Gentile dr. Trossero,
in questi giorni si fa un grande scrivere di Val di Susa e NOTAV restando rigorosamente sul piano della pura cronaca e senza mai entrarre nel merito o dando quest’ultimo per scontato. Un esempio è la lettera di Chiamparino e di Esposito che l’Eco ha pubblicato. Le allego una mia lettera sul tema, ispirata dall’altra, e le sarei molto grato se volesse pubblicarla.
Penso che il pubblico sia sufficientemente maturo da poter essere messo al corrente del fatto che la questione non è semplicemente legata all’incomprensibile testardaggine di un pugno di nemici del progresso. Le caricature alla lunga stancano.
Cordialmente,
Angelo Tartaglia

Prof. Angelo Tartaglia
Dipartimento di Fisica del Politecnico
Corso Duca degli Abruzzi 24
I-10129 Torino, Italy

Egr. Sig. Direttore,

leggo sull’Eco la lettera di Chiamparino ed Esposito sulle vicende TAV. Ciò che colpisce negli interventi dei due scriventi è la totale assenza di argomentazioni nel merito. Non solo in questa occasione, in cui parlano di ordine pubblico e dichiarano insufficienti argomentazioni altrui che non citano, ma in ogni altra precedente. Per loro il traforo in Val di Susa è giusto, è buono, è deciso, è il progresso e così via. Sembra che realtà  e dati siano irrilevanti. La posizione che i due scriventi esprimono sulla uestione TAV è puramente ideologica, di una ideologia ottocentesca che è cresciuta con due facce, una capitalista e una socialista, ma con la medesima radice: una visione mitica del "progresso" e ancor più mitica della scienza e della tecnica.

Il costo per l’Italia di questo nuovo collegamento è di 16-17 miliardi (tanto quanto i tagli al welfare previsti dalla manovra proposta dall’attuale governo). Queste sono cifre più che prudenziali: il nuovo collegamento tra Bologna e Firenze a consuntivo è costato sei volte e mezzo di più di quanto dichiarato in partenza. Questo denaro nelle casse dello Stato non c’è e andrebbe totalmente a debito pubblico.

Questi aspetti pare che per Chiamparino ed Esposito, e per altri esponenti del ceto politico, siano irrilevanti, non ne parlano mai. Per giustificare economicamente l’opera occorrerebbe che nei prossimi 30-40 anni il flusso di merci tra Italia e Francia si moltiplicasse di 20-30 volte. Oggi il flusso è meno di un sesto della capacità  della ferrovia esistente e per di più è in costante calo dal 1997. Non solo, ma dal 2002 tutto il traffico merci attraverso la frontiera francese, dal Monte Bianco a Ventimiglia, sia su rotaia che su strada, è in calo.

Nello stesso tempo però il flusso di merci attraverso le frontiere svizzera ed austriaca è in costante aumento, particolarmente in ferrovia. Questi fatti, posto che li conoscano, non scalfisce minimamente le ideologiche certezze di Chiamparino ed Esposito e soprattutto pare non meriti di essere portato a conoscenza del pubblico. Per inciso l’andamento dei traffici che ho appena menzionato non è per nulla misterioso: i flussi in crescita sono quelli da e verso aree i cui mercati di beni di consumo sono lontani dalla saturazione e in cui la mano d’opera costa un decimo di quanto costa da noi. In concreto il terminale delle grandi connessioni mercantili sta in Cina e in India, domani probabilmente anche in Medio Oriente e in Africa.

Dal nostro lato quei traffici si attestano nei porti e da lì verso l’interno dell’Europa lungo direttrici prevalentemente da Sud a Nord e non da Est a Ovest. I collegamenti intereuropei est-ovest riguardano paesi dove ci sono 6-7 auto ogni dieci abitanti e le case sono pressoché piene di televisori, elettrodomestici, marchingegni elettronii e così via: il commercio è di mantenimento e sostituzione e tende ovviamente ad essere relativamente stabile.

Questi paesi inoltre, anche i più solidi, subiscono una progressiva deindustrializzazione, quanto meno riguardo alle produzioni di massa a basso costo (quelle che viaggiano per mare o in ferrovia). Insomma questa è la realtà  e questo è anche il futuro credibile dell’economia e del commercio, ma Chiamparino ed Esposito, che (non nell’intervento sull’Eco) parlano spesso di futuro preferiscono rifugiarsi in un futuro mitologico fondato non sui fatti e sulla ragione ma sull’ideologia.

È dalla metà  degli anni 90 che mi occupo di questi problemi partecipando a tavoli tecnici in diverse sedi, dal Ministero dei Trasporti, alla Regione Lombardia, e infine all’Osservatorio sulla Torino-Lione, e in effetti è "incredibile" che per vent’anni argomenti e dati come quelli che ho citato siano stati sistematicamente esclusi da qualsivoglia dibattito pubblico dando viceversa spazio a chiacchiere vane quando non ad aperte menzogne (all’inizio qualcuno diceva perfino che i nuovi collegamenti ferroviari sarebbero stati pagati dai privati). Ora il tutto viene trasformato in una questione di ordine pubblico e naturalmente piuttosto che di denaro, merci e treni ci si butta a parlare di lacrimogeni, black bloc e così via.

Siamo ormai nel XXI secolo, non più nel XIX; oggi il futuro sta nelle nanotecnologie, non nel cemento, nell’informazione e nel flusso di bit, non (solo) di tonnellate. L’economia mitizzata nell’ ‘800 perde colpi e alimenta disuguaglianze crescenti, impantanata in una crisi strutturale. Quando una intera classe dirigente perde il contatto con le aspirazioni e la vita reale di una società  perde anche legittimità  e autorevolezza. Continuare a gridare slogan da mille altoparlanti mediatici non modifica la realtà.

Cordialmente,

Angelo Tartaglia
 

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