E’ soprattutto a partire dagli anni ’60 che il quartiere berlinese di Kreuzberg ha iniziato a ospitare migranti provenienti da più parti del mondo – dalla conca del Mediterraneo ai Balcani, da Africa, Asia e America latina -, diventando un crogiolo dove sono venute a contatto, amalgamandosi e contaminandosi, le culture più diverse. E anche le colture. E’ infatti situato nel cuore di Kreuzberg, nella Moritzplatz, uno dei primi progetti berlinesi di agricoltura urbana; è qui che si coltivano pomodori i cui semi provengono da India, Turchia e Marocco, prezzemolo da Italia, Grecia e Giappone, patate da Africa e Perù, menta, hierbabuena e piante aromatiche provenienti da ogni angolo della terra.

L’idea però non è venuta da esperti agricoltori, tutt’altro. Robert Shaw, documentarista cinematografico di professione, e il fotografo Marco Clausen hanno iniziato a progettare l’orto nell’inverno del 2009, dopo un viaggio a Cuba da cui tornarono affascinati dagli orti urbani coltivati a L’Avana. Presero possesso di un terreno comunale di 6 mila metri quadrati abbandonato da decenni, con l’aiuto di amici lo ripulirono da tonnellate di immondizia cumulate da anni di incuria e iniziarono a coltivarlo.

Oggi questa proprietà non privata è in grado di produrre 15 varietà di patate, altrettante di pomodori, 10 di carote e zucchine, diversi tipi di cavoli, verze, bietole e tante piante aromatiche come prezzemolo, menta, basilico, santoreggia e coriandolo: una piccola ma preziosissima banca di germoplasma in situ a disposizione della comunità locale.

La maggior parte dei semi viene portata e regalata dagli abitanti del quartiere di ritorno da viaggi nei loro paesi d’origine, ma quando serve li comprano e li coltivano in quello che è stato battezzato «Il giardino delle principesse» (dal nome della strada dov’è situato, la Prinzessinnenstrasse), un progetto comunale a cui tutti gli abitanti del quartiere possono partecipare. Una gestione collettiva che permette, a chi disponibile a lavorare sul campo, di avere in cambio ortaggi e verdure a prezzi notevolmente inferiori a quelli offerti dal mercato. Al Prinzessinnengarten non si utilizzano concimi chimici né pesticidi e, dato che ciò che si produce si consuma localmente, non esistono costi aggiuntivi di trasporto e non si inquina.

Durante il rigido inverno berlinese, a coltivazioni ferme, il Prinzessinnengarten riprende la forma di un antico mercato coperto, ristrutturato di recente e utilizzato come centro comunitario e d’incontro, con un bar e un piccolo ristorante dove si cucinano zuppe ed altri piatti, unicamente a base di ortaggi ivi coltivati.

L’orto urbano di Shaw, Clausen e il loro ormai numeroso gruppo di lavoro, ha avuto un tale successo che sono stati chiamati a cooperare a simili progetti sia in altre città tedesche che all’estero (come Amsterdam e Parigi), tengono seminari con università e offrono consulenze. Si parte dalla chiara premessa che «tutti possono imparare di tutto» , ha dichiarato all’agenzia Tierramerica Robert Shaw, documentarista prestato all’agricoltura che ha ereditato l’amore per l’orticoltura dalla nonna, ossessionata dall’autosufficienza alimentare dopo aver conosciuto la fame in tempo di guerra.

Così, partendo dal Prinzessinnengarten di Berlino, le esperienze di agricoltura urbana cominciano ad affermarsi anche in altre grandi città europee. Forse stimolati da una sempre più crescente coscienza ambientalista, forse per i costi sempre più alti degli alimenti, e forse anche per il timore di restare senza cibo, paura interiorizzata nei periodi di benessere ma pur sempre presente nell’inconscio collettivo dei popoli.

Fonte: Il Manifesto

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