Il nostro primo convegno nasce a 2 mesi dalla conferenza di Parigi sul clima. I cambiamenti climatici rappresentano un’emergenza globale e locale. Dipendono dallo sfruttamento massivo delle fonti energetiche fossili e dalle deforestazioni. Mettono a rischio ecosistemi, specie vegetali e animali, intere popolazioni, prevalentemente povere del mondo.
L’ultimo rapporto SVIMEZ parla di disoccupazione, povertà, emigrazione dilagante, con un PIL più basso della Grecia. In questo contesto l’infelicità aumenta la domanda di consumo e crea dipendenza. Se la crescita dei consumi misura il benessere apparente dei popoli, l’esaurimento delle risorse li metterà in conflitto, in guerra gli uni con gli altri.
Se parliamo di Taranto, della gran fuga di cervelli e di giovani, di un alto tasso di ragazzi che non studiano e non lavorano, del più basso tasso di donne manager regionale, povera fin all’inverosimile pur contribuendo a tenere alto il PIL regionale e nazionale, la vediamo abbruttita anche dai conflitti che non riesce a superare: il conflitto lavoro-ambiente che causa scollamento, il conflitto dell’emergenza che causa stress e il conflitto di identità che non dà salute.
Hanno tagliato la prevenzione e ci ammaliamo prima, specialmente le donne. Nel 2004 l’aspettativa di vita senza malattia era di 71 anni. Nel 2013, dopo 10 anni, si è arrivati a 61, dieci anni in meno. Questo crollo non c’è in Francia e in Germania. Perché allora? Abbiamo cambiato dieta? Certo, mangiamo cibo della grande distribuzione, stante gli stipendi. Abbiamo respirato peggio? Certo, la punta dell’iceberg è la nostra città con l’attività industriale aggiunta alle discariche e agli inceneritori. Beviamo male? Sì, più alcool e più precocemente, associato spesso a droghe varie. Siamo più stressati? Anche, c’è più competizione, meno solidarietà. La vita si allunga sì, ma consumeremo farmaci per 20 anni: Tutto bene? No La spesa per i farmaci non è più sostenibile. Bisogna prevenire, ma è un obiettivo che interessa poco.
In un clima di neoliberismo sfrenato per cui non esiste la società ma gli individui, noi cittadini subiamo le angherie delle lobbies nel campo dell’alimentazione e degli alcoolici, dell’industria del tabacco e dell’energia basata ancora sui fossili.

Nello stesso tempo le campagne statali di educazione e di medicalizzazione si basano ancora sul presupposto che la causa ultima della malattia sia il singolo individuo. La pandemia di obesità, di diabete e di tumori (1.000 al giorno), ma anche le malattie neuro-degenerative e neuro-cognitive (Parkinson, Alzheimer, Autismo) non possono essere considerate un problema individuale, ma un grave problema sociale e ambientale. Una finalità del convegno è quella di prepararci al cambiamento. Dobbiamo far crescere il potere dei cittadini. Dobbiamo conoscere la realtà, averne consapevolezza per poterla modificare. C’è un mezzo molto promettente, vicino ad ognuno di noi, che si ripresenta tante volte al giorno: il cibo. Dobbiamo trasformarci da consumatori come vogliono che siamo, in persone libere, capaci di scegliere e condizionare.
Ha senso parlare di sostenibilità, di decrescita in questo contesto? Sì proprio qui, bisogna generare una nuova vitalità, un’inversione di tendenza. Siamo così compenetrati dalla dipendenza dalle energie fossili che non riusciamo a far decollare le energie alternative: chiude infatti un’industria di impianti fotovoltaici e si ridimensiona un’industria di energia eolica.
Siamo tutti vittime di una pressione fortissima che ci fa distogliere lo sguardo dai problemi e dalle devastazioni ambientali per farci mantenere questo stile di vita. Ma le previsioni catastrofiche non si possono guardare con distacco; non possiamo lasciare alle prossime generazioni soltanto macerie e deserto. Poche monolitiche corporation dominano l’economia mondiale. L’ambiente naturale, come quello sociale è pieno di ferite prodotte da comportamenti irresponsabili. Serve una rivoluzione copernicana, si deve passare dall’uomo economico, depositario della crescita illimitata, all’uomo ecologico, meglio dire alla donna, naturalista, depositaria della crescita qualitativa, del prendersi cura, dell’empatia, del ciclo della vita. Bisogna ritornare alla madre Terra. Questo sì che è un pensiero globalizzante.
Il lavoro industriale si ridurrà sempre più per l’automazione e la crisi della globalizzazione, ma anche per la fine del consumismo, dell’uso e getta. Nello stesso tempo ci saranno nuovi mestieri: i riparatori, e un nuovo umanesimo: un nuovo modo di gestire le città, la politica, di alimentarsi, di muoversi.

Ci sono molte città in Italia che fanno parte di circuiti virtuosi. C’è la rete delle città sane con capofila Venezia, la rete delle città resilienti. Noi ISDE lavoriamo nelle scuole per questo fine, ma per far diventare tutti i cittadini ecologisti come vuole il nostro slogan dobbiamo considerare che l’ILVA è solo la punta di un iceberg, poi c’è la raffineria, gli inceneritori, le discariche, le radiazioni elettromagnetiche, i pesticidi nel piatto, nei vestiti, sulla pelle, negli elementi: aria, acqua, terra, e tutti sottendono al cambiamento climatico con le sue terribili devastazioni. Ognuno di noi è responsabile del clima e se ne ho la consapevolezza posso fare tanto per questa città fortemente inquinata, per i suoi figli per il loro futuro, per questa Italia e per questo nostro unico Pianeta.
La decrescita è un nuovo umanesimo dirà il dott. Aillon e parlerà di utopie concrete, di ecologia profonda o integrale, mentre il professor Tamino ci spiegherà bene che non può esserci una crescita illimitata in un sistema finito. Al dott. Di Ciaula abbiamo assegnato il compito di fare la voce grossa sull’inceneritore AMIU che il comune vuole assolutamente riattivare e sulla raccolta differenziata ancora da paese terzomondista.

Dott. Gianfranco Orbetello

 

 

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