Che la ricchezza non basti a misurare il benessere non è una novità, né lo sono vari tentativi, nel mondo, di sostituire il Pil con altre misurazioni, come quella della “felicità” scelta dal Buthan. Ma ora è la Cina a muoversi, con oltre 70 città e distretti che hanno abbandonato il Prodotto interno lordo come misura della performance locale. I vertici del partito l’hanno stabilito alla fine dell’anno scorso e il premier Xi Jinping l’ha ribadito in giugno: “Non possiamo più usare il semplice Pil per decidere chi sono i più bravi”.

I funzionari governativi stanno assimilando il contrordine: ora chiedono cose come l’attenzione all’ambiente e la riduzione della povertà. E proprio mentre l’Ocse progetta di sostituire il Pil con il suo Better Life Index, arrivano i primi segni concreti, a parere del Financial Times, del fatto che la Cina stia davvero lasciando il mantra della crescita economica a ogni costo per incoraggiare una miglior qualità della vita.

Fujian, provincia costiera finora concentrata sulla movimentazione delle esportazioni e il manifatturiero, è uno degli esempi: questo mese ha annunciato che sostituirà il Pil con indici sull’agricoltura e la protezione dell’ambiente in 34 dei suoi distretti. Nei mesi scorsi è stata la volta di Hebei, distretto siderurgico a nord di Pechino, e Ningxia, regione povera del nord est della Cina. A Hebei l’obiettivo è ora quello di ridurre le fabbriche che
producono smog (lo smog che affligge anche Pechino, a un centinaio di chilometri, che a sua volta sta chiudendo i suoi impianti più inquinanti).

Via dunque cementifici, acciaierie e centrali elettriche. In più, c’è un piano di lotta alla povertà e per lo sviluppo rurale, con l’obiettivo di ridurla a zero entro il 2020, mentre la Agricultural University di Hebei produce tesi su povertà e turismo, che studiano come mettere a frutto il patrimonio rendendolo fruibile (con migliori infrastrutture, più cooperazione regionale e più pubblicità) ai “turisti ecologici e al Turismo Rosso”, come scrive lo studioso Zhang Pengtao.

Le aree di Guangxi, Guangdong e Jiangxi hanno a loro volta rallentato la corsa alla crescita del Pil e incoraggiano terziario e primario, con servizi, allevamenti e trasformazione non industriale dei suoi prodotti. Nel distretto di Tiannan, provincia di Jiangxi, per inseguire il Pil hanno introdotto tre fabbriche di ceramica e un impianto di trasformazione non ferrosa dei metalli. Ma ora che il Pil non è più un “dovere primario”, come ha spiegato il segretario locale del partito Sheng Hengda all’agenzia Xinhua, “abbiamo equipaggiato le fabbriche con strutture che trattano l’inquinamento”.

Nella provincia del Sichuan, la più popolata della Cina, il governo locale ha diviso città e campagne in due differenti gruppi di valutazione. Il regolamento, pubblicato a fine giugno, spiega che 58 distretti con buoni ecosistemi sono stati esentati dalla valutazione del Pil. Le prossime valutazioni del progresso locale verranno fatte su due parametri: la misurazione degli acri di foresta conservati e quella della diminuzione del tasso di povertà conseguita. Nel frattempo, la regione iugura del Xinjiang ha cambiato obiettivi: protezione della natura, anche lì.

La stessa Pechino ora si vanta di aver chiuso nel primo semestre dell’anno ben 213 aziende inquinanti. In più, settori “puliti” come tecnologia informatica e servizi finanziari hanno coperto più del 50% della crescita del Pil cittadino, che lì è in vigore ma sta cambiando contenuti, appunto.

Tutto procede secondo la nuova linea decisa dal partito, dunque. Anche se un dubbio resta. Come segnala il Financial Times, la corsa al Pil e alla ricchezza, anche personale, ha creato ottimi rapporti fra i rappresentanti del governo e le inquinanti industrie tradizionali: intere carriere costruite sui trionfi del Pil della propria area, come nel caso di Zhang Gaoli, membro della Commissione permanente del Politburo da fine 2012, dove è arrivato anche per la crescita del Pil della megacittà di Tianjin negli ultimi anni, da quando lui ne è diventato segretario locale del partito, nel 2007. Come ha fatto? Appoggiando grandi imprese di costruzione che hanno prodotto, fra l’altro, la “risposta cinese a Manhattan”, cioè i grattacieli del distretto finanziario di Yujiapu. Oggi buona parte dei palazzoni resta vuota, ma lui è vice premier, appena nominato anche a capo dell’ufficio che promuoverà lo “sviluppo sinergico” di Pechino, Tianjin e la provincia di Hebei.

Fonte: Repubblica.it

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