Forse non si può parlare a nome di tutti ma credo che moltissime persone non si ritrovano più in questo tipo di società, che è mascherata per essere una società del benessere, ma in realtà tutto ciò che propone è un’esistenza omologata e ristretta, dominata da un potere che controlla e gestisce le risorse della Terra in nome solo e soltanto del profitto per pochi.
Non credo di esagerare dicendo e sostenendo che quello che stiamo vivendo sia una moderna schiavitù, che oltre a toglierci le nostre naturali facoltà e la possibilità di un’esistenza felice e sostenibile, sta distruggendo il pianeta. La cosa più grave è che molti di noi non se ne rendono conto e pensano che questo sistema sia l’unico possibile addirittura provando sentimenti di gratitudine nei confronti di capitalisti che impiantano industrie nelle quali ci fanno lavorare per produrre beni di consumo inutili e talvolta dannosi a noi stessi e all’ambiente. Qualunque sia il livello di consapevolezza, riguardo a questi temi, in ognuno di noi, la felicità è un miraggio per chiunque perché le nostre naturali pulsioni verso la socialità, la fratellanza e lo scambio finalizzato alla crescita collettiva, vengono ignorate, soffocate e represse.
In altre parole viviamo la parodia di noi stessi. Credo che sia importante cercare una soluzione alternativa al sistema politico, alla struttura economica e ai modelli sociali che impongono il denaro e il lucro come primi scopi e obbiettivi di tutta l’umanità deformando il loro originale significato filosofico che li vedeva semplicemente come dei mezzi.
È urgente, anzi urgentissimo riportare l’uomo al centro ma non attraverso la competizione, che inevitabilmente causa distruzione, ma attraverso un rinnovamento e un incoraggiamento dei talenti individuali in un’ottica che preveda l’educazione verso una condivisione di questi nella cooperazione e nella collaborazione.
Oggi siamo al culmine di un esasperato consumismo che deriva da dipendenze verso oggetti o situazioni che crediamo abbiano valore determinante per le nostre vite. Attribuiamo a queste cose un’indispensabilità senza minimamente chiederci se effettivamente è così, divenendo schiavi delle cose stesse e incrementando la ricchezza di chi detiene il potere.
I despoti aprono una fabbrica, ci mettono dentro a lavorare, producono cose inutili e ce le rivendono.
Le conseguenze si registrano in:

degrado della qualità della nostra vita, ci vediamo tolta la maggior parte del nostro tempo, in quanto se la ricchezza fosse equamente distribuita e si impiegassero le energie, i mezzi e i talenti solo per produrre ciò che è veramente utile a un’umanità sana e consapevole e non frustrata e nevrotica, le ore di lavoro sarebbero drasticamente ridotte.
Pessimo rapporto tra uomo e ambiente che, impegnato ad inseguire fini e obbiettivi economici, ovviamente trascura o deliberatamente danneggia il pianeta.
Generazione di un tessuto psicologico fortemente incline alla guerra e/o ai suoi derivati (schiavitù, sfruttamento, manipolazione e sottomissione delle menti)

Già dalla fine degli anni sessanta, in tutto il mondo, si è assistito alla nascita di villaggi, o comuni nelle quali alcune persone iniziavano ad associarsi con lo scopo di condividere, in termini generici, la propria energia per il raggiungimento di obbiettivi comuni. Innanzi tutto si sentiva un bisogno individuale verso un’esistenza più sostenibile, che derivava dal crescente malessere sentito e provato nella vita sociale, nell’unico modello esistente. Proprio grazie a questo malessere, unito alla costante evidenza dell’ingiustizia dilagante mostrata da parte di chi detiene il potere, che secondo i piani non esita a generare una guerra, il bisogno individuale nasce e trova riscontro in un bisogno collettivo di una parte di umanità forse più sensibile, forse più coraggiosa o più incline ad un modello sociale più giusto in una tendenza sia caratterizzata da coraggio o sensibilità. O meglio, il malessere è largamente diffuso, anche nei nostri bei paesi occidentali, ma il risveglio che porta ad una ricerca di alternative è un fenomeno che è partito da poche persone e si sta via via incrementando anche grazie ai precursori che hanno già ampiamente dimostrato la sostenibilità di sistemi alternativi. Il disagio esistenziale e insieme il desiderio di cambiare la propria vita, nella direzione di una nuova socialità, si unisce all’esigenza di un lavoro più gratificante in un luogo, o in una dimensione, il più possibile vicino alla natura. E non solo, un lavoro che sia espressione della propria natura e in armonia alle vere esigenze del genere umano. Infatti, tra gli obiettivi di base della comune, c’è il proposito di vivere il lavoro, come espressione della propria creatività più che come obbligo. Tant’è vero che in molte realtà, lo spazio del lavoro si “confonde” spesso con quello del tempo libero, anche perché prima o poi, in un contesto collettivo, ognuno riesce comunque a inventarsi un’attività affine ai propri interessi.
Nella nostra epoca, in cui è difficile catalizzare l’interesse di molti verso processi di massa di trasformazione della società, acquistano ancora più importanza gli esempi, anche se piccoli, di ciò che funziona, dimostrando che si può e quindi si “deve” vivere diversamente.
Secondo una delle tante definizioni possibili, le Comuni Intenzionali sono “aggregazioni volontarie di cittadini, finalizzate alla realizzazione di un progetto di vita quotidiana, continuativo e solidale, caratterizzato dalla ricerca sociale, che può anche essere etica, spirituale ed ecologica.”
L’intenzionalità consiste nella scelta di sperimentare percorsi sociali che si differenziano dai riferimenti culturali dominanti. Si può parlare di luoghi, non soltanto in senso fisico, dove si ricerca e si sperimentano modelli sociali che siano espressione diretta di sistemi di valori condivisi.
Le Comuni Intenzionali traducono la loro tensione anche nell’applicazione di stili di vita e tecnologie rispettose dell’ambiente, nelle modalità di gestione e risoluzione dei conflitti, nello sviluppo di economie alternative, anche mediante l’impiego delle valute complementari.
Possiamo dire che nelle Comuni Intenzionali sono presenti tre aspetti tra loro sinergici: la condivisione di uno stesso progetto di vita, che spesso ha riflessi anche in ambito lavorativo; un’organizzazione interna, in grado di sviluppare meccanismi solidaristici e di aiuto reciproco; l’adozione di stili di vita sostenibili, che consentono un ridotto impatto ambientale.
È un modello di vita sostenibile dal punto di vista ecologico, spirituale, socioculturale ed economico, intendendo per sostenibilità l’attitudine di un gruppo umano a soddisfare i propri bisogni senza ridurre, ma anzi migliorando, le prospettive delle generazioni future”.
Queste intenzioni possono riguardare l’ambiente, e il territorio attraverso il recupero di zone spesso marginalizzate ed in fase di spopolamento, prevenendo alcune delle cause di dissesto idrogeologico, recuperando produzioni tipiche e tradizionali, praticando la filiera corta, facendo anche ricorso alle tecnologie innovative, utilizzando le energie rinnovabili. In genere gli eco-villaggi perseguono l’autosufficienza alimentare ed i membri praticano l’agricoltura biologica.
Negli eco-villaggi si costruisce e si ristruttura secondo i criteri della bio-edilizia, privilegiando un tipo di economia locale e sostenibile, ci si organizza come gruppi di acquisto, facendo anche ricorso alle valute complementari ed alla gestione delle banche del tempo. Conseguentemente l’Impronta Ecologica, cioè il rapporto tra i consumi umani e la capacità del pianeta di rigenerarli, negli eco-villaggi è di gran lunga migliore della media degli Stati.
Dal punto di vista educativo, i piccoli che crescono in comunità hanno molte più figure di riferimento, capaci di completare ed integrare il quadro parentale di nascita, diversamente da quanto avviene sempre più spesso oggi in una famiglia mononucleare. Altrettanto importante è il ruolo che hanno in comunità gli anziani, che trovano molteplici occasioni di partecipazione e coinvolgimento alla vita sociale.
Un’ argomento ancora diverso riguarda il tema più generale della qualità della vita, che nelle Comuni Intenzionali è migliorata dalla coabitazione, che favorisce lo sviluppo di accordi reciproci, forme organizzate di mutuo aiuto e gestioni economiche spesso condivise. Così facendo si attivano processi compensativi che permettono di ammortizzare tra più persone quei costi ed oneri che altrimenti sarebbero insostenibili per un solo nucleo familiare, contrastando nel contempo i problemi derivanti dal crescente isolamento attraverso l’opera di rivitalizzazione del tessuto sociale, stimolando la solidarietà e la condivisione.
Oggi le Comuni Intenzionali pongono l’attenzione, non sulle “8 ore” lavorative, ma su un modello di tempo basato sulle “24 ore”, cioè sulla Qualità della Vita a 360°. In questo caso Qualità della Vita significa riappropriazione di un tempo di vita totale, vissuto intensamente in ogni sua parte, al di là della dicotomia tra tempo lavorativo e tempo libero.
Per loro natura le Comuni Intenzionali dimostrano come sia possibile ricomporre anche altre dicotomie, da cui originano alcuni dei malesseri sociali. Le comunità sono pertanto da osservare con attenzione anche per la loro funzione di laboratori sociali.

Alla base di una scelta di vita comunitaria, sia pure diversamente interpretata ed applicata, c’è anche una risposta alla crisi e alla riduzione ai minimi termini del modello familiare. E’ opinione diffusa che la società tutta ha un grande bisogno di comunità, anche trasversali, che possano rendere più solido il tessuto sociale e colmare il crescente vuoto di valori e di partecipazione alla vita pubblica. Comuni intenzionali, eco-villaggi e co-housing operano fattivamente per colmare la distanza che si avverte tra lo Stato ed i bisogni individuali e tra governo e territorio. Ma anche per affermare la necessità, come cantava Giorgio Gaber, di un Umanesimo nuovo, che faccia tornare l’essere umano, i suoi bisogni e le sue aspirazioni, al centro della società. Le Comuni Intenzionali sono la punta più avanzata di una tendenza volta a riappropriarsi di questo bisogno di comunità, che si traduce anche nella crescente diffusione di buone pratiche come ad esempio i gruppi di acquisto solidali, i car-sharing, i micronido a conduzione familiare, i condomini solidali, ecc. atti a consentire il soddisfacimento di bisogni individuali organizzandosi autonomamente assieme ad altri.
Esistono esperienze differenti tra le comuni e/o gli eco-villaggi, per orientamento filosofico e organizzazione, ma tutte comunque ispirate a un modello di vita sostenibile dal punto di vista ecologico, spirituale, socioculturale ed economico.
Un eco-villaggio è qualcosa di più della semplice condivisione di uno spazio e di qualche elettrodomestico, si tratta di condividere una visione e sperimentare concretamente nel quotidiano uno stile di vita in armonia con la natura basato sui valori di solidarietà, partecipazione, eco-sostenibilità e sobrietà.
Innanzitutto come si è già intuito, urge la tutela del territorio e quindi anche una sensibilizzazione al rispetto della natura e alla coscienza ecologica. Bisogna cercare di partire dal presupposto che la maggior parte della gente comune che non rispetta la natura, non lo fa per cattiveria ma piuttosto per ignoranza. Per questo bisogna cercare di diffondere una sensibilità sul rapporto con la natura, non tanto sul piano filosofico, quanto su quello strettamente ecologico, quindi anche informazioni molto “terra terra”. Da questo punto di vista, non bisogna ritrovarsi politicamente con nessun partito. Infatti non possiamo dire che l’ecologia sia di destra o di sinistra. Del resto non è neppure automatico che chi è di sinistra sia più ecologista di chi è di destra, anzi. Si può benissimo vedere tanta incoerenza da parte di qualunque istituzione, indipendentemente dal lato in cui si schiera. Un disastro ecologico colpirebbe chiunque, anche i miliardari. Questo è l’aspetto più assurdo del nostro decadimento. Bisogna cercare di fare emergere il fatto che per avere delle false comodità la nostra società avvelena il pianeta, e lo distrugge. La difesa della natura spesso comporta una vera e propria lotta, perché esistono organizzazioni senza nessuno scrupolo che distruggerebbero qualunque cosa per i propri interessi. I nostri intenti sono e sarebbero pacifici e finalizzati a dare l’esempio ma se serve possiamo e sappiamo lottare per difendere un bene che in fin dei conti è di tutti.
Ecco riportati alcuni pensieri facilmente condivisibili:

“L’idea di passare tutta la mia vita nel mio bellissimo appartamento, senza nessuno rapporto con i vicini e con l’unica prospettiva di aspettare le ferie e qualche ponte per uscire dalla routine quotidiana mi fa capire che ho sbagliato qualcosa.” Gianni di Milano

“Non ho nessuna intenzione di mettere il mio sapere nelle mani di qualche multinazionale o di qualche azienda privata che pur di vedere crescere i propri utili è disposta a devastare l’ambiente. Mi piacerebbe potere lavorare a favore non contro la natura e possibilmente in un contesto di confronto e di collaborazione con altre persone.” Lucia di Napoli

“Voglio svegliarmi la mattina e incontrare facce amiche e soprattutto andare a letto la sera con la coscienza serena di aver fatto qualcosa di utile per il pianeta. Mi sembra assurdo consumare la mia vita e le mie energie per acquistare l’auto, poi la casa, poi la villetta al mare. Mi piacerebbe costruire, insieme ad altri, qualcosa di utile per le generazioni che seguiranno.” Marta di Urbino

Fonte: Blog di Davide Ragozzini

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