Nella nostra  società, lo spreco di risorse è un forte elemento negativo considerando che spesso non possono essere soddisfatti anche i bisogni più elementari di tutti i cittadini. Il cosiddetto “libero mercato” in realtà si presenta imperfetto per una serie di fattori che apparentemente sfuggono alla logica ma anche alla tanto enunciata “mano invisibile”.

Per approfondire in dettaglio i meccanismi che possono portare a tali sprechi, bisogna considerare che, nelle moderne economie industrializzate, le imprese adattano la propria produzione adeguandosi al livello della domanda che stanno ricevendo o che si aspettano nell’immediato futuro, mentre il singolo consumatore non può influire nel sistema ne può contrattare il prezzo in un negozio o direttamente con il produttore.

Di conseguenza, i prezzi dei prodotti che compriamo tutti in giorni quando facciamo la spesa, sono influenzati non dalle contrattazioni (tra domanda e offerta) ma dai costi delle imprese produttrici e dal loro profitto considerata la quantità che si aspettano di poter vendere.[1]

Ciò porta le imprese produttrici a ridurre spesso la produzione piuttosto che i prezzi quando verificano cali di domanda come accade nei periodi di crisi. Questa modalità di funzionamento, che porta a sfasamenti dovuti alle previsioni, si può osservare soprattutto nella grande distribuzione organizzata. La difficoltà a raggiungere equilibri tra domanda dei consumatori e l’offerta di beni, in particolare nei beni di prima necessità che hanno una durata limitata nel tempo, ha come conseguenza lo spreco di notevoli quantità di prodotti perfettamente utilizzabili.

Per affrontare la problematica con un approccio economico, è necessario capire il ruolo del consumatore da sempre in primo piano negli studi accademici.  Alla base delle scelte di consumo vi è il bisogno.  Il poter raggiungere una soddisfazione di un bisogno  solo attraverso il mercato, pone parecchi limiti all’individuo e genera numerosi paradossi sociali.

Il singolo dovrà fare i  conti con il proprio reddito prima di poter soddisfare i propri bisogni non potendo spendere più di quanto ha a disposizione,  sceglierà andando per priorità.  Quando il reddito è particolarmente basso, il consumatore dovrà necessariamente ridurre oltre che le varietà anche il numero dei beni acquistabili, quindi i beni che una famiglia può acquistare sono limitati, in sostanza dal  potere di acquisto.

Che cosa succede se il reddito della famiglia è bassissimo o prossimo allo zero? In teoria il vincolo della disponibilità di denaro non permetterebbe alcuna scelta in un mercato libero non potendo soddisfare i bisogni e comporterebbe esclusione sociale.  Ragionando in termini economici possiamo affermare che, la domanda di beni primari esiste comunque ma non sempre può essere espressa per mancanza del denaro necessario a comprare.

Vi è una situazione in cui si può acquistare beni senza denaro?  In teoria sì. Ciò può essere possibile (ed anche sensato economicamente) se è più conveniente per il venditore cedere i beni gratuitamente piuttosto che tenerli invenduti.

Prediamo in considerazione alcuni dati del settore alimentare per osservare che è presente costantemente uno squilibrio tra produzione e consumo. Secondo alcuni studi inglesi, partendo dai bilanci alimentari della FAO vi è un surplus di produzioni di cibi tale da poter alimentare tre miliardi di persone,[2] nello stesso tempo lo spreco provoca un impatto ambientale di dimensioni notevoli sia per quanto concerne la produzione di generi alimentari sia per il trasporto e in fine per lo smaltimento. Lo spreco di cibo è riscontrato prevalentemente in paesi industrializzati, caratterizzate da economie di sovrabbondanza. In Europa e in Nord America lo spreco pro capite da parte del consumatore è stimato intorno ai 95-115 kg all’anno.[3] Inoltre, poiché la maggior parte di generi alimentari in vendita sono contenuti in imballaggi, gli stessi non possono essere riutilizzati ne avviati al riciclo qualora smaltiti separatamente dai beni, l’inefficienza quindi crea un duplice problema di tipo sociale e di tipo ecologico. Secondo uno studio condotto da Last Minute Market, spin-off dell’Università di Bologna, si rileva che la distribuzione organizzata, nel solo 2009 ha sprecato 244.250 tonnellate di cibo ancora perfettamente consumabile, il cui smaltimento ha provocato l’immissione in atmosfera di 291.393 tonnellate di CO2.[4]

E’ evidente che per via delle caratteristiche proprie dei prodotti alimentari deperibili, una certa quantità di merci può rimanere invenduta o divenire invendibile per altre cause a breve termine, quindi viene eliminata del mercato ed avviata allo smaltimento materializzando lo spreco di risorse e beni.

Il venditore cercherà di vendere i beni prossimi alla scadenza con sconti o offerte speciali in quanto anche in caso di riduzione del proprio guadagno, ha convenienza a vendere. Oltre un determinato limite, la domanda rimane insensibile anche alle  offerte speciali come del caso di beni talmente prossimi alla scadenza da non essere richiesti dal consumatore neanche a fronte di forti riduzioni di prezzo (ad esempio per i prodotti freschissimi), oppure alle confezioni che siano eventualmente danneggiate nell’aspetto tali da far diventare indesiderabili anche se perfettamente integri.

In questo caso il venditore può offrire gratuitamente – cioè a prezzo zero – tali merci essendo più conveniente che smaltirle. Ma, se il venditore decidesse di regalare direttamente i beni dovrebbe allestire locali per l’eventuale distribuzione, impiegare ulteriore personale e sopportare altri costi organizzativi che annullerebbero i vantaggi della cessione gratuita.

Il progetto Last Minute Market (http://www.lastminutemarket.it/)- in questo caso – agisce da facilitatore e interviene lì dove il mercato non può più far nulla, utilizzando i prodotti non vendibili, ma perfettamente consumabili, provenienti dalla grande distribuzione destinandoli a organizzazioni non-profit e bisognosi che ne traggono vantaggi economici e sociali e che potranno utilizzare il denaro disponibile per acquistare altri beni ottenendo risultati economicamente più efficienti.

Ogni operatore coinvolto ottiene un vantaggio che altrimenti, nel libero mercato non si riuscirebbe ad ottenere, ma nello stesso tempo si può ottenere una maggiore efficienza, combattendo sprechi di risorse che tra l’altro incidono sugli impatti ambientali.

Il modello si può applicare a diversi settori ovvero in tutte le realtà economiche in cui le merci vengono distrutte o eliminate (poiché divengono invendibili) permettendo di poter soddisfare bisogni che altrimenti rimarrebbero non soddisfacibili.[5] Dopo le prime esperienze nel campo della distribuzione organizzata, sono nate esperienze simili per raccolti agricoli, farmaci, semi e prodotti non alimentari.

Se da un punto di vista sociale si riesce ad ottenere il miglioramento della situazione di bisognosi senza imporre oneri a carico di altri per tale azione, da un punto di vista ambientale l’impatto di una qualsiasi azione di recupero di sprechi è di considerevole importanza considerando che le risorse utilizzate per produrre qualsiasi oggetto non sono illimitate in natura.

Il recupero degli sprechi è un passaggio necessario nell’attuale sistema produttivo anche riguardo alla limitatezza delle risorse e alla tutela del capitale naturale; l’esperienza dimostra che tale obiettivo non può essere raggiunto solo esclusivamente tramite il mercato, ma vanno adottate azioni di recupero che vanno oltre, comprendendo tutti gli strumenti utili a trasformare gli sprechi in risorse sfruttando le attuali conoscenze tecniche e scientifiche.

L’esistenza di tali strumenti e soluzioni, però, non giustifica l’eccesso di consumo cui ogni giorni si è stimolati, la sobrietà dell’individuo riveste un’importanza preminente nell’equità sociale. Solo successivamente si dovranno valutare tutte le azioni che possano porre rimedi a disfunzioni ed inefficienze.

di Francesco De Robertis



[1]     T. Cozzi e S. Zamagni, Manuale di Economia Politica. Un testo europeo, Ed. Il mulino, 2000, pag. 369

[2]     Cfr. T. Stuart., Waste – understanding the global food scandal, WW Norton & Co, New York, 2009

[3]     Ved. FAO, Global Food Losses and Food Wast, 2011, rapporto elaborato sulla base di uno studio commissionato a The Swedish Institute for Food and Biotechnology (SIK) e realizzato   2010 e gennaio 2011

[4]     Ved.A. Segrè, Lezioni di ecostile. Consumare, crescere, vivere, Bruno Mondadori, 2010

[5]     Cfr. idem

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