Lo studio “Attributional life cycle assessment: is a land-use baseline necessary?” pubblicato su  The International Journal of Life Cycle Assessment da un team di ricercatori del  Finnish Environment Institute (Syke), parte dalla constatazione che negli ultimi anni gli impatti ambientali dell’utilizzo dei suoli sono stati ampiamente valutati, in particolare per quanto riguarda le emissioni di carbonio  derivanti dalla produzione di cibo e bioenergie. Le valutazioni di impatto ambientale vengono utilizzate nei processi decisionali pubblici, dall’industria e dai singoli individui, ma il team finlandese evidenzia che «Sorprendentemente, gli impatti ambientali dell’utilizzo del territorio sono stati sottovalutati nella maggior parte degli studi dell’ attributional life cycle assessment (ALCA)», la valutazione del ciclo di vita. Le attività umane, come la produzione di  cibo, mangimi, bioenergia e fibre, richiedono uso e consumo di suolo e in pratica tutte le azioni umane, compreso  l’utilizzo del territorio hanno un impatto sull’ambiente. Il Syke ha analizzato circa 700 studi sulla valutazione del ciclo di vita basandosi su criteri di selezione sistematici e li ha analizzati in termini di utilizzo del territorio e dello stato di riferimento, Lo stato di riferimento infatti è una scelta metodologica per analizzare il ciclo di vita che il più delle volte non era stata presa in considerazione dagli studi precedenti, oppure era stata scelta solo per descrivere l’uso del suolo in corso. Il principale autore dello studio Sampo Soimakallio, spiega: «In altre parole, si presumeva che i terreni agricoli  rimanessero terreni agricoli e quelli forestali rimanessero una foresta immutata. Tuttavia, gli ecosistemi terrestri sono dinamici  e quindi non funzionano in questo modo. Nessuno degli stati di riferimento di cui sopra  considera il fatto che l’uso del territorio a fini umani impedisce la rigenerazione naturale del terreno verso il suo stato naturale. Ad esempio, occupando terreni per l’agricoltura o le piantagioni da legno, impedisce la riforestazione naturale in molte aree, con una conseguente diminuzione del sequestro del carbonio. Fino ad ora la scelta dello stato territoriale di riferimento è stata considerata arbitraria, ma il nuovo studio conclude che questo non è vero: «L’impatto ambientale dell’utilizzo del suolo può essere coerentemente descritto soltanto se lo stato territoriale di riferimento è la rigenerazione naturale – dice Soimakallio –  La capacità di produzione di biomassa naturale del terreno dipende tra l’altro dalle condizioni climatiche e dalla  qualità del territorio. Al fine di valutare l’uso di vari tipi di terreno in modo appropriato, gli impatti ambientali dell’utilizzo del suolo deve essere valutato in modo coerente. In questo modo l’impatto ambientale delle vari usi dei terreni possono essere confrontati tra di loro. Per esempio, una foresta gestita è più vicino allo stato naturale dei terreni agricoli realizzati con l’abbattimento della foresta. Nonostante questo, il concetto del cosiddetto carbon debtè tipicamente generato solo quando si parla di utilizzo della biomassa forestale, non della biomassa agricola». Per i ricercatori finlandesi ci sarebbe bisogno di un adeguamento della procedura di valutazione per progettare strategie coerenti  per l’uso del suolo e la produzione di energia.

Fonte: Greenreport.it

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