere se ne dovessimo fare a meno, oppure con la disponibilità a pagare per quel bene. Si tratta di un metodo antropocentrico in quanto i risultati dipendono dai metodi di valutazione del deprezzamento del capitale naturale, pertanto i paesi “sviluppati” potrebbero risultare sostenibili, mentre quelli dipendenti da risorse fossili no (ad esmpio l’Africa) .

2. Correzioni del Pil con elementi ad esso estranei

Un esempio è l’ISEW (Indice di Benessere Economico Sostenibile). In questo caso la logica sottesa non prevede la correzione del Pil, quanto invece una sua integrazione con elementi ad esso estranei. A partire dallo stesso, si sottrae il deprezzamento del capitale naturale e artificiale, si correggono le disuguaglianze distributive, si sottraggono le spese difensive e viene tenuto conto del lavoro domestico non pagato. Con questo metodo si cercano di mettere delle “pezze correttive” laddove il Pil mostra delle carenze. Effetivamente, confrontando i due indici nel  nel tempo si nota come fino alla fine degli anni ‘60 tendano a coincidere, mentre a partire dalla metà degli anni ‘70 si registra un aumento tendenziale del Pil e una corrispettiva discesa dell’ISEW. 

Un altro esempio è dato dal GPI (“Genuine Progress Indicator”) che tiene conto anche del volontariato o tempo libero delle persone, della durata (servizi) delle infrastrutture, delle emissioni inquinanti, delle perdite di aree umide e di terreno agricolo.

3. Indici Compositi di Sviluppo

Questa modalità di analisi si prefigge l’obiettivo di costruire degli indicatori che rilevino il benessere delle popolazioni in esame. Un esempio ci è dato dal HDI (“Indice di sviluppo umano”) che è coerente con l’approccio  delle “capabilities” di A.Sen . Si tratta di un indicatore basato sulla media di tre indici:

a) reddito pro capite, calcolato in base ad un logaritmo che attribuisce molta più importanza ai valori bassi (e quindi alle condizioni di povertà),

b) salute, calcolando l’aspettativa di vita alla nascita,

c) istruzione, conteggiando gli anni di scolarizzazione.

Questo sistema permette di dare una chiave di lettura molto diversa dal Pil, anche perchè considera le estensioni nel tempo e le correzioni per tenere conto della povertà, della disuguaglianza e dell’equilibrio di genere.

Particolarmente interessanti sono i rapporti del 2007/08 “Fighting climate change: Human solidarity in a divided world” e  “Sustainability and Equity: A Better Future for All” del 2011.  Cliccando qui   si trova una tabella di confronto tra diversi indicatori .

Un altro indice, l’ HSDI (“Human Sustainable Development Index”) aggiunge alla media geometrica una 4° dimensione relativa alla sostenibilità, misurata in  emissioni CO2 pro-capite. Ulteriori approfondimenti in merito si trovano al seguente link  .

4.Indicatori Ambientali Compositi

L’ ”Environmental Sustainability Index” (ESI), pubblicato fra il 1999 e il 2005 dallo Yale University’s Center for Environmental Law and Policy, viene sostituito nel  2006 dall’ ”Environmental Performance Index” (EPI), più orientato a misurare i risultati dal punto di vista ambientale delle politiche messe in atto in circa 160 paesi.  Pubblicato nel 2006, 2008, 2010 è disponibile sul sito. Questo indice è focalizzato sulle politiche volte a ridurre gli agenti ambientali nocivi per la salute umana  e a  promuovere la vitalità degli ecosistemi oltre che una gestione attenta delle risorse naturali. Sono 25 indicatori raggruppati secondo 10 categorie di politiche:  Salute dell’Ambiente, Inquinamento dell’aria (effetto sugli esseri umani), Acqua (effetti sugli esseri umani), Inquinamento dell’aria (effetto sull’ambiente), Acqua (effetto sull’ecosistema), Biodiversità e Habitat, Attività Forestale, Attività della Pesca, Attività Agricola e Cambiamento Climatico.

Il neo di questo metodo è che potrebbe risultare distorto  a favore dei paesi più ricchi, in quanto sono questi che hanno maggiori capacità e capitali da dedicare alle politiche volte all’ambiente, piuttosto che un paese povero sfruttato per le sue risorse ambientali dove le leggi vengono redatte a favore dei detentori di capitali a discapito del depauperamento del territorio.

 5. Indicatori Ambientali Sintetici

In questo caso assistiamo ad un tentativo volto alla costruzione di un indicatore chiuso in un’unica unità metrica non monetaria. L’Impronta Ecologica quantifica l’area biologicamente produttiva necessaria per fornire continuativamente le risorse richieste e assorbire gli scarti. Per raggiungere tale obiettivo si osserva il consumo di risorse naturali incorporato nella domanda di beni e servizi di un dato sistema economico, indipendentemente da dove questi vengano prodotti (indicatore ‘consumption-based’, invece che ‘production-based). L’impronta ecologica può poi essere comparata con la capacità biologica disponibile in ciascun paese, entrambe espresse in ettari globali. Maggiori dettagli sono forniti su questo link  

Sostenibilità ambientale : le due dimensioni

Total HANNPP( land conversions plus harvest), (Production based)

 

Un tentativo di sintesi degli indicatori appena elencati è fornito dall’ “Happy Planet Index” (HPI) basato sull’impronta ecologica, aspettativa di vita e benessere vissuto, sul quale la docente ha lasciato aperta ad ognuno  la strada dell’approfondimento consultando il sito.

Per concludere vi giro una domanda decrescente che mi è sorta spontanea sentendo parlare di valutazione monetaria dei beni naturali e conteggio dei servizi offerti dall’ambiente. Come è possibile concepire un prezzo per la bellezza di un fiore, piuttosto che per l’emozione data da un tramonto? Come si può pesare la ricchezza intrinseca data dalla fertilità del suolo o il sorriso spontaneo ascoltando cinguettio di passerotti in festa? Possiamo davvero riuscire a comprare la luce creata dall’alba sull’oceano, le infinite sfumature che vediamo in goccia di rugiada o la meraviglia di fronte al miracolo di un seme che germoglia?  E’ lo stesso pensare, quanto sono disposto a pagare per l’amore di un figlio, una sorella,  un’ amica?

_Chiara Bertalotto_

One thought on “MDF Torino : Auto-formazione sugli indicatori di Sostenibilità Ambientale”

  1. Nessuno che parli di crescita di qualità che spaventa meno della DF (poi ti traducono in infelice)ma che dovrà pur capire cosa necessita consumare e come consumiamo (oppure cambiamo nome all’Italietta!).
    Io per necessita faccio lavoro domestico in casa mia e se non lo vedessi come integrazione al lavoro di insegnante di mia moglie, sarei morto depresso. Pertanto lavoro ma non retribuito, la moneta come potenziale microbo per ammalarsi e costi della sanità!!

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