Da un po’ di tempo noi, un gruppo di ragazzi di Campobasso, stiamo scrivendo degli “articoli” per descrivere la cosiddetta “società della decrescita”. Nell’articolo “Acqua pubblica in brocca”, pubblicato sul sito della rivista molisana “Il bene comune”, viene descritta la situazione idrica italiana.  La parte dell’articolo relativa alle acque minerali, “Acqua, il business delle “minerali”,  l’abbiamo pubblicata anche sul sito “Inviato Speciale” e subito ha ricevuto una critica/rettifica da parte del presidente di Mineraqua Ettore Fortuna (http://www.inviatospeciale.com/2011/03/business-in-bottiglia-la-replica-di-mineracqua/). 
Nella rettifica si evince l’intenzione di correggere delle “inesattezze”. Innanzitutto siamo felici della reazione di Mineracqua che, leggendola attentamente, testimonia lo stato di debolezza che incontra tale settore, soprattutto quando si tratta di dover asserire/riconoscere la sua utilità; poi possiamo rilevare che se queste sono le uniche cose contestateci, vuol dire che il resto del discorso da noi elaborato è totalmente vero e confermato anche da Mineracqua. Pur svolgendo questa attività in maniera volontaristica e talvolta con un pizzico di ingenuità, non abbiamo di certo stravolto la realtà, quindi concordiamo appieno sull’utilizzo delle virgolette da parte di Fortuna quando parla di “inesattezze”, perché tali non sono: se non si tratta di citazioni, come lo è il titolo di questo articolo, sono usate per prendere le distanze dalle parole che si stanno usando; pertanto chi scrive sa che in fin dei conti non sono nozioni inesatte. Forse, ad essere sinceri, l’errore più grande che abbiamo commesso è stato scrivere in maniera sbagliata il riferimento al sito di Altreconomia.
Ecco la nostra risposta ai punti corretti da Fortuna:
•    Ci viene fatto notare: <non è vero che in Italia il mercato delle acque minerali è “quasi totalmente controllato dalle multinazionali”. La maggioranza dei Gruppi citati nell’articolo quali San Benedetto, Rocchetta-Uliveto, Ferrarelle, fonti di Vinadio, Norda (Gaudianello è controllata dalla Norda), sono aziende italiane a capitale interamente italiano facente capo a famiglie di imprenditori italiani.>
Innanzitutto bisogna dire (ai cittadini) che nel nostro Paese, tra tutti i marchi di acque minerali in commercio, circa l’84% del mercato  è in mano a una dozzina di gruppi. I primi sono Nestlè Waters (marchio Sanpellegrino) e San Benedetto che sono classificabili come multinazionali e rappresentano il 40% del mercato. Il terzo è un nome che non dice niente, la Compagnia generale di distribuzione (Cogedi), ma è quello che controlla i marchi Rocchetta (il sesto marchio per volumi di vendita in Italia) e Uliveto (il nono). Le due aziende saranno pure italiane, ma fanno capo a una finanziaria olandese, la Chesnut Bv che, a sua volta, fa riferimento a una famiglia italiana, la De Simone Niquesa. [“Un paese contro Rocchetta”, Luca Martinelli]
In effetti la nostra affermazione non viene stravolta perché non ci siamo allontanati dalla realtà, anzi: potremmo dire, per essere più graditi, che il mercato delle acque minerali è in buona parte sotto il controllo di multinazionali.
•    Altro punto di critica è il nostro riferimento al Molise. È palese che tale accenno non vuole essere una raffigurazione della situazione nazionale, ma, in primo luogo, tale scelta è dovuta al fatto che siamo molisani. Altro aspetto che ci ha spinto a citare la nostra Regione è rappresentato dal fatto che i canoni di concessione sono ancora stabiliti da un Regio Decreto del 1927. Questa notizia possiamo leggerla anche su altri documenti, cioè le nostre fonti, e non ci sembra che vogliano utilizzare il Molise per descrivere la situazione italiana: “Alla crescita smisurata dei consumi non è corrisposta un proporzionale aumento dei canoni versati alle Regioni, in alcuni casi ancora stabiliti per un regio decreto, come in Molise, o da regolamenti di oltre 30 anni fa, come la legge regionale del 1977 della Liguria. [“Acque minerali: la privatizzazione delle sorgenti in Italia”, Dossier Legambiente Altreconomia 2011]
A noi questa sembra una notizia importante, ma forse non tutti la pensano così nel Regno d’Italia.
•    Punto successivo riguarda la: <“sottrazione” di quantità di acqua ai cittadini da parte delle imprese di acque minerali>. In effetti nel nostro articolo tale “sottrazione di acqua ai cittadini” era legata ad un altro importante concetto, cioè al fatto che ciò avvenga senza che le aziende paghino un adeguato corrispettivo. Nella critica rivoltaci viene posta tale domanda <quest’acqua se non venisse da noi imbottigliata in stabilimenti (con immobilizzazioni di centinaia di milioni di euro), si perderebbe nell’ambiente. Quale Comune potrebbe distribuirla nelle condutture, magari da altezze significative, fino alle case dei cittadini, quando la dispersione media degli acquedotti in Italia è del 35% e non hanno soldi per tappare i buchi?>
Bisogna innanzitutto ricordare che le acque in bottiglia non provengono tutte da “altezze significative”, ma dalla normale falda di pianura o da sorgenti collocate in zone fortemente antropizzate (come ad esempio nella Fonte di Scorzè (VE) dove opera il marchio S. Benedetto  e i metri sul livello del mare sono appena 16).
L’inefficienza degli acquedotti non deve essere una spinta per abbandonare l’acqua di rubinetto e  lucrare sull’acqua! Una piccola risposta per migliorare l’efficienza delle reti idriche ce l’abbiamo e ovviamente riguarda sempre l’adeguata determinazione dei canoni di concessione, i quali rimangono “irrisori nella quasi totalità dei casi”. [“Acque minerali: la privatizzazione delle sorgenti in Italia”, Dossier Legambiente Altreconomia 2011] Dato che siamo in tema di reti idriche ed efficienza siamo curiosi di sapere  come si pone Mineracqua in merito ai Referendum per l’Acqua Bene Comune.
•    E ancora ci viene fatto notare che <nell’articolo si eccepisce che non è possibile conoscere la quantità di Arsenico o di Piombo contenuta nelle acque minerali>.
Ma anche questa precisazione sembra inopportuna dato che nel nostro articolo viene sostenuto che le quantità di alcune sostanze, come Arsenico o Piombo, non possono essere rilevate sull’etichetta di una bottiglia di acqua. “Se guardiamo un’etichetta, noi non sappiamo quanto arsenico o piombo c’è nell’acqua. Negli anni c’è stata una vera e propria “fuga” di parametri dall’etichetta: oggi le aziende che imbottigliano omettono di indicare la concentrazione di alcuni componenti. [Luca Martinelli, “Imbrocchiamola”2010].
•    Circa il PET Mineracqua afferma: “unica plastica utilizzata per le bottiglie di acqua minerale, le quali dal 5/8/2010 possono essere fabbricate con una quantità fino al 50% di pet riciclato (notizia che a chi scrive l’articolo evidentemente non interessa), va detto che tutto ciò che è energia origina oggi dal petrolio: anche l’aspirina, il cui principio attivo è l’acido acetil-salicidico, nasce dal petrolio, che poi viene estratto.”
L’affermazione riguardante il petrolio crediamo sia un’eresia legata ad un modo obsoleto di vedere il mondo. Le Transition Town rappresentano uno dei tanti esempi dell’idea che una vita senza petrolio possa essere più godibile e soddisfacente di quella attuale.  Rob Hopkins, il fondatore del movimento, sostiene che la nostra società dipenda dal petrolio non solo in termini pratici, ma soprattutto psicologici, vi è una forma di dipendenza. “Ne consumiamo in misura enorme. Se li eliminiamo abbiamo la sensazione che la qualità della nostra vita debba diminuire significativamente. La letteratura sulle dipendenze ci permette di capire meglio che cosa voglia dire cambiare, quale sia il percorso compiuto da coloro che riescono a farlo. Non basta qualche film suggestivo. Nel modello di transizione abbiamo fatto nostri diversi degli strumenti indicati dagli studi sulle dipendenze. È un approccio che si è rivelato utile. Gli studi sulle dipendenze articolano il processo di cambiamento sostanzialmente in tre stadi: pre-contemplazione, nel quale non ci si rende neppure conto dell’esistenza del problema; contemplazione, in cui ci si propone di fare qualcosa possibilmente nel giro di sei mesi; preparazione, quando ci si decide ad agire entro un mese.> Questa dipendenza va combattuta con sofisticati strumenti di comunicazione. Soltanto così si può attuare una decolonizzazione dell’immaginario collettivo con il fine di creare una società conviviale.
Proseguendo ci teniamo ad affermare che a noi interessa la tutela dell’ambiente prima di tutto quindi, dove è possibile, preferiamo non inquinare in maniera assoluta. Il settore delle acque in bottiglia per noi (fortunatamente non siamo i soli che la pensano in questo modo)  è totalmente inutile e oltretutto produce più danni che benefici.
Nel dibattito attuale sulle risorse idriche e sulla loro gestione ci sono alcuni presupposti ormai condivisi che valgono per tutte le attività che riguardano le risorse idriche, nessuno escluso: 
– l’acqua è risorsa limitata, ed è sempre più scarsa in natura acqua di buona qualità,  per non parlare di quella eccellente, che oggi viene prelevata e imbottigliata; 
– l’acqua è un bene comune, un principio affermato chiaramente nella nostra legislazione, che rende l’acqua un bene della collettività nel suo complesso e come tale indisponibile ad un uso esclusivo a scopo di profitto, con l’eccezione però eclatante delle concessioni per le acque minerali; 
– chi inquina paga, un principio generale, assunto dalla legislazione comunitaria come riferimento-guida con il duplice obiettivo di rendere non vantaggiosi gli inquinamenti evitabili, e di recuperare risorse per le azioni di risanamento.
È su questi tre punti che le Regioni devono attivare un lavoro di revisione dei canoni di concessione per l’imbottigliamento dell’acqua, prendendo in considerazione innanzitutto l’altissimo valore della risorsa idrica, a maggior ragione quella di sorgente e di ottima qualità, e l’impatto ambientale causato dai consumi da primato delle acque in bottiglia in Italia che può riassumersi in questi dati:
– l’utilizzo di oltre 350mila tonnellate di PET, per  un consumo di circa 700mila tonnellate di petrolio e l’emissione di quasi 1 milione di tonnellate di CO2;
– il 78% delle bottiglie utilizzate sono in plastica, di cui solo un terzo viene riciclato mentre i restanti due terzi finiscono in discarica o in un inceneritore;
– solo il 15% delle bottiglie viaggia su ferro, mentre il resto si muove sul territorio nazionale su gomma, su grandi e inquinanti TIR.
L’adeguamento dei canoni porterebbe anche ad un forte incremento dei fondi incassati dalle Regioni, elemento ancora più rilevante in un momento di crisi come quello attuale. Al contrario oggi le Amministrazioni che incassano i canoni, nella gran parte dei casi non riescono nemmeno a raggiungere una quota sufficiente a coprire le spese necessarie per i controlli o per lo smaltimento delle bottiglie di plastica utilizzate [“Acque minerali: la privatizzazione delle sorgenti in Italia”, Dossier Legambiente Altreconomia 2011].
•    Ci viene ulteriormente contestato: “La spesa per famiglia per l’acqua minerale indicata nell’articolo tra i 320 ed i 720 € l’anno è letteralmente inventata”. Evidentemente non è stata compresa la spesa prospettata nel nostro articolo, per chiarire citiamo integralmente la nostra  fonte (capitolo “Care, losche e tristi acque in bottiglie di plastica” del libro “La decrescita Felice” di Maurizio Pallante): “Trecentosessantacinque litri corrispondono a poco più di 40 confezioni da 6 bottiglie di 1,5 litri (240 bottiglie). Ai prezzi attuali il costo va da 80 a 180 euro all’anno. (prezzi del 2004 ndr)
Per trasportare 15 tonnellate, che corrispondono a 10.000 bottiglie d’acqua da 1,5 litri, un camion consuma 1 litro di gasolio ogni 4 km (25 litri ogni 100 km). Ipotizzando una percorrenza media di 1.000 km, tra andata e ritorno (l’acqua altissima e purissima che va dall’Alto Adige alla Sicilia ne percorre molti di più), il consumo di gasolio ammonta a 250 litri, ovvero 250.000 cm3 che, divisi per 10.000 bottiglie corrispondono a 25 cm3 di gasolio per bottiglia. Moltiplicando 25 cm3 per 240 si deduce che il consumo giornaliero pro-capite di 1 litro di acqua in bottiglia comporta un consumo di 6 litri di gasolio all’anno. A questi 6 litri di gasolio vanno aggiunti:
– i consumi di petrolio per produrre le bottiglie di plastica (8 kg per 240 bottiglie);
– i consumi di gasolio dei camion che trasportano le bottiglie di plastica vuote dalla fabbrica che le produce all’azienda che imbottiglia l’acqua e dei camion della
nettezza urbana che le trasportano dai cassonetti agli impianti di smaltimento;
– i consumi di benzina degli acquirenti nei tragitti casa – supermercato – casa e casa – cassonetti – casa.
Sei litri di gasolio per ogni litro d’acqua minerale. Ipotizziamo, quindi, che il consumo annuo totale di combustibili fossili pro-capite di una persona che compri l’acqua in bottiglie di plastica sia di almeno di 8 litri di gasolio/benzina, oltre gli 8 kg di petrolio.
Una famiglia di quattro persone spende quindi ogni anno da 320 a 720 euro e fa bruciare almeno 32 litri di combustibili fossili per bere acqua in bottiglie di plastica invece dell’acqua potabile che sgorga dal rubinetto di casa.
Inoltre possiamo affermare che, secondo dati Istat pubblicati il 21 marzo 2011, la spesa media delle famiglie per il solo acquisto di acqua minerale è di circa 20 euro mensili, cioè 240 euro all’anno; ben oltre le quantificazioni citate da Mineracqua: <all’anno 64 € se acquista un’acqua di primo prezzo, 118 € per un’acqua di prezzo medio e 185 € annui per le acque premium>.

Gli ultimi dati testimoniano un calo delle vendite di acqua in bottiglia: questo ci fa capire che i cittadini stanno riacquistando fiducia nell’acqua di rubinetto, che era diminuita anche a causa delle numerose pubblicità ingannevoli (come quella per la quale è stata sanzionata Mineracqua).
Il successo dell’acqua in bottiglia è solo il frutto di una credenza “popolare” alimentata negli ultimi venti anni da una continua e massiccia pubblicità orchestrata dai produttori e dai distributori, nell’indifferenza o con il sostegno dei poteri pubblici, sia rispetto ai messaggi che rispetto alle norme che disciplinano le concessioni delle stesse sorgenti. [Dossier Acque Minerali, Comitato Italiano per il Contratto Mondiale sull’Acqua].
Il nostro modo di vedere questa come altre importanti tematiche della vita, è di parte; ovviamente dalla parte dell’ambiente, dell’acqua quale bene comune e della tutela della salute dei cittadini.  Gli obiettivi, che vanno ben oltre le ideologie e sono più concreti di quanto si possa immaginare, sono quelli di contrastare le numerose mistificazioni che hanno permesso, e permettono ancora, di alterare la realtà.  La risposta di Mineracqua al nostro articolo non smentisce nulla, ci sembra solamente un tentativo di difendere il settore e screditare la critica. 
In ultimo vogliamo consigliare la visione del film “Tapped” che descrive l’attività dell’industria di acqua in bottiglia e i relativi effetti su salute, cambiamenti climatici, inquinamento e  dipendenza dal petrolio. Una citazione del film è d’obbligo: “L’acqua in bottiglia è il più grande nemico dell’ambiente”.
 

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *