Lo confesso. Resto sempre molto affascinato dinnanzi al pane e ad ogni genere di pane. Lo ero quando da piccolo lo vedevo fare dal contadino sotto casa, in campagna. Quando venivano sfornate grandi e piccole pagnotte, calde, profumate, fragranti e il contadino ce ne dava due grosse pagnotte da consumare a casa. Avvolto in una panno da cucina, caldo lo portavo personalmente sulla tavola di casa, io ragazzo di 6 anni e mezzo, ed era grande festa per me perché il pane era buonissimo ed io lo avevo visto solo comprato dal salumiere oppure nei primi grandi supermercati. Era qualcosa quasi di strano o di impensabile vedere uscire una cosa così buona da un piccolo forno a legna, proprio nel podere sotto casa dove ero solido giocare a nascondino con i miei coetanei. Momenti di vita che restano impressi nella mente di un bambino e oggi a 26 anni di distanza conservano la stessa e lucida memoria.

Si deve restare per forza affascinati dal pane e oggi che ho imparato a farmelo in casa, in vari modi e che sto imparando anche ad autoprodurmi la pasta madre, apprezzo ancora di più la sapienza di questo alimento antichissimo e preziosissimo. “Dacci oggi il nostro pane quotidiano” dice il vangelo e una delle preghiere più famose della tradizione cristiana. Il pane necessario, è ciò che noi abbiamo seminato, fatto crescere, raccolto che è diventato farina, impastato e cotto. Quando noi diciamo pane diciamo tutto il nostro fare, il nostro lavorare, il nostro agire. Guai se pensassimo che il pane vuol dire solo la nostra pagnotta! Il rapporto col pane è il rapporto col nostro lavoro. L’arte di come si fa il pane, di come è fatto in tutte le culture del mondo non può non sedurci. Il pane ha una grande valenza simbolica in tutto il mondo e in tutte le culture. E’ il simbolo del rapporto nostro con il lavoro. Lavoro e cultura. Abbiamo bisogno di mangiare qualcosa che viene dalla terra ma che abbiamo fatto noi con la nostra cultura, trasformato da noi. Il pane che vien fatto in Etiopia, in Francia, a Napoli, in Piemonte o in Emilia. Tutti diversi tutti buonissimi. Quando si vede un pezzo di pane dovremmo fermarci tutti a contemplarlo. Forse è per questo che quando si era piccoli e si aveva un atteggiamento di spreco verso il pane, questo non era tollerato dagli adulti e vi era un severo e forte rimprovero. Il pane, rapporto tra lavoro e cultura. Modi diversi di farlo perché diverse sono le culture. Che cosa meravigliosa!

Altra caratteristica del pane è lo “spezzare il pane”. E’ sicuramente anche un’espressione tratta dalla tradizione cristiana, dai vangeli dove si insiste molto sul fatto che Gesù “prese e spezzo il pane”, cosa che anche egli imparò a fare dagli uomini. Molti vi leggono un fatto simbolico della sua morte. Piano, piano restiamo aderenti alla realtà senza svuotarla. Se si parla di pane spezzato un motivo ci sarà ed è talmente forte se questa espressione è ancora usata oggi nella nostra cultura che è cultura del panino! noi siamo la cultura del panino ma da sempre il pane viene spezzato, cioè condiviso messo in comunione tra gli uomini. Come non leggervi anche qui la legge del dono tanto caro alla decrescita? come non doverlo recuperare? e soprattutto come non leggervi una legge umana e di umanizzazione inscritta nell’agire dell’uomo e dell’umanità?

Sì, quando si mangia il pane si mangia lavoro e cultura e – di più – quando si fa il pane si mischiano elementi della natura e modalità di fare il pane, cioè cultura e allo stesso tempo non va dimenticato che quello che si produce non può restare solo presso di noi ma andrebbe condiviso, “spezzato”, dato a chi conosciamo o a chi ne ha bisogno. Si, fare il pane ci fa vivere, è una scuola di vera umanizzazione perché ci ricorda la nostra finitudine, ci fa riscoprire la capacità di saper fare e di dover fare. Ci fa riscoprire di essere bisognosi di cibo e la gioiosa scoperta di non voler restare soli. Senza pane è tutta la nostra vita che se ne va. E non solo quella biologica.

Fonte: www.ladecrescita.wordpress.com

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