Un modello di crescita sostenibile, green, è visto da molti come l’unica speranza per la risoluzione di una serie di problemi che affliggono la società moderna: la crisi economica, il riscaldamento globale, il degrado ambientali e sociale.

Tuttavia, nessuna crescita può essere definita perfettamente verde, e un numero crescente di studiosi a livello mondiale, di cui una grossa fetta confluisce nella nuova “post-normal science”: l’economia ecologica, sono convinti che altri paradigmi come la decrescita, lo stato stazionario, la nuova economia della prosperità, siano la risposta per un futuro vivibile e certo. Ricercatori come Tim Jackson, Joan Martínez-Alier, Peter Victor, affermano che il degrado su larga scala degli ecosistemi richiede una trasformazione fondamentale del nostro sistema economico che va assolutamente allontanato dalla continua crescita economica.

Spighiamo perché un modello di crescita economica non è sostenibile. Poniamo l’attenzione, su un aspetto fin ora trascurato dalla scienza tradizionale, la complessità del sistema economico-ecologico e le interazioni che sussistono fra i vari livelli del sistema stesso. Gli economisti ecologici, dividono l’economia in tre livelli: in alto vi è l’economia finanziaria (ormai sfuggita di mano), a seguire l’economia reale, quella che produce merci, fornisce servizi, e con l’ occupazione movimenta salari e infine, nel terzo livello è posta la “ la sala macchine “, il fondo dell’economia reale, un fitto groviglio  di   flussi di energia e di materia che dalla natura  sono  dirottati in entrata nei processi industriali, e poi ancora, altri flussi di emissioni inquinanti in uscita dai processi antropici  e diretti nell’ambiente, e  si continua con flussi di rifiuti che si  accumulano nei mari e sul suolo.  La sala macchine non è mai stata considerata nella contabilità nazionale, e non vi è alcun segno della sua presenza negli indicatori economici come il PIL.              Nel 1971, l’economista e statista rumeno, Nicholas GeorgescuRoegen con la sua teoria Bioeconomica, segnò l’inizio di una nuova visione: lo sviluppo di un diverso tipo di struttura economica per un mondo ecologicamente vincolato. L’economista  propose una contabilità completa che considerava le leggi della termodinamica, i limiti della natura e calcolava i flussi di materia ed energia che circolavano fra la biosfera e la tecnosfera. Molti studiosi negli anni a seguire, hanno continuato il suo lavoro, ricordiamo Herman Daly,  Giorgio Nebbia e gli attuali economisti ecologici. Nel frattempo, il mondo sceglieva una strada più blanda, la green economy che sostituiva la brown economy per virare verso uno  sviluppo sostenibile. Negli ultimi anni da parte della Comunità Europea c’è stato un passo  più deciso, in sintonia con le teorie di Nicholas GeorgescuRoegen, è stata proposta: l’Economia  Circolare. Questa strategia  porta  in superficie “la sala macchine”, il terzo livello nascosto. I  processi industriali lineari ora imitano i cicli della natura e  diventano “circolari”, i rifiuti e gli scarti scompaiono, e questo modello economico è in grado di rigenerarsi da solo, continuando a crescere  in modo sostenibile, perché mira alla  dematerializzazzione del sistema economico, o meglio al “disaccoppiamento “ del benessere derivante dalla crescita economica, dal depauperamento di capitale naturale.

La domanda che sorge spontanea è: ma questo disaccoppiamento assoluto è qualcosa di fattibile? Una  società  basata sulla crescita verde,  potrà con l’aiuto dell’economia circolare rispettare i  limiti di biocapacità dell’ecosistema? La transizione verso un’economia a basse emissioni di carbonio, ormai necessaria visti i livelli di anidride carbonica in atmosfera, potrà essere  possibile con  modelli di crescita circolari?  Se la risposta è sì, siamo a cavallo! E se non riusciamo a ottenere un  disaccoppiamento assoluto, nonostante le eco-innovazioni, il rifiuto che diventa risorsa, l’industria  4.0, abbiamo un piano B di riserva? L’alternativa alla crescita è la decrescita, e qui, la nostra società è posta di fronte ad un dilemma: se la crescita green è insostenibile,  la  decrescita è rischiosa, non sappiamo cosa può succedere al reddito, alla produzione, all’occupazione! Nell’ attuale sistema economico, il PIL deve crescere, altrimenti non è un buon segno. I  tassi di crescita  negativi sono generalmente associati a disoccupazione e quindi ad un impatto sociale negativo. La sfida di un’alternativa alla crescita,  deve dare risposte certe, ossia, l’applicazione di  politiche di decrescita deve produrre una transizione stabile ( vedi Jackson et al., 2015 ).

Negli ultimi anni è emersa la “macroeconomia ecologica” un filone di ricerca che applica  vari strumenti, come  ad esempio la dinamica dei sistemi, per sviluppare  modelli idonei ad analizzare le sfide della sostenibilità (vedi  Rezai et al., 2013; Røpke, 2013); questo strumento, grazie alla sua flessibilità, le simulazioni e l’analisi di scenario, è in grado di capire le dinamiche esistenti fra il sistema economico, ecologico e sociale, e  valutare  le loro interconnessioni e il loro feedback. In questi modelli, si crea quindi una dipendenza fra variabili macroeconomiche come il consumo, l’investimento, la spesa pubblica, la disoccupazione, e le variabili ecologiche quali: l’uso delle risorse, l’energia, le riserve, le emissioni e  l’integrità della biosfera. E’ possibile configurare le variabili macroeconomiche convenzionali in modo da ridurre l’imperativo di crescita, identificare percorsi ecologicamente e socialmente sostenibili,  analizzare dati economici e formulare  ipotesi su scenari futuri. In conclusione l’obiettivo di questi approcci non è la crescita del PIL e ne tanto meno la sua diminuzione, ma è  la riduzione e quindi la stabilizzazione dell’utilizzo di materiali e di energia entro i limiti ecologici ( vedi O’Neill, 2012, 2015a ), cioè, la valutazione delle giuste politiche per manovrare “la sala macchine” in sintonia con le leggi di Gaia. Con questi modelli è possibile capire se  applicando delle politiche di decrescita il sistema economico si sostiene o collassa, se riusciamo a contrastare il riscaldamento globale e allo tesso tempo evitare che il livello di  disoccupazione aumenti, se dobbiamo investire maggiormente sull’economia locale, sulle rinnovabili o sul risparmio energetico. Il Gruppo Tematico “Decrescita ed Economia”  del Movimento Italiano per la Decrescita Felice  ha elaborato con l’aiuto di esperti, un modello macroeconomico ecologico: il 2METE. Sarà presentato il 4 ottobre a Roma, in Campidoglio, nella sala Protomoteca da Simone  D’Alessandro  del Dipartimento di Scienze Economiche dell’Università di Pisa,  all’interno del convegno  organizzato da: Associazione Italiana degli Economisti dell’Energia (AIEE) e  Movimento per la Decrescita Felice (MDF).

Patty L’Abbate                                                                                                                                     Ecological Economist PhD

Fonte: greenecobiolca.com

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