«Appello urgente al rispetto del diritto umano al clima nel quadro del rispetto della costituzione e del diritto europeo e in funzione degli impegni dell’accordo di Parigi sul clima, ai fini delle determinazioni sulla prosecuzione o meno del progetto denominato tap e sui conseguenti effetti climalteranti».

Il 24 ottobre 2018, per la prima volta in Italia, 18 associazioni e 1000 cittadini hanno formulato una diffida climatica nei confronti del governo italiano. L’oggetto della diffida è la realizzazione del gasdotto TAP.

Ma il documento va oltre, tracciando una linea di demarcazione profonda tra le politiche energetiche portate avanti finora e le esigenze sempre più impellenti dettate dagli accordi internazionali e dai sempre più drammatici cambiamenti climatici.

E’ da poco stato presentato il nuovo report Global Warming of 1.5°C  frutto del lavoro dall’Intergovernmental Panel on Climate Change IPCC, il Gruppo intergovernativo sul cambiamento climatico; il rapporto raccoglie evidenze scientifiche a livello mondiale e le conclusioni non lasciano margini di discussione: non c’è più tempo.

Occorre intraprendere immediatamente soluzioni rapide ed efficaci per limitare il surriscaldamento globale. Se i paesi della Terra non prenderanno provvedimenti per limitare i gas serra, il riscaldamento globale potrebbe superare la soglia di 1,5 gradi fra appena 12 anni, nel 2030. Un punto di non ritorno che causerà siccità, inondazioni, calore estremo e povertà per centinaia di milioni di persone sul pianeta. Con tutto ciò che ne consegue.

La situazione è talmente urgente che recentemente anche un’importante sentenza della Corte d’Appello dell’Aia ha stabilito che l’esecutivo dei Paesi Bassi dovrà tagliare le emissioni di almeno il 25% entro il 2020 (rispetto ai livelli del 1990). Oggi siamo al 13%. Una riduzione inferiore al 25% costituirebbe, secondo la Corte, una  violazione dei diritti dei cittadini olandesi tutelati dalla Convenzione europea dei diritti dell’uomo.

Si tratta di una decisione storica: non solo perché per la prima volta dei cittadini hanno portato il loro governo in tribunale per un climate-case, un procedimento incentrato sulle responsabilità politiche di un intero Stato nel campo della lotta al surriscaldamento globale, ma anche perché questa sentenza farà da apripista alle tantissime altre cause che sempre più cittadini stanno presentando in tutto il mondo. Italia compresa.

 

Tap, opera non strategica

Qui è la vicenda TAP a fare da snodo delle politiche climatiche del Governo. Per quanto descritta come fondamentale per l’approvvigionamento energetico nazionale ed europeo, quest’opera appare infatti tutto fuorché strategica. Diversi esperti, scienziati, politici e professori lo affermano da tempo.

Addirittura un esperto di questioni energetiche e ambientali che ha lavorato per la Presidenza del Consiglio dei Ministri nel Governo Gentiloni, il dottor Luca Bergamaschi, ha evidenzato sul quotidiano La Stampa tutte le criticità del gasdotto.Un dato che ha trovato riscontro anche nel Rapporto dell’IPCC.

Quattro sono le evidenze rilevanti emerse nel testo dell’ONU:- non c’è più tempo per nuove opere fossili climalteranti come nuovi gasdotti;
– il metano non è affatto una fonte di transizione, perché dannoso quanto il petrolio e persino di più;
– l’unica via di uscita per non arrivare al c.d. “punto di non ritorno” – ossia non riuscire più a controllare i cambiamenti climatici – è quello di avviare grandi investimenti e infrastrutture diverse da quelle fossili;
– abbiamo solo dodici anni per prendere queste decisioni coraggiose.

 

Allora perché continuare?

Quindi, perché continuare con TAP? È proprio quanto hanno chiesto migliaia di cittadini e numerosi realtà associative del Salento al Governo Conte, in nome anche del “Contratto di governo” che di “de-fossilizzazione” parla, ma non sembra esser preso sul serio.

Si tratta della prima azione climatica in Italia, ma non la prima in Europa e nel mondo, che – ove il Governo si mostrerà sordo ai diritti alla tutela climatica rivendicati dai cittadini – aprirà le porte a contenziosi sovranazionali e internazionali.

«E’ sulla questione della giustizia climatica – ossia sulla valutazione degli effetti intertemporali e interspaziali della decisioni pubbliche in tema di sostenibilità nel rapporto tra economia e clima – che oggi si misurano le intenzioni di chi è chiamato a governare. L’unico cambiamento possibile passa da qui. Il resto è solo fumo negli occhi. E CO2 nell’aria» dicono dai movimenti.

di Elena Tioli

QUI potete scaricare il testo integrale dell’istanza

 

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