Premetto che sono un abbonato e un occasionale collaboratore del Fatto Quotidiano. Lo dico per sottolineare la mia affinità di vedute con la linea politica del giornale. Ciò non esclude, ovviamente, che a volte mi possa trovare in disaccordo con quanto scrive qualcuno dei suoi più autorevoli redattori, come mi è successo leggendo il commento di Furio Colombo intitolato “Crisi, l’ora della scelta tra crescita e decrescita” pubblicato domenica scorsa.

E non mi riferisco alla sua predilezione per la crescita con una più equa redistribuzione del reddito come sostenuto dai suoi economisti di riferimento, ma alle premesse concettuali che la sottendono, che Colombo manifesta commentando l’affermazione di Gianni Agnelli: «Non puoi dire decrescita. È una parola contro natura», con queste parole: «la frase è fondata – perché – i bambini crescono, gli animali crescono, la natura cresce». A parte l’ultimo esempio di cui mi sfugge il significato, le domando: i bambini e gli animali crescono per sempre o a un certo punto smettono di crescere? Noi abbiamo un cane di 17 anni. Cosa sarebbe diventato se avesse continuato a crescere da quando è nato? Lei dopo il 17 /18 anni ha continuato a crescere? Eppure, anche avendo smesso di crescere ha continuato a migliorare. La sua affermazione mi fa pensare a quel versetto del profeta Isaia in cui si legge: «Iddio acceca quelli che vuol perdere».

Come si fa a non vedere che ogni crescita arrivata a certo livello si arresta? Se, come sostiene Colombo, tutto ciò che è artificio dell’uomo segue il modello della natura, anche la crescita economica non può non arrestarsi, che lo si voglia o no, per eccesso di consumo di risorse e per eccesso di emissioni di sostanze non metabolizzabili dalla biosfera.

L’immaginazione al potere oggi si può realizzare solo a partire dalla liberazione del nostro immaginario collettivo dalla distopia della crescita illimitata (questo sì, questo sì). Solo a partire dalla rottura di questo velo, si potrà cominciare a vedere che le innovazioni scientifiche e tecnologiche possono e dovrebbero essere indirizzate ad aumentare l’efficienza con cui si usano le risorse, cioè a ridurre i consumi di energia e di materie prime, le emissioni inquinanti e i rifiuti, a parità di benessere. A realizzare una decrescita selettiva del Pil riducendo i consumi di merci che non sono beni.

La decrescita selettiva degli sprechi è l’unico modo di uscire dalla recessione, creando posti di lavoro utili. Immagini una politica economica e industriale finalizzata a ridurre gli sprechi energetici del nostro patrimonio edilizio, che attualmente richiede per il solo riscaldamento invernale 20 metri cubi di metano al metro quadrato all’anno contro il limite massimo di 7 consentito in Germania (dove gli edifici migliori ne consumano 1,5). Si darebbe avvio a uno sviluppo tecnologico senza precedenti. Quanta occupazione in lavori utili si creerebbe? I costi d’investimento verrebbero pagati dalla riduzione delle importazioni di gas e petrolio senza aumentare il debito pubblico. Si ridurrebbero le emissioni di anidride carbonica e le tensioni internazionali per accaparrarsi le fonti fossili.

Forse la fantasia al potere oggi passa proprio attraverso una decrescita selettiva dei consumi di merci prive oggettivamente di utilità. «Mai chiamarla decrescita – lei dice – è triste». La intristirebbe tanto una decrescita del debito pubblico? Speriamo che Iddio non abbia deciso di accecare tutti.

Maurizio Pallante

Fonte: ilfattoquotidiano.it

5 thoughts on “Crescita e decrescita, perché un concetto non esclude l’altro”

  1. Egregio Maurizio, seguo e applico la decrescita da tanti anni, ho letto i tuoi libri, però la parola decrescita mi piace sempre meno; evoca un concetto negativo: non c’è bisogno di essere laureati in psicologia o marketing per capire che un concetto che evoca negatività fa fatica ad imporsi. Dobbiamo trovare un altro nome; altrimenti sarà facile per Berlusconi (al comizio di marzo a Roma) o a Maurizio Crozza (ieri) ironizzarci sopra…. Da quando Grillo ha preso un sacco di voti, si parla sempre più spesso di decrescita, forse è il momento buono..

    1. caro marco,
      non sono d’accordo con te (ti do del tu perchè in questo forum/blog/sito mi sento come se parlassi a un gruppo di amici, e se ci incontrassimo ci daremmo di sicuro del tu!!!).
      e non sono d’accordo per alcune ragioni:
      1) il nome decrescita aiuta a centrare immediatamente il problema: la crescita incontrollata. se dico decrescita già si capisce che l’andamento economico, anzi, che la costruzione teorica economica attuale non mi piace, non la ritengo giusta.
      2) colpire l’economico significa colpire il cuore del sistema. giusto ieri parlavo con un mio amico e dicevamo che in una democrazia non si possono fare le rivoluzioni, perchè le rivoluzioni servono ad ottenere potere politico e in democrazia, almeno formalmente, ognuno ha potere politico (poi possiamo discutere delle conformazioni reali che assume questo principio, ma a livello formale, in democrazia, ognuno ha potere). quindi la rivoluzione serve per ottenere potere politico. in una situazione come quella globalizzata, però, il centro del potere si è spostato decisamente nell’ambito economico, che ne ha assunto quasi il monopolio. quindi la risposta deve essere economica. come detto prima, il termine decrescita richiama subito a una contrapposizione forte con la teoria economica dominante, dunque è il termine più adatto per sottolineare la volontà rivoluzionaria di capovolgere l’andamento economico.
      3) hai parlato di psicologia. ti dico che il termine sviluppo sostenibile è apprezzato da tutti, tutti lo vedono come il futuro migliore (e forse l’unico) che ci attende, ma anche la Nestlè usa i termini di sviluppo sostenibile per descrivere il suo operato: termini troppo fiacchi piacciano a tutti, e li usano in troppi.
      4) marketing. il marketing si basa sul fatto che l’idea debba vendere, e quindi piacere, e più piace e più vende. ma è questo quello che vogliamo? una cieca accettazione di paradigmi esposti da qualche teorico illuminato e ripetuti come dogmi inviolabili? oppure vogliamo che la gente incontri il concetto di decrescita, lo capisca, e a partire da questo riveda i propri stili di vita, uno alla volta e consapevolmente?

      un’ultima cosa. non è la prima volta che sento le critiche verso il termine decrescita e anche io ne voglio portare una: suona male, non ha ritmo. è una parola che si spezza, che rimanda a un “no” e non a un “altro”. ma proprio per questo suo essere brutta, la parola decrescita, quando viene capita, può diventare una filosofia di vita, perchè non è solo un’infatuazione passeggera, dettata dalla bellezza della parola e del suono. forse proprio il chiamarsi decrescita (suono aspro e senza ritmo), può evitare che diventi una moda, ma far si che diventi un modo di vivere.

  2. Michele, condivido ogni singola parola di ciò che hai scritto. Aggiungerei, continuando sulla scia degli esempi calzanti, che il termine decrescita deve assolutamente provocare uno shock concettuale come fa l’arte moderna (non quella contemporanea, così mercificata): deve instillare il dubbio sul proprio processo cognitivo e guidare ad una rinnovata visione del mondo. Bravo.

  3. La decrescita sta alla crescita come la nonviolenza sta alla violenza. Anche nonviolenza è un concetto che si esprime con la negazione di un altro concetto, eppure finora non si è trovato nessun termine che renda meglio l’idea e oggi il concetto di nonviolenza è chiaro e universale. Sarà così anche per la decrescita, naturalmente felice!

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