Poter leggere “Minima Ruralia” di Massimo Angelini ed. Pentagora, oltre che ad essere un grande piacere, è un viaggio appassionante in diversi mondi sconosciuti alla maggioranza delle persone e soprattutto alle nuove generazioni.
Nessun mondo inventato, sia chiaro, quello che ci fa fare l’autore è una riscoperta delle infinite e preziosissime varietà agricole presenti – o purtroppo una volta presenti – sul nostro territorio; una riscoperta di antiche tradizioni contadine (come gli infiniti calendari lunari, che oggi sono ristretti a pochissimi esemplari e in ristrette tirature)che hanno regolato e scandito il tempo delle stagioni, lo stile di vita di intere generazioni, che hanno dato uno stile e coltivato un rapporto con la terra unico e imprescindibile.
Angelini è uno dei massimi esperti per quanto concerne il mondo agricolo. Un artigiano della terra che ne conosce i segreti pratici e le abitudini nascoste ai soli teorici del ritorno alla terra. La sua invece è un’esperienza maturata (è il caso di dirlo) sul campo o meglio nella terra.
In questo piccolo ma prezioso libro, raccoglie una serie di pensieri e di informazioni molto utili al lettore. Lo informano sul reale patrimonio di cui è custode e in qualche misura lo responsabilizzano nella cura e nella difesa di tal patrimonio alimentare e culturale.
Si, perché scorrendo queste pagine oltre alla meraviglia e allo stupore della tante cose che si danno per scontate, può iniziare ad insinuarsi una sana arrabbiatura, per il modo in cui – ad esempio – sono stati trattati e bistrattati i contadini ben prima della rivoluzione industriale fino ai giorni nostri. Come tale sapienza dei veri custodi del territorio, sia stata umiliata e declassata  – agli occhi della restante società civile – a mero stato “barbaro” ed inferiore rispetto al mito del progresso di turno.
Interessanti a tal proposito sono i testi e i brani  – che l’autore raccoglie –  che mostrano come fin dal XIII secolo fino agli anni del crollo delle grosse ideologie dei nostri giorni, sviliscono ed umiliano la figura dei contadini. Tuttavia Angelini vede proprio nel crollo di tali ideologie, non ultima quella del consumo per il consumo di questi nostri ultimi tempi, la possibilità già in atto di un recupero e una vera rivalutazione del ruolo dei contadini o di chiunque decida di ritornare seriamente alla terra.
La ricchezza di queste pagine -oltre al carattere storico ricco di particolari che spingono il lettore a riflettere su certi luoghi comuni e a rivedere certe posizioni superficiali – sta nel centrare il fulcro di tutta la questione: la tutela dei semi. Molto belle sono queste parole che introducono il capitolo Terra e Autonomia: “ Impara a farti i semi e a riprodurre il tuo cibo: sarai più vicino alla terra e guadagnerai in libertà e consapevolezza” (p.72). Un tema estremamente attuale se pensiamo alla grande varietà di semi e piante che sono scomparse nell’arco degli ultimi decenni a causa di un cattivo uso dell’agricoltura, dell’inquinamento e degli stili di vita degli uomini. E’ cultura che svanisce!
Inoltre se pensiamo alla seria minaccia dei famigerati OGM, possiamo ben capire quanto sia necessario ed urgente un presidio permanente del territorio nello stile che l’autore propone nelle sue pagine; dove – si badi bene – non troviamo parole di un sapore nostalgico ma soprattutto proposte concrete per governi nazionali e locali, che vanno nella direzione della difesa, della tutela, della rivalutazione della terra e dei suoi coltivatori. A tal proposito infatti sono chiarissime le parole dell’autore: “Ascolta: un paese vive se c’è chi ci vive. La montagna che si popola in estate e che nell’inverno diventa ospizio è un luogo triste. […]vorrei incoraggiare a non rimpiangerlo, il passato, a pensare che tutto è presente, è compresente insieme in questo momento, ed è presente chi è vissuto prima di noi. […]  Questa non è retorica, ma arte della cautela, senza la quale si rischia di mettere il passato su un altarino e di diventarne i chierichetti”. (pp.122-123).
Le pagine di questo libro trasudano di amore per la terra, perché chi le ha scritte ha ben capito – perché sperimentato nella propria vita – che non c’è vita e non c’è futuro senza una Terra sana e ricca di biodiversità. Massimo Angelini vuole trasmetterci tutta questa passione, come un manifesto o meglio come un grido profetico in un tempo dove tutto sembra crollare. Sue queste belle parole: “Tornare alla terra abbandonata, chiudendo le città in riserve è un grande progetto, ma custodire un orto tra le raffinerie è un miracolo, una visione profetica”. Era il 1986. Leggere questo libro è un atto profetico. Metterlo in pratica è una rivoluzione dal basso.Abbiamo bisogno di visioni e gesti profetici. Ora.
Alessandro Lauro

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