Brutte notizie per i fautori delle energie non rinnovabili. Dopo il disastro di Fukushima, che ha dimostrato una volta di più l’estrema pericolosità del nucleare, arriva un’altra mazzata: il petrolio sale a 120 dollari al barile. Sono livelli che non si vedevano dai primi mesi del 2008, prima della crisi economica che ha colpito il mondo intero. Una crisi causata, secondo molti, proprio dall’improvviso innalzamento del prezzo del petrolio, e “servita” a riportare il prezzo del greggio a prezzi “accettabili”, sotto i 60 dollari al barile.

Adesso la nuova impennata. E c’è chi dice che il peggio – se di peggio si può parlare – deve venire. Il presidente iraniano Mahmoud Ahmadinejad, sull’onda dell’entusiasmo – l’Iran è il secondo esportatore all’interno dell’Opec con 4,2 milioni dei barili al giorno – ha dichiarato che il prezzo attuale del petrolio è ancora “troppo basso” e che entro breve “supererà i 150 dollari al barile”.

Ma l’aumento di prezzo non è una sorpresa. Almeno non per molti. Già a partire dagli anni Cinquanta il geofisico Hubbert propose la ormai classica teoria del picco del petrolio, ripresa in seguito da Colin Campbell e Jean Laherrère. Secondo questo tipo di analisi ci troveremmo ormai oltre il picco massimo di produzione del petrolio, in una condizione in cui gli investimenti necessari per estrarre la risorsa sono talmente elevati da rendere l’operazione non più conveniente.

Queste teorie, bollate al principio come catastrofiste da economisti e potentati mondiali – con un’ottusità sedimentata da interessi secolari – sono infine giunte alla ribalta sull’onda delle continue crisi petroliere. Persino il Wall Street Journal, già nel 2008, ammetteva in un articolo che da allora al 2015 ci si doveva aspettare un ammanco di produzione di circa 12 milioni di barili al giorno, rispetto alle richieste del mercato.

Ma come si risolve la crisi del petrolio, e quella conseguente di un’intera società costruita sulla base della sua produzione? Le risposte fin qui fornite dai governi internazionali sono state principalmente di due tipi: ricorrere ad un’altra fonte di energia esauribile, l’uranio, peraltro estremamente pericolosa e nociva alla salute, oppure cercare di accaparrarsi le ultime gocce di oro nero presenti sul pianeta, muovendo guerra ai paesi produttori.

Che queste siano strategie d’emergenza, dettate dal panico più che dal calcolo razionale, lo capirebbe facilmente persino un bambino. La domanda è, quanto a lungo dureranno tali strategie? Fino a che punto si è disposti a spingerci prima di ripensare il modello dominante, rimettendo in discussione le basi stesse della società? Dalle risposte che verranno fornite dipende gran parte del destino del mondo.

Fonte: Il Cambiamento

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