La storia della modernità occidentale è tutta percorsa da idee e valori assolutizzati, da presunti “motori della Storia”, da concetti che vengono messi al centro di sistemi ideologici (che non sempre si dichiarano tali) ed ai quali viene attribuito a turno il ruolo decisivo sia nell’origine che nella soluzione di ogni problema. Così è stato, solo per fare degli esempi tra i molti possibili, per la Ragione, per la Lotta di Classe, per la Tecnologia, per la Democrazia, per la Libertà, per il Mercato, per la Competitività….   Regolarmente, nel giro di uno o più decenni (ed il turn-over è in accelerazione, come per tutto) ciò che fino a ieri era idolatrato, diviene oggi la zavorra, l’errore, l’elemento di arretratezza e di oppressione da combattere, abbandonare, lasciarsi dietro… nella corsa a superare (dimenticare, rimuovere) sé stessi quelli che siamo, verso il di più e di meglio, che è in essenza la Modernità. Una visione così superficiale della realtà da (non a caso) non accorgersi della contraddizione che la caratterizza da sempre: tra l’essere tutta protesa teoricamente verso la Libertà degli individui e la loro concreta coazione a ripetere nel vivere la quotidianità secondo meccanismi automatici che gli sono estranei e che in gran parte li dominano mentre si affidano fiduciosi di un cambiamento all’incessante alternarsi di esagerazioni, ora in un senso ora nel suo opposto, delle mode culturali.

Quegli individui siamo noi ed oggi che gli déi sono morti e le ideologie sono passate di moda – o meglio si ripropongono sotto mentite spoglie, vestendo i panni, secondo i casi, del pragmatismo, del relativismo, dell’antiideologismo/pensiero debole – emergono tendenze ad affidarsi ora alla legalità/diritto, ora al dialogo, ora all’accoglienza del diverso (ecc…), come concetti/valori chiave che ci condurranno (come sempre) verso il Progresso… fino (a volte) all’esaltazione del diverso in quanto tale, forse dovuta al fatto che, affermare il valore centrale dell’apertura ad esso, ci giustifica nel nostro non prenderci la responsabilità di scelte e posizioni chiare e nette e comportamenti conseguenti (sebbene la relatività intrinseca della nostra condizione di individui non verrebbe pregiudicata da tali scelte, né, con essa, lo spazio per gli altri che scelgono di fare diversamente).

Forse, invece, se davvero non vogliamo ripetere errori del passato, se realmente volessimo evitare di continuare a girare in tondo intorno a visioni univoche, con tutte le conseguenze anche tragiche che abbiamo conosciuto e con la perenne necessità, poi, di smentirle, demolirle, liberarsene usando altre altrettanto unilaterali visioni, dovremmo metterci sul serio in una prospettiva diversa.

A me sembra che dovremmo partire dal riconoscimento che il mondo non si regge sul Giusto e lo Sbagliato, sul Bene ed il Male e su tutte le altre coppie di opposti che a queste vogliamo con maggior raffinatezza intellettuale sostituire: questa è un’idea superficiale e tutta occidentale. L’Universo e tutte le cose e gli esseri che lo popolano si regge sul principio della Misura, su un principio di equilibri dinamici sempre mutevoli tra componenti diverse (interdipendenti, ma non intercambiabili) tutte parti dell’insieme e tutte, secondo i casi, buone ed utili o cattive e dannose, in cui la positività o la negatività di ognuna di esse dipende, di volta in volta, dalla misura in cui questa è presente ed incidente sulla situazione specifica rispetto alle altre. E questa misura armonica o disarmonica varia sempre, di situazione in situazione, di contesto in contesto. Questo non vale solo per gli elementi chimici o per le forze della Fisica: vale anche per quelli che noi chiamiamo i “valori” o i “principi” e le prospettive ideologiche che da essi discendono. A nessuno di essi possiamo affidarci tout-court, per quanto ciò possa piacere alle anime belle ed a coloro che amano trovare soluzioni complessive in astratto. Possono esserci criteri di giudizio, principi fondanti che ne sono alla base che valgono molto o comunque più spesso di altri e viceversa altri la cui positività appare raramente o solo in casi estremi, ma non c’è nulla che può esser preso a ideale sempre e comunque, né viceversa che possa essere a priori demonizzato. La complessità delle situazioni e il ruolo che vi svolgono le varie componenti può essere valutato solo caso per caso, solo in fieri e non in abstracto.

Se ciò può anche suonare come una banalità o almeno come qualcosa che appartiene al senso comune, non si dovrebbe mancare, però, di considerare lo spostamento di prospettiva che questo comporta. Se vediamo e valutiamo le cose in un tale modo, il baricentro della nostra attenzione e della nostra ricerca non è più l’idea politica o l’analisi sociologica più giusta, ma è la nostra capacità di avere ed esercitare il “senso della misura” di situazione in situazione. Ciò non attiene più – come nella cultura pseudoscientista che ci domina – all’astrazione generalizzante da applicare in seguito alla realtà concreta, ma all’individuo ed alla sua consapevolezza, al suo effettivo interessamento ed alla sua cura per il mondo in cui vive, per la propria ed altrui vita, per il momento presente; attiene direttamente a noi stessi. La via che indica perciò non è più quella degli “esperti”, degli studi e delle analisi teoricamente ben concepite, dei programmi a cui uniformare le cose, ma quella della coltivazione delle persone, della nostra interiorità, di una nostra non astratta e possibile saggezza.

Per questo la crisi attuale, che è una crisi di senso e solo di conseguenza una crisi ecologica, economica e sociale, e che consiste essenzialmente nell’essere andati fuori-misura praticamente in ogni aspetto dei sistemi umani, non può essere affrontata su un piano méramente economico-strutturale, ma col coraggio e la profondità di affrontarne l’origine su piani che sono tradizionalmente appartenuti alla religione. Intendo con ciò in primo luogo il senso profondo del “sacro”, ovvero la cosa che più che mai è stata messa nell’angolo dalla Modernità Occidentale. Ed infatti questa crisi è manifestamente l’epilogo proprio di quest’ultima e soprattutto utili sono, in questo contesto, le religioni non occidentali, non monoteiste, non assolutiste, non manichee: quelle che mettono al centro la crescita dell’individuo, crescita interiore e nella sua relazione col mondo, prima fra tutte il Buddhismo.

Per questo, anche, il senso della Misura ha tanto a che fare con la Decrescita, che infatti – per chi la capisce – non è unilateralmente de-crescita, ma è proprio trovare la misura e la modalità equilibrata e sostenibile nelle diverse attività umane. Per lo stesso motivo la Decrescita non può (restando fedele a sé stessa) schierarsi come “di destra” o “di sinistra”, perché dipende e, soprattutto, perché queste definizioni restano (e non possono che restare) legate a concezioni aprioristiche, astratte ed astrattiste che vorremmo vedere finalmente aver fatto il proprio tempo.

Fondarsi sul senso della Misura significa non perseguire il “giusto” ed il “sempre meglio”, ma sforzarsi di guardare e capire le cose come sono, come funzionano, e prendersi la responsabilità di scegliere, di schierarsi nei fatti per ciò che aiuta verso un equilibrio complessivo, verso un ben-essere il più generale possibile. Perché, se in quest’ottica, c’è, virtualmente e complessivamente, spazio per tutto, non ce n’è ogni volta per ogni cosa: è qualcosa di ben diverso da un’ottica buonista o relativista per cui tutto e il contrario di tutto sono ugualmente degni di accettazione e rispetto.

Per ogni situazione, in ogni dato problema, c’è una misura, una modalità, un approccio ecosistemicamente appropriato, che potrebbe esser anche un po’ diverso la prossima volta, ma non ce ne sono mille equivalenti: sta ad ognuno di noi, ognuno nel proprio ruolo, ognuno nelle circostanze, grandi o piccole che gli si presentano nella sua vita, coltivare la saggezza necessaria per trovarla e praticarla.

E’ questa attenzione sveglia, questa attenzione coinvolta per il mondo in cui viviamo e di cui siamo solo parte, una buona base, senza forma e senza nome precostituiti, nuova e diversa da quelle a cui ci siamo affidati finora, per ri-costruirci una visione viva del mondo che non si ponga più come idea forte a farci da scudo per contrapporci ad altre idee forti, ma che renda forti ed intelligenti noi stessi, senza bisogno di stampelle ideologiche.

Sergio Cabras

www.ecofondamentalista.it

 

One thought on “Il senso della misura”

  1. Caro Sergio ci hanno educato col sigillo di peccatori ed il risultato é questo , mentre
    il codice “bushido” del Samurai : La NECESSITÀ del rispetto dei valori di onestà, lealtà, giustizia, compassione, dovere, coraggio, sincerità, eroismo, onore, vissuti con gentilezza e cortesia fino alla morte
    (Il venir meno a questi princìpi causa il disonore del guerriero, che espia la propria colpa commettendo il seppuku, il suicidio rituale). si é dissolto come neve al Sole
    Ti ammiro e ti voglio bene

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