di Marta Facchini e Roberta Covelli, tratto da Comune-info.net

«C’è qualcosa da recuperare?». Chiara lo chiede mentre passa tra i banchi di viale Papiniano, nel centro di Milano. È tardo pomeriggio, il mercato sta per finire e i commercianti stanno smontano dai posti di lavoro: puliscono i tavoli, chiudono gli ombrelloni, portano via le bilance. C’è chi già carica i materiali in macchina. «Avete venduto tutto o è rimasto qualcosa per noi?», continua Chiara. Mustafà, che ha 20 anni e da tre mesi vende frutta e verdura insieme a un amico, tira fuori due casse: dentro ci sono zucchine, pomodori e asparagi. «Ecco, prendile», dice. «Se sono troppo pesanti, ci penso io». Chiara alza le cassette da terra: «è meglio che andare in palestra», scherza. Poi, ad aiutarla arriva Giulia. Si distinguono da chi cammina accanto a loro perché sono vestite nello stesso modo: indossano una maglietta bianca a maniche corte. Sopra, una scritta e un logo: Recup. Portano le cassette in un punto della piazza, all’angolo con via Olona. Là, due signore raccolgono tutto, tengono quanto si può ancora mangiare e iniziano a distribuirlo. Riempiono i sacchetti di plastica, i carrellini della spesa di tela di chi sembra conoscerle e aspetta in fila. «Queste verdure sono buone anche bollite», fa una signora. «Le metti in una pentola con l’acqua e le lasci andare».

Il progetto

In piazzale Sant’Agostino succede così da cinque anni, ogni sabato pomeriggio. È l’idea dell’associazione Recup: andare al mercato, parlare con i venditori e recuperare quello che nessuno ha comprato durante la giornata e che altrimenti finirebbe nella spazzatura. Dopo si separa il cibo ancora buono dal resto, che si butta via. E chiunque ne abbia bisogno, o piacere, può prenderlo e portarlo a casa.

«Ci siamo resi conto che c’erano commercianti che all’ortomercato compravano grandi quantità di cibo per riuscire a ottenere prezzi convenienti ma finivano per sprecarlo. E magari nello stesso mercato si vedevano persone rovistare nei sacchi della spazzatura», racconta Virginia, biologa di 31 anni, una delle fondatrici di Recup e vice-presidentessa dell’associazione. Oggi sta lavorando anche lei, ha appena scaricato una cassetta di cipolle e rucola. «All’inizio non è stato facile, ma abbiamo conquistato la fiducia dei venditori. Adesso che ci conoscono, capita che siano direttamente loro a portarci l’invenduto. Siamo arrivati anche a recuperare 200 kg in una giornata». Negli anni il progetto è cresciuto: è partito da viale Papiniano e ora arriva a coprire dieci mercati in quasi tutta Milano. «Collaboriamo con il comune nelle politiche di lotta allo spreco e stiamo per aprire un nuovo progetto con l’Amsa», spiega Virginia. «Riusciamo a facilitare il lavoro dei camion della spazzatura. Raccogliamo tutto in un solo punto della piazza e per loro è più facile raccogliere».

A Recup si lavora come volontari e finora se ne contano una trentina: partecipano studenti delle scuole superiori, universitari, scout e anche pensionati. Ci si organizza in gruppi: ogni mercato è seguito da un nucleo di persone e ha un referente. E non è raro che chi abbia preso qualcosa sia poi tornato per aiutare. Come Claudio, che ha incontrato i ragazzi dell’associazione negli anni peggiori della crisi economica, quando aveva perso il lavoro da falegname e dormiva in macchina. Non riusciva a fare la spesa e con Recup prendeva qualcosa da mangiare. Ora che la situazione è cambiata, ha trovato una casa e un impiego, è tornato per dare una mano: «Non mi piace venire solo per prendere. Allora faccio un giro tra i banchi del mercato e prendo le cassette», spiega. «Oggi ho trovato le verdure che piacciono alla mia compagna. Le faccio una sorpresa: cucino io».

Maria, invece, sta dietro un bancone e pulisce gli asparagi. Un mazzetto lo tiene per sé ma passa il pomeriggio a riempire le buste di chi si avvicina. Il suo sembra un atto di cura. Fa parte di Recup dai primi tempi e ormai conosce quasi tutte le persone che si ritrova davanti: «non viene solo chi vive nella zona. Quella signora abita lontano, non vive qui. Eppure arriva puntuale perché questo ormai è diventato un appuntamento fisso», racconta.

Oltre i numeri, le relazioni

Al mercato di Lambrate, su un tavolo sono poggiati piccoli barattoli colorati. Contengono colori creati facendo bollire le verdure e frullandole: il verde dalle erbette e dagli spinaci, il rosso dalle bucce di cipolla e dalle barbabietole. «Abbiamo iniziato a organizzare laboratori nelle scuole. Insegniamo a lavorare con i materiali di scarto», racconta Federica, che ha frequentato l’Accademia delle Belle Arti ed è la creativa del gruppo. Ha conosciuto Recup quando aveva ventidue anni e ora si occupa di tenere i rapporti con gli istituti scolastici. «È un’esperienza che arricchisce perché non è assistenzialistica. Non è a senso unico: si basa sulla reciprocità dei rapporti», dice. Lo crede anche Chiara, che ha conosciuto l’associazione per caso e poi è tornata insieme al marito per entrarci come volontaria. «Si recuperano le relazioni e si finisce per conoscerci tutti perché si parla e ci si guarda negli occhi», racconta. «Non è solo una questione di cifre».

Cifre che, stando alle ultime indagini, sarebbero in miglioramento. Secondo i dati del progetto Reduce – coordinato dall’Università di Bologna, promosso dal ministero dell’Ambiente in collaborazione con la campagna Spreco Zero e presentato in occasione della quinta Giornata nazionale di prevenzione dello spreco alimentare – ogni anno la famiglia media butta 84,9 chilogrammi di cibo e, a livello nazionale, il conto sale a 2,2 milioni di tonnellate. Quasi un etto e mezzo al giorno, a testa. Eppure una diminuzione, visto che nel 2016 si stimava uno spreco di 145 kg a nucleo familiare e 63 kg a persona.

Il cerchio che si chiude

«Una delle prime volte che ho fatto il giro tra i banchi, mi hanno dato venti casse di peperoni. Era la piazza di Papiniano», racconta Rebecca. Recup nasce da una sua idea, arrivata quando aveva venticinque anni e dopo l’Erasmus a Lille. In Francia faceva la spesa al mercato e aveva visto come le associazioni lavoravano con i materiali di scarto. Rientrata a Milano, e dopo una laurea in Geografia, ha pensato di fare lo stesso in città. È così che ha incontrato Virginia e Federica. Alla base, un’idea condivisa da tutte: «Non siamo un ente di carità», spiega. «Si recupera nel rispetto del cibo e degli altri. Chi prende, non deve portare via più di quello che userebbe o ci sarebbero sprechi anche in quel caso».

Poi sono arrivate altre persone e il cerchio si è allargato. «Abbiamo pensato a nuovi progetti: le marmellate, la creazione dei colori, i laboratori a scuola», prosegue. «E abbiamo anche nuovi strumenti: prima si caricava tutto a mano e ora, grazie a un bando del comune, Recup ha ottenuto una cargobike per trasportare i pesi».

Tornare al mercato ha significato anche tornare al centro di una comunità.Perché in fila per comprare un mazzo di verdure si parla, ci si conosce. «Molti mi chiedono di andare anche nei supermercati o nei ristoranti. Ma sono i mercati rionali che permettono di riscoprire la cura per l’altro». Nel quartiere si ricostruisce il dialogo e il mercato diventa un punto di aggregazione e di apertura. Una piazza sociale. «Recup vuole ridurre al minimo gli sprechi, cercando di arrivare allo zero. E ridare al cibo un valore sociale e di incontro. È un cerchio che si chiude».

Articolo pubblicato grazie alla collaborazione con il Blog storie di Economia Circolare

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