Giornali radio di ieri mattina: è successo questo ed è successo quello, e tra le altre cose è successo pure che abbiano arrestato il vice presidente della Regione Lombardia, accusato di corruzione per aver favorito lo smaltimento illegale di rifiuti pericolosi, e un giudice calabrese, indiziato di essere colluso con la ‘ndrangheta.

Nulla di straordinario, verrebbe da dire. E infatti il tono degli speaker è del tutto neutro, fino alla perfetta indifferenza. Probabilmente glielo avranno insegnato, oppure lo hanno imparato da soli basandosi su quello che facevano gli altri prima di loro. Il cronista deve rimanere sullo sfondo, lasciando la ribalta alle informazioni. Come recita la formuletta classica, che secondo alcuni è la sintesi del miglior giornalismo, “i fatti separati dalle opinioni”. Significa, o dovrebbe significare, che i due piani non vanno confusi, in modo da lasciare libero il pubblico di valutare gli avvenimenti con la massima autonomia, senza essere influenzato dal punto di vista di chi ha dato le notizie e, nel darle, ci ha messo così tanto del suo da imporre la propria chiave di lettura a scapito di tutte le altre.

La realtà è ben diversa: attenersi in modo rigido a quel principio è semplicemente impossibile, essendo ovvio che dai titoli in poi basta un nonnulla a indirizzare la percezione altrui. Inoltre, checché se ne dica, un’esposizione asettica non piace a nessuno. Gli imbonitori alla Emilio Fede sono certamente insopportabili, a meno di essere fatti della medesima pasta, ma l’alternativa non può essere la mera elencazione della Gazzetta Ufficiale. E la ragione è chiarissima: informarsi attraverso i media non è un’attività puramente razionale, che viene svolta col rigoroso distacco di uno scienziato, e il coinvolgimento è pressoché inevitabile. Si legge, o si ascolta, o si guarda, e ogni singolo impulso produce una risonanza interiore. Che in larga misura, benché i più lo ignorino (o lo rifiutino), attiene all’inconscio.

Teoria a parte, la realtà è che nel mondo della stampa l’orientamento emotivo non è affatto assente. Semmai è intermittente. Enfatizza alcuni aspetti, come per esempio l’andamento delle Borse, e ne attenua altri, come appunto le vicende di “ordinaria corruzione” che riguardano gli esponenti della politica. La disparità di approccio può essere più o meno consapevole, ma il risultato è il medesimo. Una manipolazione che tende a passare inosservata, e che però è assidua. Tanto più efficace quanto più la si ripete. Tanto più insidiosa quanto meno la si nota.

Così, ieri mattina, le due notizie sono state date quasi distrattamente. Che volete che sia? Il vice presidente della Lombardia accusato di corruzione, mentre il suo collega Penati è già sotto inchiesta da un pezzo, e un giudice legato mani e piedi alla criminalità organizzata. Cose che sono già accadute. Che continuano ad accadere. La politica e le pubbliche istituzioni scivolano nella cronaca, e lì sprofondano. Lì ristagnano. Invece di risaltare in tutta la sua gravità, il tradimento del bene comune, e quindi dell’intero popolo italiano, decade a fatto secondario. Di cronaca, appunto. Com’è noto, del resto, non bisogna generalizzare. E attendere fiduciosamente che l’iter giudiziario si svolga e arrivi fino in fondo, prescrizione permettendo. 

Il primo nemico della consapevolezza non è la semplice ignoranza. È l’abitudine. Anzi, l’assuefazione.

Fonte: Il Ribelle

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