Non serve criticare le scelte del passato, ma per continuare a “macinare grano” anche in futuro, occorre far tesoro delle esperienze per ripensare e riprogettare il nostro “mulino” attraverso le logiche della Bioeconomia

 

Le scelte del passato non vanno valutate con gli occhi di oggi e col senno di poi. Sono decisioni prese con le logiche del loro tempo e si possono capire solo guardando ancora più indietro. Nel rileggere la storia recente, o quella più antica, vengono spesso espressi giudizi senza considerare la visione del mondo che c’era allora. Non credo sia giusto giudicare le scelte fatte in passato usando i parametri ed i punti di vista frutto della consapevolezza raggiunta ai giorni nostri. Occorre contestualizzare gli accadimenti del passato all’interno delle fedi ideologiche o religiose del periodo storico nel quale sono avvenuti. Gli uomini quando fanno qualcosa di rilevante si sentono sempre moderni e innovativi, anche quando fanno una guerra. Per capirli bisogna leggere la storia di 30, 50 o anche 100 anni prima, per comprendere il “progresso” fatto dal loro punto di vista. Sarebbe assurdo, ad esempio, valutare con i nostri parametri la decisione di conquistare colonie e creare un “impero” presa alla fine degli anni ’20 da Mussolini. Tutte le grandi nazioni dell’epoca avevano un impero e ne traevano grandi benefici sfruttando le ricchezze e la mano d’opera delle loro colonie. Proprio la democratica Inghilterra aveva l’impero più grande e antico di tutti, quindi non era una questione di regime, ma della mentalità europea allora diffusa e accettata. La guerra di conquista era considerata legittima, anche perché si pensava che noi europei fossimo superiori ai “primitivi” africani, sudamericani ed asiatici. Il pensiero comune era che si andasse a portare loro la civiltà, più che a sottometterli. Così all’epoca in Italia parve più che logico seguire il percorso che avevano fatto gli altri per diventare una “grande nazione” e migliorare l’economia e la vita degli italiani. Era, per così dire, l’evoluzione naturale: prima fu creata la nazione con l’unità d’Italia e poi l’impero.

Fu la seconda guerra mondiale a svegliare la coscienza collettiva, a far emergere le contraddizioni e a far comprendere a cosa poteva portare l’eugenetica e la guerra di conquista. Una lunga epoca era terminata, la possibilità di sfruttare direttamente i popoli delle colonie era svanita e vincitori e vinti persero gli imperi che, nell’illusione della prima metà del 1900, avrebbero dovuto durare mille anni come l’Impero Romano.

Ma l’uomo moderno pare non possa vivere senza darsi grandi prospettive che nel tempo si rivelano spesso illusorie. La guerra accelerò a dismisura la crescita economica ed industriale delle nazioni e, pur sotto bandiere ideologiche diverse e nemiche, sia il capitalismo occidentale che il comunismo orientale, misero la crescita e lo sviluppo economico al centro delle loro strategie. Ci si confrontava sulla redistribuzione della ricchezza, ma nessuno dei due sistemi ha mai messo in discussione la crescita economica. Da un lato della “cortina di ferro” operava il libero mercato, dall’altro lato c’erano i famosi piani quinquennali. Così anche in Italia negli anni ’50 e ’60 la crescita economica e lo sviluppo industriale a ritmi folli apparve ai più come un percorso logico, desiderabile e quindi da perseguire con determinazione. Si possono leggere atti di congressi di scienziati che negli anni ’60 prevedevano che entro il 2000 tutte le malattie sarebbero state debellate, che la fissione dell’atomo avrebbe fornito energia illimitata al mondo per secoli, che la chimica nei campi e nei laboratori avrebbe liberato l’umanità dalla fame per sempre: si realizzò perfino una bistecca sintetica fatta con il petrolio! Nel 1968 nel report annuale del RAND (Research & Development) Corporation, uno dei più grandi “think tank” degli USA, finanziato dalla Difesa, si potevano leggere fra le altre cose che: “fra il 1985 ed il 1990 sarà possibile procedere correntemente allo sfruttamento delle risorse minerarie sul fondo sottomarino; inoltre, nel 1995, si avrà un controllo su base regionale delle condizioni meteorologiche”. Naturalmente i viaggi spaziali e la colonizzazione di altri mondi si davano per certi e consolidati entro la fine del millennio. Tali previsioni scientifiche, viste a 50 anni di distanza fanno sorridere mestamente, ma allora ci credevano davvero: un mondo “artificiale”, sotto il controllo degli umani ed emancipato dalle dure leggi della natura, sembrava possibile ed era ritenuto auspicabile. Gli USA erano il paese guida e noi seguivamo ispirati le loro conquiste scientifiche e i loro film di previsioni scientifiche come 2001 Odissea nello spazio!

Ma siccome alla fine non siamo riusciti ad andare su altri pianeti e si comincia a capire che al massimo ci invieremo qualche robot, abbiamo pensato di trasformare il nostro! Lasciando da parte le grandi visioni e le sballate previsioni degli scienziati, il concetto di “progresso” si materializzò velocemente in tutto il mondo industrializzato nelle cose di tutti i giorni e nelle vite delle persone. Tutti potevano vedere come la lavatrice liberava dall’abbruttimento della fatica milioni di donne, meglio e più velocemente di quanto avevano fatto decenni di lotta per la parità nei diritti. Milioni di mezzadri e contadini poveri potevano emanciparsi dalla loro misera condizione grazie ai mezzi meccanici agricoli, ai concimi chimici e ai diserbanti. O meglio ancora potevano lasciare la terra per andare a lavorare in grandi fabbriche dove si guadagnava certamente di più che in campagna. Chi era più in gamba o almeno più furbo della media, chi aveva talento e determinazione, poteva realizzarsi fino in fondo e anche arricchire velocemente. Se poi c’era qualche guerra da fare per proteggere gli “interessi nazionali” anche questo era messo in conto. Erano passati pochi anni da quella che veniva comunemente considerata una grande guerra di liberazione: terribile, ma indispensabile. Con la guerra si era tolto di mezzo Hitler, il fascismo italiano e l’imperialismo giapponese. Specie negli USA il concetto di “guerra giusta” era sempre presente e la popolazione, almeno fino al disastro del Vietnam, non aveva mai messo in discussione l’uso delle armi quando “necessario”. In ogni caso, guerra o non guerra, i soldi, lo sviluppo economico e la crescita del PIL, venivano considerati come l’unica cosa in grado di emancipare i popoli dal sottosviluppo. La caduta alla fine degli anni ’80 dell’impero comunista dell’Unione Sovietica confermò la bontà del sistema capitalistico nei confronti del fallimento del comunismo, sempre nel solco dogmatico della crescita infinita.

E’ l’economia bellezza!

Quando James Carville scrisse ‘It’s the economy, stupid’ su un cartello nel quartier generale della campagna presidenziale di Bill Clinton nel 1992, sembrò uno slogan azzeccatissimo. Visto come era fallito il comunismo, fatto di regole e di intervento dello stato nell’economia, sembrò ovvio ritenere che il mercato funziona, e si autoregola, tanto meglio quanto minori sono le regole che lo “imbrigliano”. Clinton vinse le elezioni e nel novembre del 1999, appena 10 anni dopo la caduta del muro di Berlino, abrogava le disposizioni del Glass-Steagall Act del 1933 che prevedevano la separazione tra attività bancaria tradizionale e investment banking, velocizzando così l’arrivo del disastro. Ma questo lo sappiamo ora! Negli anni ’90 ci si credeva! Anche se a premere su Clinton furono delle lobby specifiche, la maggioranza degli americani era d’accordo o, come minimo, non diede peso alla cosa. Consumismo, liberismo e crescita costante del PIL divennero assiomi indiscutibili. Negli USA come in gran parte del resto del mondo, cioè quello che poteva consumare o che stava iniziando a farlo.

Ci può stare: la storia, come il tempo, segue un flusso unidirezionale e la consapevolezza affonda le sue radici nel passato. La coscienza di massa poi arriva sempre con un certo ritardo, rispetto a quella dei pochi visionari dalla vista lunga. A partire dagli anni ’70 infatti qualche individuo illuminato prese coscienza in anticipo e avvertì il mondo del potenziale disastro al quale andavamo incontro. Si parlò di limiti dello sviluppo, di rischi ambientali, di ingiustizia sociale, di eccessivo ricorso al debito e di tanti altri temi oggi drammaticamente attuali. Vennero proposte anche delle valide soluzioni, come la bioeconomia di Nicholas Georgescu Roegen, ma erano troppo pochi e troppo controcorrente. Così non vennero presi in considerazione né gli avvertimenti, né le proposte di soluzione. Sia i governanti che i popoli non volevano proprio sentirsi dire certe cose. La gente ancora si ricordava cosa significava essere poveri e non voleva rinunciare al “paradiso artificiale” appena conseguito! Anche senza i viaggi spaziali e la guarigione da ogni malattia, il “miliardo d’oro” che aveva accesso ai consumi, non intendeva rinunciare neanche un po’ alle comodità conseguite negli ultimi decenni. Così il rullo schiacciasassi del consumismo compulsivo continuò ad avanzare indisturbato, fino a che, a partire dal 2006 i nodi cominciarono a venire al pettine tutti assieme. La catastrofe finanziaria causata negli USA da una enorme bolla dovuta a centinaia di prestiti “subprime”, ovvero erogati a clienti non affidabili, contagiò l’intero pianeta rendendo ben visibili, una volta tolto il grande schermo fatto di illusione e di ideologia, i limiti del consumismo sfrenato e del nostro stile di vita insostenibile.

Ora i limiti del nostro sistema basato sulla crescita continua e sullo sviluppo infinito, non ce li dobbiamo più sentir raccontare dal visionario di turno, perché sono qui davanti a noi:

  • La capacità produttiva delle industrie supera oramai da anni la domanda di prodotti da parte dei “consumatori”, creando rallentamenti e ristagnamenti nella produzione di beni durevoli. In Occidente abbiamo oramai un “mercato di sostituzione” che non può più assorbire i volumi necessari per una crescita impetuosa. Inoltre la continua automazione e l’aumento della produttività estromettono sempre più lavoratori dai cicli produttivi, causando un progressivo indebolimento della domanda interna. Cerchiamo di esportare, costruiamo infrastrutture evidentemente inutili per far lavorare la gente, ci inventiamo qualche nuovo business, ma a meno di non riuscire a vendere qualcosa ai marziani, sarà dura che il PIL mondiale possa continuare a crescere ai ritmi attuali! Non per niente l’economista Kenneth Boulding affermava ironicamente che “chi crede che sia possibile una crescita infinita in un mondo finito o è un pazzo o è un economista”!
  • I debiti delle nazioni, delle banche, delle assicurazioni, delle aziende e delle persone continuano inesorabilmente a crescere. Continuiamo ad “allungare il brodo”, a creare bad company e a cercare soluzioni tampone, ma nessuno ha una reale prospettiva di ripagare i propri debiti e ovviamente non se possono fare altri. La leva del debito è una stampella indispensabile alla crescita del PIL ed è venuta quasi del tutto a mancare. Intanto la speculazione finanziaria imperversa sul pianeta senza regole, con una liquidità mai vista finora e con una sinistra assomiglianza con le strategie suicide del cancro.
  • I cambiamenti climatici non riguardano più solo gli orsi polari! Gli eventi meteorologici estremi stanno aumentando con progressione mostruosa, uccidendo centinaia di persone in tutto il mondo, rovinando raccolti, devastando territori e costruzioni e causando costi enormi per il ripristino idrogeologico e la riparazione dei danni. Continenti di plastica galleggiano sugli oceani e tutta la catena alimentare che ci riguarda è pericolosamente compromessa.
  • Il dogma insindacabile del diritto di ognuno al conseguimento della ricchezza individuale, senza troppe preoccupazioni per gli “effetti collaterali”, ha portato a sperequazioni sociali inaccettabili e pericolose. Quando l’1% della popolazione mondiale possiede il 40% della ricchezza complessiva, c’è qualcosa che non va e questo è pericolosissimo. La coesione sociale è a rischio e intanto aumenta l’infelicità, i suicidi per ragioni economiche, la disperazione dei giovani senza lavoro e delle famiglie senza prospettive di futuro.
  • Intanto le risorse non rinnovabili del pianeta continuano ad essere consumate a ritmi forsennati, specialmente i combustibili fossili, le materie prime, il legno e l’acqua dolce, quest’ultima divorata soprattutto da una agricoltura industriale devastante. Le perforazioni a grande profondità e nella prossimità dei poli alla ricerca di petrolio, la costosa estrazione di greggio dalle sabbie bituminose dell’Alberta in Canada e il ricorso sempre più massiccio allo “shale gas” (Gas di argille) ottenuto con la tecnica del Fracking (fratturazione idraulica), sono segnali precisi e preoccupanti del fatto che stiamo raschiando il barile, anzi un barile in particolare: quello dei combustibili fossili liquidi, indispensabili per il trasporto delle merci e quindi colonna portante della globalizzazione.

Cacciati in massa dal nostro paradiso artificiale                                                       

Così ogni giorno, un numero sempre maggiore di  persone è costretto a lasciare il paradiso artificiale che aveva considerato un diritto inalienabile.  Nessuno riesce veramente a far ripartire la crescita semplicemente perché NON E’ PIU’ POSSIBILE. Almeno non in maniera definitiva, non a lungo e non dappertutto. Gli economisti continuano a proporre mezzucci senza speranza come l’incremento della produttività, che però a parità di merci o servizi prodotti estromette dalle attività produttive un numero sempre maggiore di persone e quindi deprime la domanda interna. Oppure l’incremento dell’esportazione, la quale sarebbe una soluzione fantastica, peccato che l’hanno pensata tutti e quindi tutti vogliono esportare agli altri, precisamente a quelli che hanno soldi per pagare, che però son sempre gli stessi, troppo pochi, fossero anche i cinesi, per assorbire tutta l’offerta di produzione. Poi ci sono i guru dello “sviluppo sostenibile”, un ossimoro che al massimo può far guadagnare qualche anno nella distruzione della biosfera, la quale essendo finita e limitata non può tollerare uno sviluppo infinito, che sia sostenibile o meno. Infine abbiamo i fautori degli interventi e gli stimoli diretti dei governi per la crescita. Quindi se il libero mercato arranca, lo si può inondare di liquidità stampando moneta, oppure si possono fare i classici interventi keinesiani per grandi infrastrutture, o si possono creare dei vincoli sulle importazioni o altre forme di protezionismo. Purtroppo anche quest’ultimo gruppo di proposte di soluzione non tiene in considerazione i limiti della biosfera e la scarsità delle risorse non rinnovabili. Quindi, anche nel caso venisse azzeccata una soluzione, questa non può che essere una soluzione tampone, di breve durata. Appare evidente che, fintanto che si rimane nel solco ideologico dell’attuale sistema economico, non se ne esce. Le emergenze ambientali sono proprio quelle più micidiali e hanno già iniziato a provocare disastri a ritmo incalzante. Non si parla di aspettare qualche decennio: il problema è già qui, è già iniziato. Mai come adesso la famosa frase di Einstein “Non risolveremo mai i problemi che abbiamo usando lo stesso modo di pensare che li ha generati”, è attuale e centrata sulla realtà dei fatti.

Ce la raccontano o ci credono veramente?

Tali sono le evidenze del cambiamento epocale in atto e tante le informazioni ed i dati disponibili, che ci si chiede se i governanti “ci sono o ci fanno”! Anche soprassedendo alle sciocchezze quotidiane che sentiamo dire nel resto del mondo, qui in Italia le frasi tipiche sono: “si vede la luce in fondo al tunnel”, oppure: “è iniziata la ripresa, anche se avremo crescita senza aumento dell’occupazione” ( e quest’ultima frase dovrebbe comunque far riflettere! ) o anche: “dobbiamo agganciarci al treno della ripresa della crescita del PIL mondiale”. Quest’ultimo concetto è decisamente quello più criticabile. Ammesso e non concesso che sia  prevedibile qualcosa di più di qualche “convulsione” temporanea con aumenti di breve durata dell’auspicato aumento del PIL globale, poi nel tempo cosa faremo? La crescita mondiale viaggia ad un ritmo di poco sopra il 3% annuo e non si prevedono, per fortuna, dei gran sprint nel prossimo quinquennio. Sappiamo tutti, perché è stato calcolato, che le due locomotive della crescita, la Cina e l’India, con i loro circa due miliardi e mezzo di abitanti, non potranno mai vivere come noi o come gli americani, perché non c’è abbastanza biosfera per sopportarlo. Se anche il vecchio “miliardo d’oro”, del quale facciamo parte, smettesse di consumare ai ritmi attuali, comunque loro non potranno avere uno sviluppo simile al nostro, perché già in un miliardo siamo riusciti a creare i disastri di cui sopra. Se si mettono sulla stessa strada due miliardi e mezzo di persone, anzi 3, se consideriamo tutti i “BRICS” (Brasile, Russia, India, Cina e Sudafrica), il pianeta non avrebbe scampo. Quindi la crescita prima o poi si interromperà. E non si pensi che il grosso dell’impatto ambientale sia concentrato solo nell’industria, nei trasporti e nell’abitare. Il grosso del problema è soprattutto alimentare. Se ogni cinese volesse avere quotidianamente un pezzo di manzo o di pollo nella sua ciotola di riso, il contributo al cambiamento climatico diverrebbe rapidamente insostenibile. Se poi volessero mangiare proteine animali e buon vino come facciamo noi allora sarebbe il disastro! Da noi la media è di 10 calorie fossili impiegate per avere una sola caloria alimentare.

Cominciare a dire addio ad alcune libertà

Per salvare il salvabile e iniziare seriamente ad invertire la rotta per evitare la catastrofe, occorrerà rivedere il nostro concetto di libertà. Non sto parlando dei diritti inalienabili come la libertà di opinione, di espressione, di religione o di orientamento sessuale: la libertà da rivedere è quella di “consumare”. Siamo abituati a mangiare quello che vogliamo e quando vogliamo, indipendentemente dalle stagioni, dai costi energetici di produzione e trasporto e dall’impatto ambientale. Abbiamo la libertà di costruirci la casa come ci pare e a climatizzarla come vogliamo, senza pensare alle emissioni di CO2 e al costo ambientale dell’uso dell’energia. Prendiamo l’auto, la nave o l’aereo quando ci va e via così. Lo slogan è “se posso comperarlo perché no?”. Attualmente la nostra libertà di consumare è limitata solo dalla disponibilità o meno di denaro. Non ci sono altri vincoli o, se ci sono, sono secondari o marginali. Se vogliamo salvarci e dare un futuro ai nostri figli, alcune libertà andranno regolate. Alcune cose andranno vietate e alcune scelte andranno imposte. Non è un discorso piacevole da affrontare, ma se lasciamo che le cose vadano avanti per conto loro, lasciando ad ognuno la libertà di decidere liberamente il proprio stile di vita, dovremo affrontare situazioni decisamente peggiori di qualche rinuncia. Ci saranno da compiere delle scelte, sia individuali che politiche, completamente diverse da quelle fatte fino ad oggi per andare nella direzione della bioeconomia: dare vita cioè ad una economia finalizzata a ridurre drasticamente la nostra impronta ecologica e a creare occupazione utile in tutti quei settori in grado di ridurre il consumo di materie prime, di acqua, di energia e la produzione dei rifiuti. E’ finita l’epoca storica della “crescita infinita”. Quanto tempo ancora ci vorrà per capirlo?

Forse per comprendere che questa epoca di “paradiso artificiale” è uno dei più terribili e gravido di conseguenze della storia, che il progresso, la libertà e la comodità di cui dispone una parte dell’umanità ha e avrà un costo enorme per tutta l’umanità, ci vorrà ancora una generazione. Speriamo che nel frattempo il pianeta non ci scrolli di dosso come fa un cane quando è pieno di parassiti.

Giordano Mancini

 

 

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