Oggi, vorrei cercare di spiegarvi cosa la decrescita rappresenta per me. Si, per me. La decrescita non è, infatti, come il comunismo, la scienza o la psicanalisi. Non è scritta in maniera indelebile su un libretto rosso. E’ un pensiero giovane, come dice spesso Maurizio Pallante: “una tela su cui noi pensatori della decrescita abbiamo finora dato soltanto qualche pennellata e che ora va riempita con l’aiuto di tutti voi”. Non è uguale per tutti. E’ un pensiero relativo: si può dire cosa è più decrescente, ma non cosa dovrebbe o non dovrebbe fare ogni persona “decrescente”. Esiste certo una teoria “generale”, ma questa non prescrive categoricamente cosa si debba fare nel particolare!

Il rovesciamento del meccanismo della crescita a livello individuale ottiene, infatti, in ognuno di noi degli effetti diversi: “meno e meglio” è diverso per ognuno di noi e varia nei diversi momenti della nostra vita. Ciò che per me può essere “meno e meglio” per un altro può essere solo meno e, magari, un meno inaccettabile. Alcune cose che in passato erano per me soltanto meno, ora, essendo io stesso cambiato, sono diventate “meno e meglio”. Per me è sicuramente “meno e meglio” andare in bicicletta al lavoro, comprarsi pochi vestiti, autoprodursi lo yogurt, il pane e il formaggio e lavorare il minimo indispensabile. Mangio, però, la carne (anche se raramente) e ogni tanto faccio qualche viaggio (per lavoro e non). La mia ragazza è vegetariana, ma compra qualche vestito in più di me. I miei vicini, ad Aosta, vivono in campagna e fanno l’orto, ma vanno a lavorare tutti i giorni in città con l’auto. Siamo tutti incoerenti? No. Siamo diversi ed ognuno rema verso l’orizzonte nella sua peculiare maniera.

La decrescita parte da un “input” teorico. Questo, però, si fa subito vivo e rappresenta in primo luogo un cambiamento di se stessi, della propria maniera di essere al mondo e di vedere il mondo, un cambiamento che poi diventa del mondo esterno, che non può che ripercuotersi sul mondo esterno. Questo cambiamento nasce quindi ad un livello individuale, soggettivo, e, in quanto ciò, credo che la decrescita sia in sostanza una questione di libertà. In questo assomiglia molto all’analisi personale.[1] L’analisi personale (come in parte anche alcune psicoterapie) può essere descritta come un profondo percorso conoscitivo di se stessi, volto all’ampliare la libertà che si ha nei confronti della vita (quindi nei confronti di noi stessi, degli altri e del mondo). Spesso quando ci troviamo di fronte ad un problema o ad un conflitto vediamo solo una via di uscita e, per cavarcela, utilizziamo sempre le stesse modalità, gli stessi “meccanismi di difesa” (per esempio diventare aggressivi, deprimerci, attaccarci agli altri, etc.). L’analisi porta alla luce queste nostre strategie, ce ne fa diventare consapevoli. Ci fa inoltre scoprire che vi sono anche delle altre vie di uscita che prima non vedevamo o non volevamo vedere, ma soprattutto che esistono delle maniere diverse per affrontare queste difficoltà. Una volta pienamente consapevoli delle strade che fatichiamo a intravedere, di ciò che siamo, della nostra maniera di rapportarci con gli altri e con il mondo, starà sempre e solo a noi scegliere. Potremo tentare di prendere alcune strade inesplorate oppure seguire sempre le stesse, ma lo faremo con maggiore cognizione, con più libertà, e ciò ci porterà a vivere sempre più serenamente.

Similmente funziona per la decrescita. Illustrare, spiegare la decrescita non significa, a mio avviso, spiegare alle persone cosa è giusto e cosa debbano o non debbano fare e perché, ma cercare di aiutarle ad ampliare la propria libertà nei confronti del mondo che si trovano davanti, “decolonizzando il proprio immaginario” dall’ideologia della crescita.[2] Spesso, quando si è incastonati 24 ore su 24 in questo sistema, non si vede che una strada (per esempio quella del lavorare il più possibile, per avere più denaro, per ampliare il più possibile i propri consumi ed aver successo). Sensibilizzare le persone alla decrescita significa proporre loro una visione del mondo alternativa, far loro comprendere che questa via non è l’unica possibile e che, peraltro, come tutte le scelte comporta delle rinunce (pensate che lavoriamo mediamente circa 6 mesi l’anno per mantenere complessivamente i costi di un automobile!). Significa dire che si potrebbe anche (chi più, chi meno) consumare meno beni materiale, quindi lavorare meno e usare il proprio tempo per godere di più dei beni relazionali (stare più con i propri figli, la propria moglie, i propri genitori, etc.) e che, forse, sono queste le cose che ci rendono davvero felici. Significa spiegare cosa sta dietro e cosa implicano certi nostri comportamenti per gli abitanti di altre zone del pianeta, per noi tutti e per quelli che verranno dopo di noi: dal riscaldamento globale causato dalle emissioni di CO2, allo sfruttamento dei lavoratori e dell’ambiente da parte di alcune multinazionali. Una volta ampliato il nostro orizzonte di libertà, maturata una certa consapevolezza, starà ad ognuno di noi decidere cosa provare a fare e cosa no, scoprendo sul campo ciò che per lui può essere “meno e meglio”, ricamando così, giorno per giorno, il proprio “abito su misura”.[3]

Jean-Louis Aillon (Vice-presidente Mdf)


[1] Più conosciuta come psicanalisi (termine in realtà indicante soltanto il metodo della scuola Freudiana).

[2] S. Latouche, La scommessa della decrescita, Serie bianca Feltrinelli, Milano 2007, p. 101-117.

[3] G. Rovera, Iatrogenia e Malpratica in Psicoterapia, Rivista di Psicologia Individuale, n. 55: 7-50, 2004, p. 19.

Fonte: Altrapsicologia.com

 

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *