Esplosione demografica e cambiamenti climatici non vanno d’accordo. Lo sanno bene le popolazioni di Asia e Pacifico, le due aree al mondo densamente popolate più colpite dal global warming. Lì, a causa dei disastri naturali legati al clima, solo negli ultimi due anni più di 42 milioni di persone sono state costrette a lasciare le proprie case. E la situazione è destinata a peggiorare. Lo rivela il rapporto Addressing climate change and migration in Asia and the Pacific della Asian development bank (Adb), che avverte: “I cambiamenti climatici aumenteranno la frequenza e la gravità di tali eventi, rendendo zone sempre più ampie inospitali e insicure per gli insediamenti umani”. Il cambiamento climatico ha implicazioni ambientali e umanitarie, dunque. Ma anche finanziarie: Adb rivela infatti che, per arginare i problemi delle zone colpite, saranno necessari investimenti per 40 miliardi di dollari all’anno. Secondo la banca, di conseguenza, la minaccia climatica potrebbe diventare una grande opportunità.

“L’evoluzione del clima non è solamente responsabile dell’innalzamento del livello dei mari e di periodi di siccità nefaste per le colture: spinge anche un numero crescente di persone a lasciare le loro case per altri orizzonti”. A preannunciarlo era stato lo scorso autunno il Dipartimento di Stato americano. Che, nel suo documento Climate migration – Gains the world’s attention, mostrava come tutto il mondo si era iniziato ad accorgere di un fenomeno in realtà già noto da tempo: le migrazioni climatiche.

Oggi anche ai più “eco-scettici” risulta difficile ignorare che decine di milioni di persone, ogni anno, vedono spazzata via la propria casa, o rischiano di vedere il proprio Paese inghiottito dall’oceano. Ma la situazione, ormai a un passo dall’essere fuori controllo, ha in particolare conseguenze enormi sugli abitanti delle aree asiatiche più densamente popolate e degli Stati-Isola del Pacifico, dove sempre più vittime del clima vedono nell’emigrazione l’unica possibilità di futuro.

Il pericolo più incombente, secondo lo studio di Adb, rimane quello delle inondazioni, sia nelle zone costiere che fluviali. Ma alluvioni come quelle che hanno recentemente flagellato la Thailandia, mettendo in ginocchio anche l’industria globale dell’high-tech, o che minacciano Paesi come India, Bangladesh, Afghanistan o Birmania potrebbero essere tenute sotto controllo, per la Banca per lo Sviluppo asiatico, con misure e soprattutto con infrastrutture adeguate.

Per Bindu Lohani, vice presidente di Adb per lo sviluppo sostenibile, servono ad esempio politiche ed interventi urbanistici che possano aiutare queste masse di migranti ad integrarsi facilmente nei luoghi di accoglienza. “I governi non dovrebbero aspettare ad agire – puntualizza Lohani – Muovendosi ora, possono ridurre la vulnerabilità, rafforzare la resilienza e sfruttare le migrazioni come uno strumento di adattamento, piuttosto che lasciarle diventare un atto di disperazione”.

Ma ciò che preme maggiormente Adb, istituita negli anni ’60 per promuovere lo sviluppo di quelle regioni con finanziamenti e consulenza tecnica (e costituita a suo tempo sul modello della Banca mondiale su iniziativa di Stati Uniti, Giappone ed alcuni Paesi europei), è fare capire ai governi a cui è indirizzato il suo studio che le minacce del global warming possono trasformarsi in opportunità. Come? Investendo da qui al 2050 le centinaia di miliardi di dollari necessari per costruire nelle nazioni interessate infrastrutture capaci di rendere meno traumatici gli effetti di tifoni, uragani ed alluvioni. “Servono investimenti per creare resilienza”, fa notare in questo video il dirigente Adb Bart Edes.

 

Fonte: ilfattoquotidiano.it

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