Fumare causa infarto, diabete, impotenza, cateratta e cancro. Si sa. Ma la voglia di fumo è anche responsabile di disboscamenti, suoli infertili e lavoro infantile. E i mozziconi intanto sono diventati la maggiore causa di immondizia sulle coste di tutto il mondo.

Disboscamenti per la sigaretta

In Malawi ci sono intere regioni nelle quali non cresce quasi più niente. “Dappertutto dove oggi viene coltivato il tabacco, una volta c’era bosco”, racconta Kondwani Munthali al Greenpeace Magazin (GPM). È giornalista in Malawi è lavora per la American Cancer Society. “Nel distretto di Kasungu i contadini che coltivano il tabacco hanno dissodato migliaia di ettari di bosco. Anche nei pressi della città di Mangochi, nel sudest del paese, per tanto tempo si rese coltivabile la terra per il tabacco. Quando la terra non produsse più, i contadini si spostarono altrove – oggi lì è deserto.”

Lo sviluppo in questo piccolo paese dell’Africa orientale esemplifica lo sfruttamento della natura come viene svolto anche in altri paesi che producono tabacco. Nonostante ciò il Malawi è un caso particolare, poiché nessun altro paese ha orientato la sua economia in questa maniera sulla coltivazione di tabacco: Malawi è dipendente dal business del fumo. La sua superficie non è nemmeno pari alla metà di quella dell’Italia, ma lo stato africano è in concorrenza con i maggiori produttori mondiali: Cina, Brasile, India e Indonesia. Fa parte dei cinque maggiori paesi produttori di tabacco a livello mondiale e ne trae il 55% delle sue entrate dovute all’esportazione. Quattro quinti degli abitanti si guadagno da vivere direttamente o indirettamente con la coltivazione di tabacco. Nelle sigarette in vendita in Germania si trova quasi sempre anche tabacco malawiano. 

Ma i danni ambientali causati dal fumo sono un problema globale: secondo stime della FAO, l’organizzazione dell’ONU per l’agricoltura e l’alimentazione, tra il 2000 e il 2005, in tutto il mondo, 13 milioni di ettari di bosco sono stati distrutti per la coltivazione di tabacco. Una buona parte di questi disboscamenti si sono rilevati in America Latina, Africa e Asia. Perché, mentre una volta il tabacco proveniva soprattutto dagli Stati uniti e dall’Europa, oggi l’85% cresce in paesi in via di sviluppo o di recente industrializzazione.

In paesi africani come il Malawi i disboscamenti continui portano a conseguenze drammatiche: “La riduzione di aree boschive cambia anche il clima e i fiumi si disperdono nei suoli nudi”, racconta Munthali. Anche in altri paesi produttori in Africa, come lo Zimbabwe, lo Zambia e il Mozambico – tutti tra i Top 15 dei maggiori coltivatori – da decenni si distruggono foreste. Ne è particolarmente colpita la zona del bosco di Miombo. Lì si trova la più estesa foresta secca a livello mondiale con una superficie di 3,4 milioni km² che si estende sulla parte meridionale dell’Africa centrale. Da decenni la zona di savana boschiva continua a essere distrutta per lasciare posto a campi di tabacco e a legna da ardere.

Anche il suolo viene danneggiato: per far crescere da un seme grosso al massimo un millimetro una pianta che porta fino a venti grandi foglie sono necessari tanti pesticidi e fertilizzanti. La nicotina, sostanza tossica che causa la dipendenza, viene prodotta nelle foglie. Così la pianta si protegge dall’essere mangiata. Per stimolare questa protezione naturale artificialmente, i coltivatori somministrano grandi quantità di nitrati alla pianta. Inoltre le infiorescenze e i rami laterali vengono continuamente tagliati per accrescere ulteriormente il contenuto di nicotina. In più, il tabacco preleva dal suolo una quantità di sostanze nutritive pari a cinque volte quella prelevata da altre colture come riso, soia e mais.

Ciò è causato soprattutto dalle frequenti potature della pianta, dice Helmut Geist. È un geografo economico e fa parte del gruppo di lavoro sul tabacco dell’Organizzazione Mondiale della Sanità. “Già dopo pochi cicli di coltivazione i suoli sono sfruttati a un tale punto che per un certo periodo non vi cresce più niente – e quindi vanno disboscate altre aree”, spiega Geist. Le piante crescono su campi estesissimi in monocoltura intensiva, l’una vicina all’altro. In questo modo non sfruttano solo il suolo in modo più intenso rispetto a una cultura mista, ma sono anche più a rischio di essere attaccate da funghi, virus e piante infestanti. Per combattere questi ultimi vengono usate fino a 150 sostanze chimiche differenti, continua Geist. Di questi fanno parte, secondo informazioni della “Gruppo di lavoro Ambiente e Sviluppo di Berlino”, anche Aldicarb e Chlorpyrifos. Queste sostanze dannose per l’uomo possono causare difetti genetici, danni al fegato, ai reni, disturbi visivi e respiratori. Dopo il loro uso si disperdono nel suolo e inquinano le acque nel sottosuolo, i fiumi e i laghi. Resti di Chlorpyrifos possono essere trovati fino a una distanza di 25 km.

Bambini sfruttati dalle multinazionali

Spesso sono i più poveri che si devono guadagnare da vivere con le piantagioni. “In Malawi ci sono 300.000 persone che lavorano per latifondisti”, dice Laura Graen – etnologa e collaboratrice scientifica dell’associazione “unfairtobacco.org” del “Gruppo di lavoro Ambiente e Sviluppo di Berlino”, che ha visitato il paese più volte, l’ultima volta nel 2009. “I lavoratori vengono impiegati prima per una stagione sulle grandi piantagioni. Il proprietario mette a disposizione su credito beni alimentari, seminativi e pesticidi, spesso a prezzi esagerati. I debiti dovrebbero essere restituiti dai contadini dopo la vendita delle foglie di tabacco.” I contadini dipendono totalmente dai latifondisti, perché solo raramente ci sono dei contratti scritti. Di solito a loro restano, dopo aver pagato tutti i costi, solo 70€ per un’intera stagione, spesso anche di meno. Ciò obbliga tante famiglie a far lavorare nei campi anche i bambini.

L’associazione per i diritti dei bambini “Plan International” ha fatto un’indagine sul problema del lavoro minorile. Nel 2009 alcuni collaboratori hanno fatto un viaggio in Malawi nelle aree di coltivazione di tabacco Lilongwe, Mzimba, Kasungu. Secondo le loro testimonianze in tutto il paese 78.000 bambini lavorano nelle piantagioni di tabacco. Lo conferma il giornalista Munthali: “Durante il periodo di raccolta e di lavorazione del tabacco, tra febbraio e marzo, un numero ancora superiore di bambini è obbligato a lavorare: in questo periodo fino a 150.000 sono impegnati nell’industria del tabacco.” Il circolo vizioso di povertà, scarsa formazione e lavoro infantile inizia nei campi: invece di frequentare la scuola, i più giovani lavorano nelle piantagioni per una paga da fame. “Più di tre quarti di tutti gli alunni non vanno a lezione in quel periodo”, dice Munthali.

I lavoratori hanno raccontato ai collaboratori di Plan la loro indegna condizione di lavoro. Turni fino a 12 ore in cui svolgono un duro lavoro fisico: scavano buche per piantare e trasportano pesanti pacchi di tabacco. “Anche quando si va a casa i dolori non smettono ed è difficile addormentarsi. A volte i dolori ci sono ancora quando ci svegliamo la mattina dopo”, racconta un bambino dalla regione di Mzimba. Spesso devono usare fertilizzanti e trattare le piante con dei pesticidi tossici. Tute protettive non ci sono. Il rapporto di Plan racconta anche di abusi sessuali di ragazze minorenni. Nella media i bambini devono accontentarsi di 12 centesimi al giorno per il loro lavoro. Ciò non basta nemmeno per mezzo chilo di riso, che equivarrebbe invece alla paga di cinque giorni.

Parte delle loro attività è anche rilevare la qualità delle foglie e raccoglierle. Per capire se il tabacco è maturo devono tastare superficie e spessore delle foglie. Dalla semina fino alla vendita entrano in contatto con ciascuna delle piante tossiche tra 30 e 50 volte. Plan ha scoperto che i bambini assorbono attraverso la loro pelle fino a 54 mg di nicotina ogni giorno. È come se fumassero 50 sigarette – al giorno.

Tanti, perciò, soffrono del mal da tabacco verde. I sintomi: tosse, problemi respiratori, nausea. “Questi sono segnali di un avvelenamento acuto di nicotina”, dice Martina Pötschke-Langer – capo del reparto di prevenzione del cancro al centro tedesco di ricerca sul cancro in Heidelberg. Le conseguenze a lungo termine sono gravi danni neurologici e cancro. Se i bambini indossassero guanti e tute impermeabili ciò potrebbe essere evitabile.

Essiccazione di tabacco con legno delle foreste primarie

Dopo la raccolta le foglie vengono assortite, legate insieme ed appese per l’essiccazione. La modalità dipende dal tipo di tabacco: la varietà chiara Virginia viene essiccata quasi sempre con una tecnica a caldo che ha bisogno di molta energia: l’aria viene riscaldata in lunghi tubi e poi portata alle foglie. Le foglie rimangono per più di una settimana a una temperatura di 70 gradi. Durante questo processo si svolgono reazioni chimiche che generano molecole di zucchero e addolciscono l’aroma del tabacco. Poiché nei paesi coltivatori africani e in Brasile mancano quasi sempre i soldi e le reti di trasporto di gas, petrolio e carbone, il 62% del raccolto mondiale viene essiccato con l’uso della legna.

Il centro tedesco di ricerca sul cancro, in uno studio sull’impatto ambientale della coltivazione di tabacco del 2009, ha valutato i dati reperibili: per l’essiccazione di un chilo di tabacco Virginia sono necessari più di 8 chili di legno. In Malawi per questi processi vengono usati alberi provenienti da foreste primarie poiché hanno legno duro che brucia facilmente. Questo tipo di legname è scelto anche a causa della grande quantità di fumo che produce. Ciò è causa di ulteriori disboscamenti.

I problemi causati dalle piantagioni di tabacco sono ormai stati recepiti dall’industria di tabacco e sono iniziati grandi progetti di rimboschimento. Phlip Morris International, secondo le sue informazioni il più grande compratore di tabacco malawiano, dichiara: “Dal 2001 abbiamo fatto piantare più di 75 milioni di alberi in Malawi.” Ma è in dubbio che questi impegni portino effettivamente a dei miglioramenti: “Anche se piantare nuovi alberi è meglio che non fare nulla, non si possono comunque sostituire le preziose foreste primarie”, dice Laura Graen. Anche perché le multinazionali fanno spesso piantare degli eucalipti. Questi crescono velocemente ma con le loro lunghe radici assorbono grandi quantità d’acqua dalla terra. E questo peggiora le cose: con l’abbassamento dei livelli delle acque sotterranee, diventa ancora più difficile per altre piante crescere nella terra secca. Inoltre, l’eucalipto non si presta bene per far essiccare il tabacco perché l’aroma degli oli eterici viene assorbito dalle foglie di tabacco e ne cambia così il gusto. Comunque la situazione sta migliorando, secondo Graen, poiché sta aumentando la coltivazione di tabacco Burley invece che Virginia, che non necessita dell’essiccazione a caldo e quindi della legna.

Philip Morris ha anche reagito rispetto al problema del lavoro minorile: l’impresa è impegnata nella fondazione per l’abolizione del lavoro infantile nell’industria di tabacco, ECLT – un’organizzazione fondata nel 2001 in Svizzera dalle grandi multinazionali del settore. Tale associazione dice di collaborare con i governi nei paesi produttori per organizzare dei programmi contro il lavoro minorile. ”Non abbiamo però dei contratti diretti con i contadini perché il governo malawiano ha imposto che la compravendita di tabacco possa avvenire soltanto in borsa – ciò riduce il nostro potere di influenzare i fornitori”, dice Iro Antoniadou di Philip Morris. Secondo lui l’impresa si impegna per la possibilità della contrattazione diretta, in modo da abolire la compravendita esclusiva del tabacco in borsa.

In Brasile, invece, quasi tutta l’esportazione viene effettuata con un contatto diretto con le multinazionali. Le condizioni di lavoro sono ugualmente problematiche, critica Laura Graen, in quanto nel caso di contratti diretti non c’è concorrenza tra le multinazionali e i contadini sono dipendenti dai loro clienti. Inoltre, i compratori di tabacco valutano solitamente anche la sua qualità e potrebbero quindi dichiararlo di bassa qualità per ottenere degli sconti.

È dubbio quindi l’utilizzo di contratti diretti per i contadini in Malawi. Attualmente però i contadini devono affrontare dei problemi di dimensioni decisamente maggiori: il Paese sta soffrendo di una grave crisi economica. Il prezzo del tabacco non lavorato ha raggiunto un punto estremamente basso. La colpa è della sovrapproduzione. Per decenni le monocolture di tabacco sono state sovvenzionate dallo Stato anche con fondi della Banca Mondiale e del FMI.

Uscire dal business del tabacco è molto difficile per i coltivatori: mentre il settore del tabacco è molto ben organizzato nel Paese, mancano infrastrutture per la vendita di altri prodotti agricoli. Grano, patate e miglio possono essere venduti solo sui bordi delle strade. Unica alternativa: un futuro dubbio con la coltivazione di tabacco.

Le montagne d’immondizia dei fumatori 

Con il fumo di tabacco si inalano migliaia di sostanze tossiche e 90 di queste sostanze sono effettivamente o presumibilmente cancerogene. I loro effetti finora sono stati esaminati soprattutto in relazione agli uomini, ma non sono meno dannosi per l’ambiente dal momento che anche nei mozziconi si trovano le sostanze tossiche. Circa il 50% del catrame rimane nei filtri di acetato di cellulosa. Buttati con noncuranza questi disperdono nell’ambiente sostanze quali i cancerogeni idrocarburi policiclici aromatici, la nicotina, l’arsenico e metalli pesanti. Prendiamo ad esempio il cadmio: “Quando questa sostanza arriva dai mozziconi nel mare, essa si concentra nella catena alimentare marina e potenzialmente torna sulle nostre tavole in forma di una bistecca di tonno”, spiega Bernhard Schnetger, direttore dell’analisi chimica anorganica dell’Istituto per Chimica e Biologia del Mare dell’Università di Oldenburg al GPM. Finora però non ci sarebbero ancora dati sull’esatta quantità di metalli pesanti e sostanze tossiche che arrivano nel mare per mezzo dei mozziconi.

La San Diego State University nel 2009 ha condotto una delle finora poche indagini sul tema: in un esperimento con cladocera, il 100% degli animali morì entro 48 ore , dopo essere stato esposto a una concentrazione di due mozziconi per litro d’acqua. Secondo informazioni del BUND (Friends of the Earth Germania) basta un singolo mozzicone per inquinare 40 litri di acqua sotteranea.

L’inquinamento dei mari va avanti a piena velocità. Secondo l’UNEP, il programma ambientale del ONU, il 40% dell’immondizia negli oceani consisterebbe in mozziconi e imballaggi di sigarette – risultato di una ricerca condotta nel Mare Mediterraneo. Sigarette e mozziconi, sempre secondo questa ricerca, sarebbero anche la causa principale dei rifiuti su spiagge e coste. Ogni anno, dice l’ONU, si trova una quantità di mozziconi che ammonterebbe al doppio di quella delle buste di plastica. Particolarmente critico sarebbe, secondo l’ente federale per l’ambiente della Germania (Umweltbundesamt), la scarsa biodegradabilità degli stessi: “I mozziconi, per la loro tossicità, andrebbero trattati come rifiuti speciali”, richiede Martina Pötschke-Lager del centro tedesco di ricerca sul cancro nel intervista col GPM. 

La produzione di una sigarette con il filtro dura mesi, richiede tanto lavoro, distrugge foreste e suoli. Dopo solo cinque minuti questo prodotto, fabbricato dispendiosamente, è fumato. Ma i suoi resti ancora per anni inquinano le acque e galleggiano in tappeti d’immondizia negli oceani del mondo.

(Kurt Stukenberg, Greenpeace Magazin 6/2011)

fonte: www.greenpeace-magazin.de

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