Domenica scorsa ho partecipato ad una camminata in collina con un gruppo di escursionisti.  Dopo un po’, rimasto in coda al gruppo per godere meglio i suoni del silenzio nel bosco, fui attratto tuttavia da un discorso tra i due partecipanti che appena mi precedevano. Il dialogo verteva sulle preoccupazioni che destava in loro l’andamento dell’economia globale. Non erano certo degli economisti, ma mi colpì una domanda sulla quale continuai a rimuginare per buona parte del percorso: “si dice economia virtuale, ma da dove viene questa ricchezza? Da dove li tirano fuori i soldi che poi realmente ci fanno sopra?”.

Mi rendevo conto che la questione veniva posta in modo abbastanza rozzo – o così l’avrebbe certo giudicato un addetto ai lavori .  D’altra parte mi sembrava che la sostanza del quesito non mancasse di una certa ragion d’essere: se c’è un’economia, se c’è chi vende e chi compra, chi spende, investe, acquista e guadagna, chi paga, chi perde, se c’è ricchezza che si crea, vuol dire che c’è qualcosa che dà origine a questo, qualcosa che passa di mano in queste transazioni, una sostanza di questi scambi.

Si dirà, certo, che si tratta in realtà perlopiù di ricchezza finanziaria, monetaria, e che il denaro è in ultima analisi una convenzione il cui valore di scambio alla lunga è legato alle condizioni dell’economia reale, quella produttiva.  In questo senso i profitti dell’economia virtuale sarebbero una sorta di abbaglio momentaneo, speculazioni di corto respiro, il lancio di una scommessa destinata a cadere nel vuoto di una crescita presunta, ma della quale non ci sono più i presupposti né le condizioni ambientali. 

Credo anche io sia così.  Eppure, se su queste scommesse c’è chi gioca molto denaro, se c’è chi le vende e chi le compra queste scommesse, e si tratta di persone tutt’altro che sprovvedute quanto a movimentazione di capitali, e non appartenenti ad una nicchia marginale nel mondo finanziario, bensì alla tendenza che si è affermata a livello mondiale, mi sembra un po’ superficiale fermarsi a credere che tutta questa virtualità sia davvero basata sul nulla.  Se così fosse la cosa sarebbe durata già abbastanza a lungo.  E la crisi del 2008 sarebbe dovuta essere sufficiente ad imporre un’inversione di rotta.

Cosa sia, dunque, questa miniera dalla quale effettivamente si estrae ricchezza nell’era dell’economia virtuale è stata la domanda che ha continuato a ronzarmi in testa per il resto della camminata.

Qual è la materia dello scambio quando si muovono masse di capitali sulle probabilità di tenuta o di recessione (/crisi/fallimento) delle economie più fragili tra quelle dei paesi sviluppati?  Quando si condizionano le loro capacità di far fronte ai debiti proprio esprimendosi a favore o contro queste stesse capacità (e giocando in borsa conseguentemente o, meglio, preventivamente)?

Qual è l’oggetto della speculazione quando si alza o si abbassa ad arte il valore commerciale previsto di materie prime o di prodotti agricoli dei paesi “in via di sviluppo” ancor prima che questi vengano effettivamente prodotti e decidendo della sopravvivenza o della fame per milioni di persone?

Qual è la ricchezza veramente persa quando “scoppiano” le bolle finanziarie per aver artificiosamente gonfiato le aspettative di crescita e di profitti in determinati settori dell’economia?
Cosa è che viene ipotecato quando le risorse disponibili per gli investimenti vengono indirizzate verso speculazioni virtuali e scommesse finanziarie anziché sul trovare risposte alternative (sociali, tecnologiche, nella ricerca, nella ridistribuzione, nell’occupazione, nel risparmio, nella conservazione…)  alle conseguenze minacciose del modello economico che ha dominato il mondo finora e che continua a dominarlo avvelenandolo e minando perfino i presupposti del proprio stesso funzionamento?

La risposta che mi son dato è che l’oggetto di sfruttamento da cui estrae profitto questa economia è tanto virtuale quanto reale, ed è il Futuro.  Le nostre possibilità di futuro e la sua qualità.

In una economia evoluta in cui la pianificazione è essenziale ed ogni progetto di portata significativa necessita della movimentazione di ingenti capitali il futuro è materia di investimento e pertanto è esso stesso trattato già ora come una risorsa, un oggetto attorno al quale ruotano soldi così come lo sono il petrolio, il ferro o le armi.

Il Sistema capitalista-consumista nel corso degli ultimi secoli si è espanso come un tumore arrivando ad occupare tutto il pianeta e tutte le nicchie possibili per le attività economiche intese in termini di profitto. Durante questo processo si è alimentato di varie risorse il cui sfruttamento è stato centrale per ogni nuova fase di crescita: l’oro, la seta, le spezie, gli schiavi, i territori e le popolazioni delle colonie, il ferro, il petrolio, il capitale movimentato nel prestito internazionale…. e sempre con l’ausilio degli eserciti e delle mille forme dissimulate di propaganda.  Ora che tutti gli spazi sono occupati, che l’economia reale non tiene il passo con le esigenze di vorticosa accelerazione di quella finanziaria e che nuovi concorrenti sul piano della produzione si fanno temibili, il mondo reale si rivela troppo piccolo per le esigenze del capitale ed occorre inventare una nuova risorsa, solo apparentemente virtuale, come nuovo terreno di sfruttamento e di colonizzazione su cui proiettare gli effetti delle azioni attuali.  Non nel futuro, ma proprio il futuro.

Quando si fa girare l’economia su presunzioni virtuali e le risorse finanziarie vengono spese su scommesse (per quanto complesse e raffinate) non si sta facendo solo uno spreco e correndo degli enormi rischi, ma soprattutto lo si sta facendo sulle spalle di chi subirà le conseguenze di questi giochi e si troverà a vivere nel mondo che questi trucchi ed i loro fallimenti sono destinati a creare.  Niente affatto il mondo che segue naturalmente la sua strada guidato dalla “mano invisibile della domanda e dell’offerta”, ma il mondo come sarà dopo che l’ultima occasione per impiegare utilmente la ricchezza disponibile sarà stata perduta.

Gli investimenti dell’economia virtuale sono su scenari proiettati su un futuro più o meno prossimo, ma si tratta di scenari che ripetono negli schemi di fondo il presente e soprattutto il passato recente degli anni della crescita, del boom dei consumi e delle tecnologie di massa, dell’energia a buon mercato, dell’ideologia sviluppista e dell’ordine mondiale Nord-Sud.  Schemi di un mondo che sta scomparendo a vista d’occhio, ma che è purtroppo l’unico che la maggior parte degli investitori e degli economisti sa vedere o anche solo immaginare.

Con questa mancanza di immaginazione si stanno gettando nel pozzo di una crisi vera sempre più prossima le risorse finanziarie utili a costruire un futuro possibile.  Proiettando in avanti modelli economici che non potranno più funzionare e speculando su queste prefigurazioni si consumano le risorse finanziarie ed il tempo a disposizione che potrebbero fare una ricchezza reale e praticabile nei decenni a venire.  In questo modo invece tale ricchezza viene di fatto estratta “a monte”di quello che sarà il futuro, impoverendolo.

Si sta comprando virtualmente qualcosa che non ci sarà  vendendo quello che avrebbe potuto esserci .

Ragionando su queste cose ero rimasto indietro ed, una volta raggiunto il gruppo, ritrovai gli stessi due che continuavano a parlare.  Ora guardavano la collina di fronte a noi e discutevano del piano forestale regionale che ancora non era stato fatto per stabilire quali appezzamenti erano adatti al taglio boschivo e quali no.

Davanti a i nostri occhi c’era la costa di un rilievo basso, ma molto ripido, sul quale era stato effettuato un disboscamento quasi totale su un suolo aspro e roccioso in cui era evidente la precarietà del sottile strato di terreno fertile che lentamente era riuscito a formarsi nel lungo corso del tempo: bastava guardarlo per sapere che pochi anni di piogge sarebbero bastati a portarlo via.

Ma noi siamo gente evoluta: non può certo bastarci ciò che si capisce col buon senso.
Per bandire gli ogm o il nucleare bisogna prima aver dimostrato che possano creare disastri incontrollabili, anzi, li devono aver già provocati – che poi è l’unico modo per dimostrarlo: quando è troppo tardi.
 
E per salvare un bosco dobbiamo aspettare la valutazione d’impatto ambientale.

Per gli avventurieri della finanza, invece, eroi del nostro tempo a cui dobbiamo tutto – ovvero il continuare a girare dell’economia consumistica – è garantita tutta la libertà e l’impunità:
compresa quella di giocare alla roullette russa con il futuro. La pistola puntata sui nostri cervelli.

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